Manifestazioni: cambio di strategia in Colombia?

Si calcola che le persone uccise in Colombia dalla polizia dalla fine di aprile durante le manifestazioni popolari siano almeno una cinquantina. Oltre ai metodi abituali, dall’inizio di maggio vengono utilizzati anche i lanciagranate Venom. Ma senza rispettarne i protocolli di sicurezza, ossia non sparando – come stabilito – a parabola, ma direttamente e a corta distanza sulla folla.
Il lanciagranate Venom viene fabbricato dalla statunitense Combined Systems Inc (CSI) che rifornisce anche Israele. L’ordigno è composto da tre compartimenti diversamente inclinati e contenenti dieci granate ciascuno. Sia lacrimogene sia assordanti.
Si ritiene che proprio una granata di questo tipo abbia determinato il decesso di un giovane manifestante a Popayan il 14 maggio. Ora sembrerebbe che il governo intenda adottare nuovi metodi e criteri. Forse più subdoli e mascherati (“discreti”?), ma non per questo meno brutali.
Temendo forse che le immagini diffuse negli ultimi giorni abbiano scandalizzato eccessivamente l’opinione pubblica.
Ed ecco allora comparire – soprattutto nella città di Cali – queste inedite camionette di color bianco, prive di elementi atti a identificarle. Dall’interno uomini armati – anche questi in genere privi di segni di identificazione – hanno sparato direttamente sui manifestanti antigovernativi, come documentato da alcuni video. In almeno un paio di casi la loro appartenenza alle forze dell’ordine veniva confermata dalla presenza all’interno anche di uomini in divisa. Così come ha poi dovuto riconoscere il comandante della polizia in quanto sarebbe “diventato troppo pericoloso avvicinarsi alle manifestazioni in uniforme”.

Cali: gli agenti antisommossa della ESMAD, accusati di sparare contro i manifestanti.

Ancora più grave, l’utilizzo dello stupro (in stile esercito turco) come “arma da guerra” contro le donne fermate nel corso delle manifestazioni. Soltanto in maggio sono almeno una ventina le testimonianze raccolte dalle ONG in merito a violenze sessuali contro chi protestava. Oltre un centinaio, poi, le testimonianze di violenze genericamente definibili “sessiste” (soprattutto minacce di stupro contro le donne in stato di fermo). 
Due giorni dopo essere stata violentata da una decina di poliziotti il 12 maggio, una giovane donna si è suicidata.