L’Uzbekistan abolisce la pena di morte

Non conosco abbastanza la vera storia dell’Uzbekistan (intendo dire: oltre alle versioni contrapposte che circolano, apparentemente strumentali e propagandistiche) per prendere posizione sulla recente polemica in merito alla mancata esposizione – già programmata – del dipinto a olio Quando bombardarono Bukhara. L’opera di Vjačeslav Akhunov (sette metri per due, appena arrivata dagli USA, ma rimasta impacchetta) si riferisce agli eventi del 1920. Secondo un’altra versione era stato bombardato dall’Armata Rossa più che altro l’Ark di Bukhara, il palazzo-fortezza dell’emiro Mohammed Alim Khan. Secondo altre ancora, sarebbe stato egli stesso, prima di fuggire in Afghanistan con il tesoro reale, a far minare il palazzo – e in particolare i locali dell’harem – perché non venisse “contaminato” dai comunisti. Comunque sia, in attesa di saperne di più, per ora sospendo il giudizio.
Ma intanto dall’Uzbekistan giungono anche altre notizie, molto più gradite e confortanti. Con l’approvazione di una nuova carta costituzionale (vedi il referendum del 30 aprile) viene infatti abolita la pena di morte.


Un inciso. Anche se parlar “bene”, relativamente beninteso, della Russia di questi tempi può essere controproducente, non posso non notare che in questo l’Uzbekistan, Paese in difficile equilibrio tra i due schieramenti, si allinea più con Mosca che con Washington. Infatti, mentre la Russia l’ha abolita ormai da un trentennio, essa viene mantenuta e praticata in diversi Stati americani.
È apparso evidente a tutta l’opinione pubblica uzbeka che gran parte del merito per la definitiva scomparsa di questa norma iniqua spetta a una donna coraggiosa: Tamara Chikunova.
Deceduta due anni fa, questa autentica “Madre Coraggio”, dopo che il figlio era stato giustiziato nel luglio del 2000, si era impegnata senza tregua prima per la moratoria e poi per l’abolizione. Da indagini successivi il figlio era poi risultato innocente del crimine per cui era stato condannato. L’ennesimo esempio di un errore giudiziario che – nel caso la condanna a morte sia già stata eseguita – risulta assolutamente irrimediabile, irreversibile.
In attesa che anche il resto del pianeta si adegui, consoliamoci con questa importante vittoria dell’etica (o semplicemente del buon senso).