Un’intervista di 10 anni fa aiuta a capire i problemi attuali del Sudafrica

Alcuni eventi successivi all’arresto dell’ex presidente Zuma (proteste, scontri violenti tra fazioni con decine di vittime, arresti, saccheggi) che hanno interessato recentemente il Sudafrica, potrebbero a un osservatore superficiale, o quantomeno non abbastanza addentro alla questione, apparire come imprevisti, incongrui.
Ma come? Non era tutto risolto con la fine dell’apartheid? L’eredità politica e morale di Mandela, il ruolo dell’ANC, non erano una garanzia bastante? Evidentemente no. E non da ora. Da questa mia “vecchia” intervista di dieci anni fa a uno dei protagonisti della lotta di liberazione dei Neri si comprende come, appunto, non sia da ieri e nemmeno dall’altro ieri che i problemi (disoccupazione, immigrazioni, eccetera, per non parlare della sempre rinviata ridistribuzione delle terre) in questa estrema punta del continente rimangono irrisolti. Alcuni, perlomeno.

sol jacob intervista
Jacob Zuma.

“Le speranze di Mandela erano le sue promesse”. Intervista del maggio 2011 al pastore emerito metodista Sol Jacob

La Repubblica Sudafricana aveva appena affrontato le elezioni amministrative del 2011 quando abbiamo avuto la possibilità di incontrare di persona il reverendo metodista Sol Jacob. 1) Entrambi ospiti della comune amica Febe Cavazzutti Rossi nella sua abitazione in vista del Monte Rosso, in prossimità dei Colli Euganei. Dai risultati delle urne, il calo di popolarità dell’ANC (African National Congress, il partito di Nelson Mandela al potere dal 1994) appariva evidente.
“Il problema principale”, ci spiega Sol, “è non aver mantenuto quanto promesso al momento di prendere il potere. Nel 1994, l’ANC aveva garantito che le condizioni generali di vita (acqua, abitazioni, elettricità, strade…) sarebbero migliorate, ma in questi anni è stato realizzato poco, soprattutto per i poveri. Da allora è aumentata e si è arricchita soltanto la classe media nera. Chi faceva parte dell’ANC in genere si è ‘sistemato’, non solo con posizioni di governo”.
Non proprio tutti in realtà: molti ex guerriglieri e prigionieri politici – persone che comunque avevano sacrificato molto della loro vita per la causa – erano rimasti ai margini.
Comunque a molti militanti dell’ANC è stata data la possibilità di entrare nei programmi di promozione per i neri, ottenendo sia posizioni di potere sia l’occasione per arricchirsi. Per superare il passato della discriminazione venne stabilito che una percentuale, una quota di neri doveva entrare nel governo, nell’amministrazione, negli affari. Con il risultato di promuovere una sorta di élite legata all’ANC. “Un punto debole”, sottolinea Sol Jacob”, è che queste persone, per quanto impegnate nel movimento durante la lotta di liberazione, non sempre sono state all’altezza della posizione assunta”.

Ultimamente qualche problema era emerso anche con il movimento giovanile dell’ANC e con i sindacati…

Talvolta il movimento dei giovani si è comportato in maniera, come dire, “destabilizzante”. Per esempio durante la presidenza di Mbeki, il loro leader aveva chiesto esplicitamente di nazionalizzare le miniere e questo ha causato una significativa riduzione degli investimenti.
Quanto ai sindacati, si dicono delusi per le scelte operate dai dirigenti dell’ANC in materia di sviluppo economico. In particolare le Commissioni responsabili della pianificazione non farebbero abbastanza per combattere la disoccupazione, diffusa soprattutto tra la popolazione più povera.

E per quanto riguarda la questione immigrazione che ha provocato una sorta di “guerra tra poveri”, tra lavoratori sudafricani, rifugiati dallo Zimbabwe e immigrati dal Mozambico?

È un fatto che spesso il lavoro viene dato a rifugiati e immigrati in quanto vengono pagati meno. Inoltre, come l’Europa invia in Sudafrica la sua manodopera specializzata invece di assumere quella locale, lo stesso avviene con la Cina. In base ai recenti accordi con Pechino per realizzare l’Alta Velocità in Sudafrica, la manodopera dovrà essere tutta cinese. Potrà sembrare incredibile, ma costa ancora meno di quella sudafricana. Oggi nel nostro Paese esistono leggi precise e garanzie per i lavoratori. I sindacati vigilano affinché certi standard vengano rispettati. Quindi molte aziende preferiscono ricorrere agli immigrati, anche in agricoltura.

L’eredità dell’apartheid è ancora presente sotto forma di razzismo o di xenofobia (anche tra i neri)?

Il razzismo, eliminato a livello legale e istituzionale, attualmente viene perseguito. Esiste ancora quello culturale e ideologico. Una mentalità coloniale, presente talvolta anche nelle Chiese.
Ritengo che per un definitivo superamento dovrà passare almeno un’altra generazione. Tra i bianchi, molti non riescono ancora ad accettare a livello psicologico che le persone siano parificate e cercano di mantenere le loro posizioni di comando.
Inoltre, in un Paese dove il 74% della popolazione vive in condizioni di povertà, è preoccupante che il razzismo politico venga sostituito da un “razzismo economico”, sociale.

Come si configura, a livello di Unione Africana, il ruolo del Sudafrica nella guerra di Libia? Lo chiedo pensando al fatto che il presidente Jacob Zuma si era fatto interprete di una soluzione politica.

Non dimentichiamo che in passato molti esponenti dell’Unione Africana erano sostenitori di Gheddafi. Con la soluzione politica da loro proposta, c’era la possibilità che comunque il Colonnello rimanesse al potere. D’altra parte, non dimentichiamolo, gli Stati africani dipendono dai finanziamenti di Stati Uniti, Unione Europea e banca mondiale. Non sono abbastanza ricchi per avere voce in capitolo.

Africa e neocolonialismo, sia da parte dell’Occidente che delle nuove potenze economiche, in particolare la Cina. In questa prospettiva, la Libia rappresenta una possibile “testa di ponte” verso il resto del continente?

Sicuramente. Del resto questa è stata la visione di Gheddafi. Appunto per questo voleva diventare il prossimo presidente dell’UA. Si potrebbe parlare di una sostanziale convergenza di interessi tra Gheddafi, la Cina e anche la Russia. Ricordo che attualmente [2011] i rapporti commerciali del Sudafrica con la Cina sono enormi. Così come con l’India. Gli indiani vendono di tutto (acciaio, auto, computer…). L’Africa nel suo insieme sta diventando il loro principale campo commerciale, anche approfittando della recessione che aveva colpito l’Occidente e ora anche il Giappone.
Ma comunque questi nuovi poteri economici mondiali – oltre alla Cina e all’India anche il Brasile – non vengono percepiti e non costituiscono un’alternativa per il nostro continente.

Lei ha conosciuto il carcere per il suo impegno antiapartheid. Qualche considerazione pensando all’attuale situazione del Sudafrica e confrontandola con quelle che erano le vostre legittime aspettative…

A volte mi capita di chiedermi se ne sia valsa la pena. Come tanti altri, sono stato incarcerato, tenuto in isolamento, ho rischiato la tortura… Per cosa? Per questo risultato? Per un Paese con il 74% di poveri?
Sicuramente anche Mandela prova qualche delusione. Lui voleva che governassero i giovani, non ha mai avuto l’intenzione di restare a lungo al potere.
Le sue speranze erano le sue promesse.
Penso si sia ritirato anche per il dolore di non vederle realizzate.

N O T E

1) Chi è Sol Jacob? Pastore emerito della Chiesa metodista in Sudafrica e docente di Etica al Federal theological seminary, il reverendo Sol Jacob è stato presidente dell’associazione delle Chiese metodiste. Ha partecipato alla lotta di liberazione dall’apartheid; è stato incarcerato (senza che gli fossero formulate accuse) e posto in isolamento. Sfidando il regime, nel 1977, nella regione del Kwa-Zulu a Pietermaritzburg ha fondato una scuola materna interrazziale e interreligiosa che attualmente, nel 2011, è diretta dalla moglie Isabel e ospita 130 bambini. Nel 2008 ha avviato un progetto di lotta all’HIV-Aids per prendersi cura soprattutto degli orfani. Dirige una catena di assistenza alla povertà estrema, con distribuzione di cibo, corsi di formazione e cura dei bambini di strada. Ha operato in campo ecumenico nel South African Council of Churches (collaborando con Desmond Tutu) e presso l’ONU per la Commissione rifugiati e migranti.