Nel secolo scorso le chiamavano “antiuomo”. Ora, più correttamente, “antipersona”, ma la sostanza non cambia.
Me ne ero occupato con qualche articolo di denuncia tra la fine degli anni ottanta i novanta. Prima che approdassero, per esempio, anche al Costanzo-show. Tra l’altro – era una mia impressione – questi famigerati strumenti di morte (destinati, alla verifica dei fatti, a mietere vittime soprattutto tra i civili) acquistarono una certa notorietà e suscitarono scandalo nell’opinione pubblica dopo che per anni alcuni Paesi occidentali ne avevano detenuto il quasi monopolio, sia della produzione sia della distribuzione.
Solo dopo – era sempre la mia impressione – che i brevetti erano stati ceduti ad altri Paesi, come Egitto, Pakistan, eccetera, l’opinione pubblica era stata informata adeguatamente dai media suscitandone la legittima indignazione. Meglio tardi che mai, ovviamente. Anche se rimaneva qualche perplessità sul singolare tempismo.
Torniamo ai nostri giorni. Risale al 31 gennaio 2020 l’annuncio di Washington di voler sostanzialmente cancellare la precedente politica statunitense, introdotta da Obama, in materia di mine antipersona, sia per la produzione sia per l’utilizzo.  Stephanie Grisham, portavoce della Casa Bianca, ha presentato il nuovo corso, deciso dall’amministrazione Trump, con cui viene autorizzato “in circostanza eccezionali” l’utilizzo delle mine in questione “specificatamente progettate per ridurre i danni ai civili e agli alleati” in modo tale “da dare ai militari la flessibilità e la capacità necessarie per vincere”. Sarò anche prevenuto, ma avrei qualche obiezione sul fatto che questi ordigni siano effettivamente progettati e costruiti “per ridurre i danni ai civili”.
Con tale iniziativa si amplia lo spettro delle prese di distanza  degli USA dagli accordi internazionali (vedi Accordo di Parigi sul clima, vedi intese sulle armi nucleari e sui missili a medio raggio…).
In questo caso, non dimentichiamolo, si parla di armi in grado sia di uccidere sia di menomare soprattutto i civili. E in maniera assolutamente indiscriminata, incontrollabile. Come dimenticare che in passato abbiamo assistito anche alla produzione di mine “travestite” da giocattoli o da oggetti di uso quotidiano? Per non parlare della realizzazione di mine con componenti in plastica in modo che le schegge penetrate nelle vittime sfuggissero alle radiografie. Poi a perdere la vita o un arto erano soprattutto l’anziana donna intenta a raccogliere legna nella boscaglia o il pastorello che portava al pascolo le capre.
Ma anche senza rievocare questa esasperazione della crudeltà e del cinismo, l’annuncio di Washington costituisce un pessimo segnale per la comunità internazionale, come ha correttamente sottolineato uno dei maggiori esponenti della Campagna italiana contro le mine, Giuseppe Schiavello. Anche perché, visto e considerato che “per quasi trent’anni gli Stati Uniti non hanno utilizzato mine antipersona, si suppone che questa esigenza di protezione non ci fosse”.
In realtà, precisava Schiavello, il bando sulle mine sottoscritto da ben 164 Paesi “non era mai stato firmato e ratificato dagli Stati Uniti, ma Washington si era adeguata sotto una spinta etica internazionale”. Aggiungendo che “gli Stati Uniti risultavano, insieme all’Unione europea, uno dei due principali soggetti donatori per la mine action, per la bonifica e l’assistenza alle vittime”.  Presumibilmente, un buon risultato conseguito sempre grazie alle politiche adottate in passato dall’amministrazione Obama.
E l’Italia?  Pur ritrovandosi tra i principali attori internazionali attualmente in campo contro le mine (almeno dal 1994, con una moratoria unilaterale su produzione e uso), al momento ritarda e langue il disegno di legge sul contrasto al finanziamento delle imprese produttrici. Stando alle ultime notizie, rimarrebbe ancora in attesa alla commissione Finanze della Camera (presidente Carla Ruocco). Inviato per la firma del presidente della Repubblica già due anni fa, veniva rimandato indietro per la correzione di un comma di un articolo rimanendo poi bloccato in Parlamento. “A marcire”, commentava amaramente Schiavello.