Cuba, la mia patria, ha appena “festeggiato” 56 anni di martirio sotto una nefasta rivoluzione comunista. Ma in tutto il pianeta ben poche voci si sono levate per esprimere indignazione contro questo dramma e il suo tragico anniversario. Molti governanti, anno dopo anno, si sono stracciate le vesti davanti alle Nazioni Unite, condannando il cosiddetto “embargo esterno” americano, inviando messaggi di saluto ai tirannici fratelli Castro, ma senza spendere una parola d’accusa per l’implacabile “embargo interno” del regime contro i 12 milioni di abitanti dell’isola-carcere.
Stiamo assistendo a uno dei più clamorosi esempi di prestidigitazione pubblicitaria della storia: un regime che per decenni è stato la punta di diamante delle sanguinose rivoluzioni latino-americane e africane, e che oggi continua ad alimentare un cordone ombelicale ideologico verso le tre Americhe, a livello d’immagine si sta trasformando da aggressore in vittima.
Sono innumerevoli i casi di aiuti internazionali al regime cubano che ne hanno permesso e ne permettono tuttora la sopravvivenza, come l’enorme sostegno finanziario dell’Unione Sovietica fino al suo crollo; il Venezuela chavista fino alla sua disintegrazione attuale; il Brasile lulista-dilmista, ora con le casse sempre più vuote; fino all’imprevedibile “asse” Obama-Francesco. Un asse politico-spirituale sui generis che, indipendentemente dalle intenzioni di queste altissime personalità, non farà altro che riversare fiumi di danaro e prestigio nell’apparato repressivo del regime.
Il 19 dicembre, due giorni dopo l’annuncio contemporaneo a Roma, Washington e L’Avana del ripristino delle relazioni diplomatiche tra il governo americano e la dittatura cubana, una vedetta della guardia costiera castrista, presumibilmente in acque internazionali, ha speronato e affondato un’imbarcazione con 32 cubani a bordo, tra cui 7 donne e 2 bambini. Si trattava semplicemente di persone che cercavano la libertà fuggendo dal famigerato “embargo interno” imposto dalla tirannia di Castro ai suoi abitanti.
Una sopravvissuta, Masiel González Castellano (il marito Leosbel Beoto Diaz è invece annegato), ha poi raccontato al telefono: “Urlavamo chiedendo aiuto, perché la barca stava affondando. Ma non ci davano retta, si limitavano a guardarci dalla prua della vedetta. Alcuni di noi si gettavano in acqua, altri sono rimasti a bordo mentre la barca affondava. Vedevano che c’erano bambini con noi, ma non gli importava”.
È stato un atto crudele da parte di un regime che sente di avere le spalle coperte da alleati potenti. Un simile gesto criminale avrebbe meritato un clamore mondiale d’indignazione, mentre non ne hanno praticamente fatto cenno né la stampa internazionale, né i governi occidentali, né le organizzazioni in difesa dei “diritti umani”, né… ahimè… gli ecclesiastici che dovrebbero imitare il Buon Pastore, pronto a dare la propria vita per le sue pecorelle.
Il 31 dicembre scorso all’Avana, in occasione del 56° anniversario della rivoluzione, c’è stato un giro di vite contro gli avversari che tentavano di riunirsi in Plaza de la Revolución per far conoscere – come se esistesse qualche dubbio – le attuali posizioni del regime.
Negli Stati Uniti vari esperti hanno dimostrato, documenti alla mano, come l’apertura pressoché senza condizioni del governo favorisca il regime cubano e danneggi la causa della libertà nell’isola, i cui abitanti sono ancora in balia dei tiranni. E dure critiche sono state rivolte al presidente Obama (cfr. Marc A. Thiessen, Cuban dissidents blast Obama’s betrayal, “Washington Post”, 29 dicembre 2014; Obama le da al régimen de Castro en Cuba un rescate inmerecido, editoriale in spagnolo e inglese del “Washington Post”, 17 dicembre 2014).
Tuttavia, pochi analisti sottolineano l’aspetto più grave e tragico di questo accordo: la responsabilità del suo eminente ispiratore e mediatore, Papa Francesco. Il 17 dicembre, giorno in cui è stato annunciato il ripristino delle relazioni diplomatiche, Bergoglio, oltre a riaffermare il ruolo papale nell’operazione, ha salutato con favore il rilascio da parte USA di “alcuni detenuti” senza nemmeno accennare che il regime comunista non tiene soggiogati soltanto “alcuni” cubani, ma qualcosa come 12 milioni di individui. È estremamente doloroso dirlo, ma il giogo sotto il quale Castro continua a schiacciare i miei fratelli isolani gode adesso di un autorevolissimo beneplacito.
Dobbiamo ricordare che i “detenuti” castristi erano in realtà spie cubane processate e condannate dalla giustizia americana per complicità nell’omicidio di giovani appartenenti al gruppo Hermanos al Rescate, nonché per aver pianificato l’introduzione di esplosivi a Miami a fini terroristici. Motivi per cui il capintesta di questi “detenuti” era stato condannato a due ergastoli.
Non è la prima volta che Papa Francesco, più o meno intenzionalmente, assume atteggiamenti che favoriscono le sinistre politiche ed ecclesiastiche del continente americano. Per esempio, dal 27 al 29 ottobre 2014 si è tenuto a Roma l’Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari che ha riunito 100 leader rivoluzionari da tutto il pianeta, tra cui noti agitatori di professione latino-americani, e al quale ha partecipato lo stesso Francesco. In sostanza, è stata messa in scena una sorta di “beatificazione” in vita di queste figure rivoluzionarie di ispirazione marxista: “beati” di una “chiesa alla rovescia” contraria alla dottrina sociale della Chiesa così come è stata concepita dai predecessori di Bergoglio (cfr. Il Papa saluta e benedice, “L’Osservatore Romano, 28 ottobre 2014).
Ho già avuto occasione di commentare eventi analoghi, come quando Francisco ha annullato la “sospensione a divinis” per il sacerdote nicaraguense Miguel D’Escoto Brockmann, del tristemente noto ordine di Maryknoll, ex ministro degli esteri sandinista e uno dei rappresentanti della teologia della liberazione più favorevoli a Castro. Il prete D’Escoto era stato condannato dal Vaticano nel 1984 per il suo coinvolgimento nella persecuzione dei cattolici durante il primo governo sandinista del Nicaragua (cfr. Armando Valladares, Torna la teologia della liberazione?, “Etnie”, 8 agosto 2014).
Purtroppo, pensieri, parole e opere di Papa Francesco stanno direttamente o indirettamente favorendo l’oppressione del popolo cubano e la “sinistrizzazione” del continente americano. La sensazione è che, sotto questi aspetti, il suo pontificato si evolverà in una grande confusione, per non dire caos, con conseguenze inquietanti per il futuro politico, sociale e cristiano delle Americhe.
In quanto cattolico, nonché ex prigioniero politico cubano che ha trascorso 22 anni nelle galere di Castro e ha rafforzato la sua fede nell’udire le urla dei giovani cattolici davanti al plotone d’esecuzione – “Viva Cristo Rey, abajo el comunismo!” – non posso tacere la sofferenza e il dramma interiore che mi provocano questi fatti. Si tratta di una delle situazioni più dolorose che possano esistere, per il modo in cui mette in forse il legame con la Santa Sede. Tuttavia, come ho già avuto modo di esprimere, la fede dei cattolici deve uscire intatta e addirittura rafforzata da questi dilemmi, ché nelle questioni politiche e diplomatiche neppure i papi sono infallibili. E non vi è alcun obbligo per i cattolici di accettare simili discorsi e iniziative laddove essi differiscano dalla linea tradizionale della Chiesa nei confronti del comunismo.