Dare una definizione di terrorismo ha conseguenze pratiche: dichiarare formalmente che un atto di violenza è un’azione terroristica ha infatti importanti implicazioni nella legge americana.
Le persone sospettate di terrorismo dopo l’arresto possono essere trattenute più a lungo senza un’incriminazione rispetto a chi è sospettato di aver commesso un reato, e possono essere interrogate senza la presenza di un avvocato; sono condannate a pene detentive più pesanti e sono soggette a numerose restrizioni supplementari note come Speciali Misure Amministrative o SAMS. Il cosiddetto TRIA, Terrorism Risk Insurance Act del 2002 (la legge sul rischio assicurativo in materia di terrorismo), concede alle imprese vittime di atti terroristici delle speciali esenzioni (attualmente, in fase di rinnovo) e tutela i proprietari di edifici da determinate azioni legali. Quando si invoca il terrorismo, le famiglie delle vittime, come nel caso dell’attentato di Fort Hood, beneficiano di ulteriori vantaggi come esenzioni fiscali, assicurazioni sulla vita e risarcimenti per danni di guerra. Possono perfino vedersi assegnare un grattacielo newyorkese.
Il “Terrorism Risk Insurance Act del 2002” ha reso sempre più necessario definire che cosa s’intende per “terrorismo”.
Ma, nonostante le importanti conseguenze giuridiche legate a questo termine, il terrorismo continua a essere una locuzione generica, dall’accezione vaga di “attore non statuale che attacca obiettivi civili seminando la paura per conseguire presunti obiettivi politici”. Uno studio sull’argomento, intitolato Political Terrorism, menziona 109 definizioni. David Tucker, esperto di sicurezza statunitense, osserva ironicamente che “sopra le porte dell’inferno c’è scritto che tutti quelli che entrano dovrebbero abbandonare la speranza. Meno terribile ma dallo stesso effetto è il monito lanciato a chi cerca di formulare una definizione di terrorismo”. Boaz Ganor, esperto israeliano di antiterrorismo, dice scherzosamente: “Gli sforzi per dare una definizione al terrorismo talvolta sono duri come quelli compiuti contro lo stesso terrorismo”.
Questa mancanza di precisione provoca caos, soprattutto in seno alla polizia, tra i pubblici ministeri, i politici, la stampa e il mondo accademico.
“La violenza perpetrata e messa in relazione a un gruppo riconosciuto a livello internazionale come terroristico”, come al-Qaeda, Hezbollah o Hamas, è diventata per la polizia la definizione del termine terrorismo. Questo spiega certe curiose dichiarazioni rilasciate all’indomani di un attentato, come ad esempio: “Non è stato scoperto nessun legame col terrorismo”, sottintendendo in modo ridicolo che “i lupi solitari” non sono mai terroristi.
Se costoro non sono terroristi, la polizia deve trovare un’altra spiegazione per motivare i loro atti di violenza. In genere, si parla di problemi personali: follia, tensioni familiari, dispute lavorative, “l’angoscia dell’immigrato”, prescrizioni di farmaci o anche turbolenti viaggio in aereo. Ponendo l’accento sui demoni personali piuttosto che sull’ideologia, gli investigatori si concentrano sulla vita privata (in genere irrilevante) dell’autore della violenza, senza prestare attenzione alle motivazioni politiche che sono ben più importanti.
Ma poi, in modo contraddittorio, essi escludono i legami con un gruppo internazionale. Quando nel novembre 2011, Oscar Ramiro Ortega-Hernandez sparò otto colpi di arma da fuoco contro la Casa Bianca, il procuratore disse che “sparare con un fucile d’assalto contro la Casa Bianca per fare una dichiarazione politica è terrorismo puro e semplice”, e non c’è bisogno di tirare in ballo un’organizzazione terroristica internazionale. Allo stesso modo, nel novembre 2013, dopo essere stato fermato per la sparatoria all’aeroporto internazionale di Los Angeles in cui rimase ucciso un agente della Tsa, l’agenzia per la sicurezza nei trasporti, Paul Anthony Ciancia fu incriminato con l’accusa di “aver pianificato e premeditato la morte di una persona e commesso un atto di terrorismo”.
Questa imprecisione terminologica alimenta la confusione più assoluta. Il mondo intero parla di terrorismo relativamente agli attentati alla maratona di Boston, eccetto il dipartimento del Tesoro, che diciotto mesi dopo ha asserito che “non è appurato che si sia trattato di un ‘atto di terrorismo’ come previsto dal Terrorism Risk Insurance Act”. Nel gennaio 2014, il giudice che presiede il processo per terrorismo a carico di Jose Pimentel, accusato di aver fatto esplodere ordigni artigianali a Manhattan, ha respinto la richiesta del pubblico ministero di nominare un esperto per giustificare l’accusa di terrorismo. Talvolta, i funzionari del governo si esimono da ogni responsabilità, e così nel giugno 2013 a una domanda posta alla portavoce del dipartimento di Stato se il governo americano riteneva che i talebani fossero un gruppo terroristico, la funzionaria rispose: “Be’, non saprei esattamente come definirli in questo momento”.
Nel maggio 2013, una sparatoria a New Orleans, in cui rimasero ferite 19 persone generò una situazione ancor più confusa. Una portavoce dell’Fbi non definì l’episodio un atto di terrorismo ma “un atto di mera violenza urbana”. Il sindaco dissentì e quando gli fu chiesto se riteneva che si trattasse di un episodio di terrorismo, rispose: “Penso di sì,” perché le famiglie “hanno paura di uscire di casa”. Sfidato a risolvere questa contraddizione, un agente speciale dell’Fbi di New Orleans rese la situazione ancora più oscura dichiarando: “Si può dire che si tratta senza alcun dubbio di terrorismo urbano. È terrorismo urbano. Ma dal punto di vista dell’Fbi e relativamente a quello che vediamo a livello nazionale, non è ciò che noi consideriamo terrorismo in quanto tale”. Avete capito?
Questa mancanza di chiarezza costituisce un’importante sfida politica. Il terrorismo, con tutte le sue implicazioni giuridiche e finanziarie, non può continuare a essere un concetto vago e soggettivo, ma necessita di una definizione precisa e accurata, da applicare in modo coerente.

 

24 ottobre 2014 – www.danielpipes.org
traduzione di Angelita La Spada