All’alba del 24 giugno scorso, dodici capi maya del villaggio di Santa Cruz nel Belize meridionale sono stati arrestati in grave violazione dei loro diritti. Le personalità locali, elette in base alle pratiche tradizionali di questa comunità, sono state accusate di aver detenuto illegalmente un individuo. Tra di loro il presidente della giunta municipale, il vicesindaco e la portavoce della Maya Leaders Alliance (MLA), Cristina Coc, una tranquilla e rispettabile madre di due figli.

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Cristina Coc.

Nell’udienza pomeridiana la cauzione è stata inizialmente fissata a 8000 dollari a testa. Quando uno degli avvocati difensori ha spiegato che si trattava di una cifra insostenibile per semplici agricoltori maya, il magistrato ha aumentato l’importo a 10.000 dollari. Secondo gli avvocati locali, la cauzione per questo tipo di reati varia in genere tra 1000 e 3000 dollari. La cauzione è poi stata pagata dagli abitanti di varie comunità maya e tutti sono stati rilasciati. Il mandato di arresto non è mai stato presentato agli avvocati o ai loro clienti. Il caso è stato aggiornato al 28 luglio 2015.
Come racconta l’organizzazione Cultural Survival, le accuse si basano sulla denuncia di certo Rupert Myles, che era stato ammanettato dalla polizia locale maya durante un consiglio di villaggio allorché aveva dato segni di agitazione e minacciato di estrarre una pistola. Alle radici del conflitto, la costruzione illegale di una casa su un antico terreno sacro ai maya, il tempio di Uxbenka. Le leggi del Belize proibiscono di edificare in qualsiasi sito archeologico.
Il popolo maya è legalmente proprietario del territorio di Santa Cruz, dove si trova Uxbenka, come da recente decisione della Corte di Giustizia dei Caraibi che riconosce i diritti dei nativi sulle loro terre tradizionali. I diritti tradizionali dei maya, che fanno parte della legislazione del Belize, richiedono tra l’altro che le persone coinvolte abbiano la residenza nel villaggio. Rupert Myles non ne aveva mai fatto richiesta.
Le autorità maya avevano precedentemente denunciato la situazione alla polizia di Punta Gorda, alla Forza di Difesa del Belize e all’Istituto di Archeologia del Belize (NICH), ma Myles proseguiva con i lavori, causando danni irreparabili al luogo sacro e costruendo una strada d’accesso con le ruspe. Nel maggio 2015, il direttore del Progetto Archeologico Uxebnka ha inviato una lettera al NICH spiegando che Myles “ha fatto lavori con le ruspe nella zona archeologica (…). Ha anche costruito nuovi edifici, e ha bruciato la vegetazione fino al limite della piazza d’acciaio, mettendo in ulteriore pericolo le rovine. L’attività dei mezzi meccanici ha danneggiato irreparabilmente il sito”.
I dirigenti locali contestano l’accusa di avere commesso abusi su Myles, sottolineando che la polizia maya lo ha trattenuto, non arrestato, avendo egli accettato per iscritto di rimuovere la struttura e le cose di sua proprietà entro 14 giorni.
La questione è balzata alle cronache nazionali dopo i commenti del primo ministro del Belize, Dean Barrow. Alla televisione nazionale, Barrow ha giudicato “scandaloso” e “assolutamente insostenibile” il trattamento subìto da Myles per mano del popolo maya. Salvo sostenere di non sapere niente della distruzione illegale del luogo sacro quando gli è stato chiesto di commentarla.

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Il sito archeologico di Uxbenka.

La Dichiarazione ONU è chiara in proposito

Il diritto maya di difendere i loro luoghi sacri è sancito dalla Dichiarazione ONU sui Diritti dei Popoli Indigeni. L’articolo 11.1 stabilisce che i nativi hanno il diritto di proteggere le manifestazioni del passato delle loro culture, come siti archeologici e storici. L’articolo 11.2 impone agli Stati di fornire un risarcimento per i beni culturali sottratti senza il loro libero consenso informato o in violazione delle loro leggi, tradizioni o usanze.
Inoltre, le autorità maya possono e devono esercitare i propri sistemi di giustizia. L’articolo 34 della Dichiarazione afferma che i popoli indigeni hanno il diritto di promuovere, sviluppare e difendere le loro strutture e i loro costumi caratteristici, in termini di spiritualità, tradizioni, procedure, pratiche; e, nei casi in cui esistano, le loro impostazioni giuridiche e istituzionali ai sensi delle regole internazionali sui diritti umani.
Giustamente, i leader maya rivendicano il loro operato. “Gli abitanti del villaggio continueranno a difendere questi siti del patrimonio culturale che sono una ricchezza per tutti i belizeani. La Toledo Alcaldes Association e la Maya Leaders Alliance sono molto preoccupate per questa escalation”, ha spiegato la MLA in un comunicato stampa. E, in risposta ai commenti del primo ministro: “Consideriamo inopportuna e prematura qualsiasi dichiarazione che condanni il popolo maya senza la piena comprensione del caso Uxbenka. Esprimiamo altresì la nostra preoccupazione per ogni tentativo di mettere in discussione l’ordine [della della Corte di Giustizia dei Caraibi] o di molestare i nostri leader. La Toledo Alcaldes Association ha richiesto e continuerà a richiedere un incontro con il governo per evitare ulteriori violazioni dei diritti maya, decisa a informare gli organismi internazionali per i diritti umani che monitorano la situazione del nostro popolo nel Belize. Come tutti i belizeani ci preoccupiamo per la tutela dei luoghi sacri maya e ci impegniamo a costruire una società libera da discriminazioni razziali”.

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