clima di odio

Da Pittsburgh a San Lorenzo in Roma il filorosso di una narrazione oltre l’assurdo. Secondo resoconti del telegiornale e di qualche inviato molto speciale, abbiamo appreso quanto segue: Trump, il sionista, è un provocatore nemico del popolo palestinese, però se un pazzo fa una strage di ebrei la responsabilità è sua, del clima di odio che lui e solo lui ha insufflato. L’unico sulla faccia della terra, osserva qualcuno, per cui non vale il principio di non contraddizione.
Vero, ma non verissimo: a Roma la faccenda non cambia e si declina come segue: c’è una città allo sbando, con oltre cento antri infernali occupati abusivamente da individui feroci sui quali sia l’amministrazione grillina sia la sottoamministrazione municipale piddina hanno chiuso gli occhi oltre il lecito; ma se in quattro o cinque di questi bruti violentano e ammazzano una giovanissima prostituta tossicodipendente, la colpa è del neoministro di polizia, il leghista, che “non ha fatto niente”, che alimenta il clima d’odio. Difatti le femministe dell’ANPI, questa categoria misteriosa, insieme ai centri sociali lo vogliono cacciare al grido “San Lorenzo è nostra!”. Sì, si vede.
Informazione pessima, faziosissima, che non informa, che sforma: lasciar dire per qualunque cosa che deriva dal “clima d’odio”, è avallare una affermazione priva di senso ma che proprio per questo è difficile da confutare con le armi della ragione; si può, però, osservare che, se così è, non si capisce come mai il clima d’odio non valga allora per quanti invitano ad appendere il medesimo ministro per i piedi, bruciano il suo fantoccio, lo gettano in Arno, invocano la morte sua e dei suoi figli, plaudono a un ritorno della sovversione armata. O, come in America, sbraitano in televisione: armiamoci e facciamo fuori Trump, il sionista. “Eh, ma queste sono reazioni al clima d’odio, è la democrazia che si ribella”.
Davvero? La realtà, la sostanza delle cose, è molto più semplice: a Pittsburgh come a San Lorenzo: là, uno psicopatico ha fatto una strage per conto suo, sia pure nel quadro di una risorgenza antisemita e antiebraica sulla quale tutti chiudono gli occhi e per la quale l’estremismo islamico si salda fisiologicamente all’antisemitismo spontaneo occidentale; è la deriva che quelli come Giulio Meotti non si stancano di denunciare, di dimostrare praticamente ogni giorno: non solo attentati e stragi, anche isolamento, diffamazione, pregiudizio nelle città europee, nei quartieri, nelle università dove i ricercatori ebrei vengono emarginati, nelle scuoledell’obbligo, nello sport dove con gli atleti israeliani ci si rifiuta di competere, per non contaminarsi. Tutte cose che all’informazione memorialistica di Auschwitz non fanno né caldo né freddo.
A Roma è anche più semplice: il lassismo e l’irresponsabilità utopica di sinistra, il “migrantismo senza limitismo” per dire senza criterio ovvero ambiguo, che miete vittime in Europa, ultima la cancelleria Merkel caduta dal cancello, lo stesso che porta l’avventato e avventizio Fico a flautare “non ci vogliono ruspe ci vuole più amore”, hanno stratificato una situazione ingestibile ma che a molti fa comodo: sono precisamente i parassiti in combutta col giro dello spaccio gestito dai trafficanti a permesso umanitario, sono i democratici che vogliono cacciare il ministro ruspista, preoccupati che possa spezzare il patto di omertà con cui si è arrivati a tollerare i bruti in fama di vittime, a sviluppare cittadelle della droga nel corpaccione decomposto della metropoli.
Dice il fratello di Veltroni, amministratore del rudere dell’orrore, che lì dentro non possono metterci piede neppure loro padroni, hanno perso completamente il controllo e gli antri a San Lorenzo crescono: non una grande scoperta, tutti vedono, sanno che la discarica fuori controllo si espande, cresce sopra la narrazione sporca e bugiarda che l’ha fin qui tenuta in aureola di capri espiatori, di vittime a prescindere, che ha raccolto chiunque sotto l’ombrello umanitario del rifugio dalle guerre.
Lavorando sull’infingimento sommo, colpevolizzare la paura di nuclei brutali, feroci, terrificanti, mistificandola per razzismo, xenofobia, insofferenza legata al colore di pelle. Ma non uno di questi giudici dell’altrui paura sa cosa significhi tentare di sopravvivere là dove le condizioni minime di sopravvivenza appaiono impossibili. Non è colpa di chi a San Lorenzo vive e muore se una sbandata ancora bambina è stata stuprata, fatta a pezzi e finita con una overdose da un mucchio selvaggio di clandestini balordi senza scrupoli.
Ci sono questi cuochi mediatici, questi professorini di scuola media che vaneggiano di consumo responsabile, che tracciano deliranti rapporti di causa e effetto fra criminalità cannibale e mancata concessione dello ius soli; ci sono piazzaioli, masanielli che, mentre incoraggiano lo status quo, individuano nel responsabile unico quello che vorrebbe asfaltare lo status quo e, non paghi di tanta improntitudine, protestano: invocano più concretezza, più sicurezza, ma chi scrive ricorda bene, molto bene gli strepiti e le bestemmie che si levano ogni volta che qualcuno solleva il problema della vivibilità minima a San Lorenzo o in via Padova a Milano: no allo stato di polizia! No alla repressione, sì alle politiche inclusive!
Frasi fatte, formule a pera, che significano una cosa sola: il migrantismo non si discute e a chi tocca tocca, noi non possiamo giocarci l’ultimo avamposto, l’ultima suggestione rivoluzionaria. Per cui lenzuolate di parole, di falso cordoglio, di giravolte contro chi “strumentalizza il corpo di Desirée”, in puro femministese ipocrita: ma se chiedi di fare i nomi, di dire per mano di chi è morta una sedicenne dopo dodici ore di violenze e di agonia, non li fanno perché tra le ragioni del femminismo barricadero e quelle del migrantismo peloso, sacrificano il primo. Clima d’odio è la diagnosi, accoglienza la prognosi. Con la profilassi di una retorica di paglia che fruscia da qui a là: lo scrittore Camilleri dal solito Fabio Fazioso adotta la trovata, balzana o pericolosa, della immancabile Liliana Segre, proprio lei a proporre una commissione sull’odio, un tribunale delle idee insomma; e sentite come la motiva: “Facciamo cessare questo vento dell’odio, ma perché? Perché l’altro dev’essere diverso da me? L’altro non è altro che me stesso allo specchio”. E a parlare è uno che ha appena ringraziato il Padreterno di non avere più specchi, d’essere diventato cieco così non può vedere il ceffo infame del solito “che semina l’odio”.

Max Del Papa, “Italia Oggi”.