Commentando l’articolo I ladini delle Dolomiti di Giuseppe Richebuono, pubblicato da Etnie nel 1986, ci scrive Liliana Turri: “Io parlo il noneso che è anche una lingua ladina e qui non se ne fa parola. È fatto incontestabile, riconosciuto anche dai linguisti più competenti del settore”.
La lettrice ci ha cortesemente inviato anche un breve approfondimento, di cui la ringraziamo e che pubblichiamo di seguito:

Il ladino noneso è definito ladino occidentale dal glottologo e linguista Graziadio Isaia Ascoli che fondò la dialettologia retoromanza rivalutandola con i suoi Saggi ladini.
A noi parlanti è evidente il comune ceppo ladino e siamo orgogliosi della nostra lingua e delle nostre tradizioni. Illustri glottologi e linguisti, oltre al citato Ascoli, hanno messo in risalto la contiguità della “lenga nonesa” con il ladino dolomitico e con le altre lingue retoromanze.
Ma ciò evidentemente non basta per ottenere quel riconoscimento nel quale vediamo la possibilità di salvaguardare la nostra cultura e con essa la nostra lingua, al pari dei ladini della Val di Fassa.  
Nel 2011, in occasione del secondo censimento generale, il 25% degli abitanti della Val di Non si era dichiarato ladino. La legge dello Stato n. 482 del 1999 concede agli abitanti del Trentino Alto Adige il diritto di pronunciarsi con censimento sull’appartenenza ad una delle minoranze linguistiche previste dalla Costituzione, nel nostro caso la minoranza linguistica ladina; nel censimento è stata superata di gran lunga la soglia richiesta del 15%. E ciò nonostante l’ostruzionismo delle istituzioni. Per assurdo Belluno che non ha l’Autonomia speciale ha già riconosciuto il gruppo ladino. I nonesi chiedono a gran voce che si rispetti la legge dello Stato.
Alcune associazioni culturali della valle avevano promosso in occasione dei due censimenti (il primo del 2001, con il 17% della popolazione dichiaratasi ladina) numerosi convegni e serate sulla ladinità nonesa, al fine di sensibilizzare e informare la popolazione sulla possibilità di vedere realizzarsi il riconoscimento della propria identità. Fino ad ora, infatti, alcune norme di attuazione riconoscono in provincia di Trento come popolazioni ladine solo quelle residenti nei sette comuni della Valle di Fassa.
Ma la provincia, il cui parere è necessario per ogni variazione allo statuto di autonomia, continua a opporre resistenza. Lo statuto di autonomia, strumento di difesa delle minoranze, è diventato un ostacolo.
Nel 1982 il linguista, glottologo e filologo italiano G. B. Pellegrini scrive: “Essi sono assai poco conosciuti poiché non hanno mai fatto tanto chiasso, non hanno avuto buoni maestri (…) e mancano per lo più di un adeguato appoggio politico, in Italia essenziale per qualsiasi decisione”.
Pier Paolo Pasolini sosteneva come le lingue minoritarie, strumenti di identità e di autenticità, fossero minacciate nella loro sopravvivenza dall’omologazione. Affrontò il tema del rapporto lingue-dialetti mettendolo in relazione con il potere omologante della televisione che schiaccia tutte le lingue alternative; esse, diceva, sono a rischio di estinzione e di invisibilità nel mondo globalizzato.
Il linguista norvegese Einar Haugen ha provocatoriamente illustrato la distinzione pseudolinguistica fra lingua e dialetto con le seguenti parole: “Una lingua è un dialetto con alle spalle un esercito e una flotta”.

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