Non cinque, non dieci e nemmeno ventisei, come da ultima, pubblicizzatissima bozza. I punti del programma del governo giallorosso si riducono in realtà a uno. Quella che per sir Winston Churchill era la stella polare di ogni sinistra che si rispetti, l’unica “virtù inerente al socialismo”: l’uguale condivisione della miseria. Ce lo ha confermato ieri il ministro per il Sud e la coesione territoriale (chissà perché non esiste mai, chessò, un ministro “per il Nord e lo sviluppo territoriale”) Giuseppe Provenzano. Che in un’intervista a Circo Massimo su Radio Capital ha ripreso la succitata teoria: visto che l’Italia è una nazione fortemente disomogenea per progresso e benessere, esiste una ricetta infallibile per sanare la frattura: trascinare tutti al livello del peggiore. Esordisce il Provenzano: “Sull’autonomia il punto è politico: io credo che il progetto e le richieste di Veneto e Lombardia spaccavano il Paese”. Paese oggi invece unito, essendo la qualità della vita a Trento la medesima che a Crotone. Ma transeat, seguiamo il ragionamento. “Adesso noi abbiamo il dovere di realizzare un’autonomia giusta, e un’autonomia giusta è quella in cui si salvaguarda, a differenza della richiesta del Veneto, la coesione nazionale, e non si renda impossibile perseguire il superamento dei divari che serve al Paese”.

Prepararsi a pagare

Fumisterie che poggiano sul paradosso: era proprio la proposta del Veneto, quella più conseguente, quella che prevedeva anche di trattenere almeno parzialmente i proventi delle tasse in loco, piuttosto che bruciarli tutti nella greppia romana, l’unica che avrebbe dato al Meridione la chance di “superare il divario”: affrancarsi dall’assistenzialismo, dalla paghetta altrui, e farcela da solo. Niente, il pensiero del Provenzano è più ostinato di qualsiasi realtà: “Significa non che non ci siano scuole di Serie A o di Serie B, che purtroppo esistono già oggi, ma dobbiamo capire se vogliamo aggravare questa situazione o se vogliamo cominciare a invertirla”. Cioè: la disparità scolastica (come quella occupazionale, imprenditoriale, sanitaria) esiste già oggi, a modello ipercentralista vigente, e noi che facciamo? Insistiamo ancora di più su quel modello.
La conferma dell’assurdo arriva poco dopo: “Questo significa, a proposito della spesa, che dobbiamo fissare, oltre ai costi standard, i fabbisogni standard e i livelli essenziali delle prestazioni sui servizi”. Occhio, quando leggete nel bislinguaggio politichese e meridionalista “livelli essenziali delle prestazioni sui servizi”, dovete tradurre in quello della vostra vita: mazzata di tasse. La chiosa infatti è una dichiarazione d’intenti: “L’autonomia giusta è quella che prevede dei fondi perequativi”. Preparati, polentone, a sganciare (ancora). L’autonomia giusta è quella che s’intrufola nelle tasche dei virtuosi e dei produttivi, per estrarre le risorse utili alla “perequazione”, cioè al mantenimento degli inattivi e dei dissipatori. È come dire che il percorso di castità giusto è quello praticato da Ilona Staller, in arte Cicciolina.
La stessa delega del ministro Provenzano, del resto, è un non-sense: la “coesione territoriale” di una nazione che è nata non coesa, perché non coesa storicamente, e che quindi avrebbe senso solo in un’ottica federale. L’alternativa è alimentare il bluff, che si regge sulla rapina fiscale ai danni del Settentrione e l’assistenza becera ai danni del Meridione, e si traduce in una sola politica: tassare, come se non ci fosse un domani. Aumentare ulteriormente il saccheggio delle regioni che mantengono il carrozzone (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte) e che già oggi si vedono scippare dall’idrovora statalista circa 100 miliardi l’anno. Finché, e il governo giallorosso rischia di raggiungere l’ambizioso obiettivo, saranno anch’esse ridotte in miseria.

Giovanni Sallusti, “Libero”.