Per tutti i circassi sparsi nel mondo,
la data del 21 maggio 2014 ha segnato il 150° anniversario
dell’espulsione dei loro antenati dalla patria del Nord Caucaso. I
legami tra questa irrisolta eredità del colonialismo russo e le
prestigiose e “putiniane” olimpiadi invernali di Sochi, hanno
rinvigorito l’attivismo circasso. Sebbene all’interno del movimento
coesistano obiettivi e metodi diversi, la richiesta di riconoscimento
dei torti inflitti ai loro antenati è condivisa tanto dai circassi
rimasti nel Nord Caucaso e in Russia (circa 700.000), quanto da quelli
della diaspora mondiale (alcuni milioni). Come affronterà, la Russia,
queste nuove pressioni?

CIRCASSIA1840

La Circassia storica in una mappa del 1840.

La miccia olimpica

Sochi 2014 fece conoscere al mondo la “questione circassa”. Malgrado
la città olimpica e le circostanti zone nordcaucasiche fossero state la
patria storica dei circassi fino al 1864, la nazione ospitante aveva
trascurato di coinvolgerli nell’organizzazione dei Giochi. Questo
contrasta, per esempio, con l’atteggiamento canadese nei confronti dei
nativi in occasione dei precedenti Giochi di Vancouver. Quando il
presidente Vladimir Putin presentò la candidatura di Sochi nel 2007, nel
suo discorso al CIO citò numerose nazioni e culture che avevano
plasmato la costa caucasica del Mar Nero sin dall’antichità classica, ma
non i circassi. La prima volta che accennò agli abitanti originari
della regione fu poco dopo l’apertura, solo per lamentarsi che le forze
ostili alla Russia stavano sfruttando la “carta circassa”. Al contrario,
i parlamenti delle repubbliche di Cabardino-Balcaria nel 1992 e
Adighezia nel 1996 avevano utilizzato il termine “genocidio” nelle
risoluzioni sulla storica violenza contro i circassi. Si riferivano
all’espulsione deliberata di quella che allora rappresentava la più
grande etnia del Caucaso settentrionale, seguita alla sconfitta del 1864
nella guerra russo-circassa.

caucasus-mountains-map

La regione del Caucaso si trova tra il Mar Nero e il Mar Caspio. Il Monte Elbrus è la vetta più alta d’Europa.

 L’emergere di un movimento nazionale

La scelta di Sochi ha rianimato un movimento circasso che si era
sviluppato nei primi anni ’90, ma aveva successivamente perso slancio.
Lo sviluppo più notevole del primo periodo post-sovietico si verificò
tra l’agosto 1992 e il settembre 1993, allorché il conflitto tra Georgia e Abcasia
sfociò in una guerra aperta. Questo diede vita a un movimento di
solidarietà, la Confederazione dei Popoli del Caucaso, che mobilitò gran
parte della regione, in particolare la residua popolazione circassa,
per combattere contro le forze georgiane in Abcasia e svolse un ruolo
non secondario nella loro sconfitta. Centinaia di volontari circassi si
unirono ai combattimenti.
Quanto resta della popolazione circassa nel Caucaso vive per lo più
nelle repubbliche di Adighezia (capitale Maykop), Karachay-Circassia
(Cherkessk) e Cabardino-Balcaria (Nalchik). Quest’ultima ha la
popolazione con la più alta percentuale di circassi (cabardini), il 55
per cento. Durante il periodo post-sovietico, in tutte e tre le
repubbliche i circassi contesero agli esponenti di altre etnie (come i
turchici carachi e balcari, e i russi) i poteri locali e le risorse
economiche. Alle elezioni presidenziali del 1999 in Karachay-Circassia,
fecero da diga etno-politica, con settimane di manifestazioni contro la
contestata vittoria contestata del candidato carachi.
Un ulteriore impulso a un movimento nazionale circasso arrivò nel 2005,
quando il Cremlino annunciò un progetto per revocare l’autonomia
dell’Adighezia e fonderla con il Territorio di Krasnodar.
Le principali richieste degli attivisti sono il ritorno dei circassi
della diaspora nel Nord Caucaso, e il raggruppamento di tutti i
territori storici circassi in un’unica entità autonoma.

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Le repubbliche del Nord Caucaso.

La diaspora

La mobilitazione iniziata nel 2007 si propagò ben oltre il Caucaso settentrionale, coinvolgendo
i circassi emigrati nel resto del mondo, ossia il 90% dell’intero
popolo. La comunità più numerosa si trova in Turchia, nella cui versione
ottomana furono inviati la maggior parte dei deportati circassi. Il
turco cerkes è spesso usato per descrivere tutti i gruppi con
radici caucasiche nella moderna repubblica di Ankara, cioè parecchi
milioni di persone.
Per quanto riguarda i circassi propriamente detti, le autorità ottomane
distribuirono i deportati del 1864 tra gli armeni e altre minoranze
nell’Anatolia occidentale e centrale, oltre che nei possedimenti nei
Balcani e in Medio Oriente. Sebbene le cifre per i gruppi di origine
caucasica nella Turchia moderna si basino su semplici stime, è appurato
che essi sono più numerosi qui che nelle loro regioni d’origine, in
particolare i circassi e gli abcasi. Anche se esistono ancora diverse
centinaia di villaggi circassi nell’Anatolia centrale e occidentale,
l’urbanizzazione ha finito per disperderli nel resto del territorio.
Nel periodo post-sovietico, la grande diaspora caucasica ha svolto un
certo ruolo nelle relazioni di Ankara con la Russia e il Caucaso
meridionale. Al divampare del conflitto abcaso, organizzazioni in
Turchia chiesero solidarietà e appoggio alla lotta dei loro “fratelli”
dell’Abcasia e dei volontari del Nord Caucaso.
Più tardi, a diventare un punto di riferimento per i gruppi di
solidarietà caucasici fu la Cecenia. Le guerre cecene avvennero in un
periodo di buoni rapporti tra Russia e Turchia, che videro le due
potenze del Mar Nero – reduci da più di una dozzina di guerre nel XVIII e
XIX secolo – stringere accordi in ambito commerciale, energetico e
turistico. Questo comportò una serie di limitazioni alla solidarietà di
Ankara verso i gruppi della diaspora avversi alla Russia. Lo stesso
discorso valse anche per le migliorate relazioni con la Georgia in campo
commerciale e turistico.
I gruppi della diaspora hanno un certo rilievo sociale anche negli Stati
del Medio Oriente. Si calcola che in Giordania vivano almeno 100.000
nord-caucasici, in gran parte circassi, ma anche ceceni. Qui la
minoranza circassa è fortemente radicata nel governo, nell’esercito e
negli affari, oltre a essere vicina alla famiglia reale.
La comunità circassa in Siria, anch’essa attorno alle 100.000 persone, è
attualmente in via di estinzione a causa della guerra civile.
I circassi in Egitto occupano una posizione storicamente particolare.
Non arrivarono qui con le deportazioni dalla Russia nell’ottocento, ma
come mamelucchi, un casta militare che ha svolto un ruolo di primo piano
in Egitto a partire dal XIV secolo.
La comunità circassa in Israele conta appena 3500 membri, ma si
distingue per i suoi insediamenti omogenei e la conservazione della
lingua madre. Al contrario, le giovani generazioni della diaspora
occidentale – soprattutto negli Stati Uniti e in Germania – generalmente
non sanno più parlare il circasso.
L’islam non è stato finora fondamentale per l’identità nazionale, anche
se la gioventù circassa nel Nord Caucaso, al pari dei coetanei di altre
nazionalità musulmane nella regione, subiscono l’influenza delle reti
islamiste radicali.

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Protesta dei circassi a Istanbul.

Ritornare in patria?

Nei primi anni ’90, alcune repubbliche russo-caucasiche con
popolazioni circasse strinsero legami con la diaspora, introducendo
programmi di rimpatrio. Ma a parte poche migliaia di rientri, il
rapporto rimase in gran parte limitato a spostamenti turistici. Né c’era
da aspettarsi un’adesione più vasta, considerato che gli emigrati
circassi sono relativamente ben integrati nelle nuove patrie da diverse
generazioni. Fa eccezione la Siria, dove l’escalation bellica
rappresenta una gravissima minaccia per le minoranze etniche e
religiose.
Le organizzazioni circasse di tutto il mondo ora chiedono alla Russia,
che nel 1999 diede rifugio alle famiglie circasse provenienti dalla zona
di guerra del Kosovo, di accettare i connazionali sfollati dalla Siria.
Se diverse centinaia di loro sono già arrivate a Maykop e Nalchik,
Mosca tende a diffidare dei rimpatriati di nazionalità non russa nel
Nord Caucaso. Il governo non ha alcun interesse per un flusso migratorio
che accresca la popolazione caucasica nella regione, dopo che la
maggior parte dei russi etnici l’hanno abbandonata nel corso degli
ultimi vent’anni. La crisi ucraina ha acuito le contraddizioni delle
politiche migratorie russe. Dopo l’annessione della Crimea, il Cremlino
ha offerto la cittadinanza a tutti gli abitanti della ex Unione
Sovietica, a patto che sappiano parlare russo. La restrizione
linguistica esclude naturalmente la diaspora circassa. Nello stesso
tempo, i russofoni dall’Ucraina orientale si stanno insediando nel Nord
Caucaso, nonostante i problemi di sicurezza della zona.

Le reti internazionali

Il primo Congresso Internazionale Circasso si è tenuto a Nalchik, in
Cabardino-Balcaria, nel maggio 1991. È stato organizzato dalla
International Circassian Association (ICA), i cui membri elettivi
rappresentano le comunità presenti nelle tre repubbliche e nella
diaspora. Erano presenti numerose organizzazioni da Turchia, Russia e
altri Paesi, tra cui i consigli circassi delle repubbliche caucasiche,
del Territorio di Krasnodar Krai, di Mosca e di Abcasia, enti di
beneficenza di Turchia, Medio Oriente, California e New Jersey, nonché
un Tscherkessische Kulturverein tedesco.
L’ICA ha come compito principale il coordinamento delle relazioni
culturali tra le comunità circasse di tutto il mondo. Non che abbia
perseguito questo obiettivo con particolare vigore… I suoi uffici sono
gestiti in gran parte da membri delle élite burocratiche delle tre
repubbliche caucasiche, che si preoccupano di evitare il confronto con
Mosca e praticamente non sono riusciti a reagire alla repressione contro
gli attivisti che hanno sollevato la “questione circassa” in occasione
di Sochi 2014. Costoro si stanno sempre più organizzando in piccoli
gruppi autonomi al di fuori dell’ICA, che si è anche lasciata scappare
la transizione all’èra di internet e per un sacco di tempo non ha
neppure avuto un proprio sito.

Relazioni fluide con Abcasia e Georgia

Nel 1992 i circassi affiancarono altre nazioni nord-caucasiche per
combattere con gli abcasi, i loro parenti etnici del Sud Caucaso, contro
la Georgia. Ma le alleanze mutarono dopo la guerra dei cinque giorni
russo-georgiana del 2008. Sotto la presidenza di Mikheil Saakashvili, la
Georgia cominciò a perseguire una politica anti russa per il Nord
Caucaso, il cui argomento di punta fu la questione circassa sollevata da
Sochi 2014. Nel maggio 2011 il parlamento georgiano approvò una
risoluzione che riconosceva il “genocidio dell’impero russo contro il
popolo circasso”. Tbilisi riuscì in tal modo a inserire un cuneo tra
abcasi e circassi, i quali avevano entrambi sperimentato la cosiddetta
pulizia etnica sotto il colonialismo russo. La grande dipendenza dalla
Russia durante il conflitto con la Georgia fece sì che l’Abcasia, con
grande frustrazione del suo ex alleato, non fosse in grado di unirsi a
queste voci.
Nel 2012, il nuovo governo georgiano adottò una linea più pragmatica
verso Russia, e quindi anche verso il Nord Caucaso, evitando di
boicottare le Olimpiadi di Sochi. Ma la sua posizione di fondo sulla
questione circassa rimase invariata. All’indomani della crisi in Crimea
del 2014, alcune forze politiche in Ucraina hanno cominciato a chiedere
che la politica coloniale russa nei confronti dei circassi sia
ufficialmente condannata come “genocidio”.

Oggigiorno…

Oggi tra le fila degli attivisti circassi rimangono pochi veterani
della guerra d’Abcasia. Una nuova generazione tra i 18 e i 28 anni
comunica via internet ed è in rete con le comunità di tutto il mondo.
Sono un esempio del fenomeno che il politologo americano Benedict
Anderson ha definito “nazionalismo di lunga distanza”, che è già stato
collegato alla diaspora armena e di altri popoli.
Anche se il caso circasso non ha prodotto un movimento nazionale
omogeneo ed efficiente, in grado di accendere ulteriori conflitti nel
Nord Caucaso, il rinnovato interesse dei giovani di origine circassa per
le loro radici etniche rappresenta un bel problema per la Russia. Mosca
si trova alle prese con un capitolo irrisolto della sua storia
coloniale. Proprio nella fase in cui il presidente Putin sta coltivando
un patriottismo che lascia poco spazio a una riflessione storica
improntata a un minimo di autocritica.