Nel mese di dicembre 2018, l’ONU ha sfornato un poderoso progetto di gestione delle migrazioni su scala globale, denominato Global Compact for Migration. Si tratta del più solido e ambizioso piano di organizzazione dei flussi migratori mai concepito, che va a incidere non solo sulle strutture sociali dei singoli Stati ma anche sulle coscienze delle singole persone.
Per un verso si forniscono direttive, che sotto la maschera di raccomandazioni si configurano però come disposizioni inaggirabili, alle quali gli Stati dovranno sostanzialmente adeguarsi, e per un altro verso si insufflano concetti e visioni che, sotto forma di richiami etico-sociali, dovranno essere accolti dalle coscienze dei cittadini, soprattutto di quelli dei paesi occidentali. Un piano che interviene dunque sia sul terreno pragmatico sia sulla dimensione mentale: modificare il modo di pensare dei singoli è una condizione necessaria per trasformare la composizione etnico-culturale di una società.
L’obiettivo è il riequilibrio della popolazione mondiale; un problema che il governo globale dell’ONU vuole risolvere applicandovi una tecnica zoologica: spostare masse di persone verso dove c’è più spazio, non in senso geografico ma in senso socio-politico, togliendole da dove, pur essendoci immensi spazi fisici e demografici, ci sono maggiori ostacoli sociali, climatici o etnici.
Chiunque con un minimo di senso della storia direbbe che si tratta di una follia, di un delirio di onnipotenza totalmente privo di consapevolezza riguardo agli effetti devastanti di tali spostamenti. E tuttavia la maggioranza degli Stati vi aderisce, perché molti di essi sono fortemente interessati, in senso sia demografico sia ideologico, a tali dislocazioni, alcuni traendone vantaggio diretto, altri contando su vantaggi in tempi più lunghi, altri semplicemente per acquiescenza internazionale.
Con un atteggiamento freddamente tecnico, quei demografi sembrano equiparare i popoli, con la loro storia e la loro identità, a gruppi di animali trasferibili da un’area all’altra in base alle esigenze di popolamento. L’inaccettabilità di questa impostazione è evidente a tutti, eppure proprio di ciò si tratta: trattare i popoli come semplici popolazioni, come agglomerati umani che si possono manipolare in vista di esigenze ritenute superiori.
Ma i popoli, nella loro forma più avanzata, sono formazioni culturali e spirituali, sono retaggi che si sono affermati in tradizioni, sedimentati nelle coscienze e radicati nelle istituzioni, che hanno volontà e libertà propria, e che si configurano nella storia come nazioni e come Stati. E i popoli europei e occidentali oggi direttamente nel mirino di questo delirante piano mondiale sono tutto ciò in forma eminente.
Discostandosi dal messaggio del Cristianesimo, che afferma l’uguaglianza generica degli esseri umani senza però annullare le loro diversità specifiche, incluse quelle nazionali, che possono essere conservate solo nell’integrità geo culturale, tradizionale e in certa misura perfino etnica di una nazione, l’ideologia del Global Compact mira invece a una omogeneizzazione forzata dei popoli, alla loro unificazione sotto la forma dell’ONU-ficazione.
L’accordo sulle migrazioni è infatti il grimaldello con il quale gli scaltri burocrati sovranazionali intendono scardinare le frontiere, creando una circolazione globale, non solo dei singoli, la cui libertà (entro i limiti delle leggi di ciascuno Stato) va ovviamente preservata, ma delle masse, come è invece obiettivo di coloro che alimentano il progetto della “sostituzione”.
Le frontiere devono trasformarsi in passaggi, perché – questa la tesi, fallace ma suadente – se la migrazione “genera prosperità, innovazione e sviluppo sostenibile”, allora bisogna che “tutte le nazioni siano di volta in volta paesi di origine, di transito e di destinazione”.
A dispetto di ogni logica e di ogni ontologia, di ogni diritto e ogni libertà dei popoli, questa è la premessa del nomadismo globale: lo sradicamento totale, la sostituzione dei popoli europei con semi-apolidi rispondenti alla volontà antica (sorta con il marxismo e affermatasi con il messianismo catto-comunista) di creare un’umanità nuova che purifichi l’uomo occidentale dal suo pensiero tradizionale e dalle sue presunte colpe storiche.
Dal documento finale del “Patto globale per la migrazione sicura, ordinata e regolare” emerge una volontà costrittiva, intimidatoria, da terrorismo psicologico, nei confronti di qualsiasi posizione o espressione anti-immigrazionista. Facendosi schermo dietro a un fine in sé indiscutibile (“condannare e combattere le espressioni, gli atti e le manifestazioni di razzismo, di discriminazione razziale, violenza, xenofobia e connesse forme di intolleranza contro i migranti”), si vuole imprimere sulla carne viva dei popoli il marchio dell’universalismo cosmopolitico: senza barriere, senza radici.
Nel più puro stile del politicamente corretto, viene messo in opera un autentico lavaggio del cervello, come sostiene emblematicamente l’obiettivo 17: “eliminare tutte le forme di discriminazione e promuovere un discorso pubblico a base empirica per plasmare i modi con cui vengono percepite le migrazioni”.
Ciò significa che chi ha una percezione negativa dell’immigrazione, sbaglia, e quindi deve negare la validità della sua percezione e sintonizzare il suo giudizio con l’idea positiva che delle migrazioni fornisce dall’alto il Global Compact. Un’assurdità logica e psicologica che mostra un agghiacciante cinismo (in parte anche sadismo) intellettuale, un violento atto di totalitarismo mentale mascherato da umanitarismo, e una prova del pericolo mortale insito nella concezione positivistico-meccanicistica con cui l’ONU gestisce aspetti cruciali della vita storica e spirituale dei popoli.
Il Global Compact è una minaccia non solo per quello che dichiara, ma anche e soprattutto per ciò che sottende e non dice: bisogna leggerlo fra le righe, decifrarne le intenzioni, le ideologie sotterranee, che vengono da lontano e che guardano lontano. Se il bersaglio più evidente è il concetto di frontiera (le frontiere nazionali sono infatti un ostacolo legittimo al fanatismo internazionalista e terzomondista dell’ONU), l’obiettivo fondamentale è il concetto di umanità e la conseguente creazione di un uomo nuovo, prodotto nel palazzo di vetro come in vitro si producono forme di vita animale o vegetale. In nome di “generici e astratti diritti umani” si negano “i diritti degli uomini concreti”, i diritti della loro storia, dei loro popoli e dello spirito delle loro comunità.
Infatti, fra la manipolazione genetica che interviene sull’embrione umano per modificarlo e l’alterazione etnico-sociale sui popoli e sulle nazioni c’è solo una differenza di campo ma nessuna differenza qualitativa. Ecco ciò che dovrebbe suscitare nei cristiani di tutto il mondo il rifiuto di questo patto scellerato, e che dovrebbe muovere i governi a respingerlo per i medesimi motivi etici con cui la scienza respinge (almeno per ora) la manipolazione dell’embrione dell’essere umano.
Se realizzato, il Global Compact potrebbe diventare il buco nero del terzo millennio, in cui scompariranno le forme spirituali, culturali, religiose, politiche ed etno-nazionali dell’Occidente così come le abbiamo conosciute finora.
A questa tesi e alla sua argomentazione gli zelanti custodi del politicamente corretto e di questo totalitario piano migratorio affibbieranno l’etichetta di visione apocalittica, identitaria, perfino razzista, ma la realtà ci dice che razzista, discriminatoria e devastatrice è invece proprio l’ideologia anti-identitaria e anti-nazionale, perché colpisce le nazioni occidentali ovvero l’umanità che le compone, negandone la libertà, annullandone la forma spirituale, sfregiandole nella loro identità storica e pregiudicando l’edificazione del loro futuro.

 

Renato Cristin, “Corrispondenza Romana”.