A parte l’osceno spettacolo delle immagini del video (oltre allo scavalcamento, l’infinita teoria di alpinisti incolonnati come in autostrada a ferragosto), non capisco e mi sembra leggermente ipocrita l’indignazione per l’omissione di soccorso nei confronti di uno sherpa agonizzante. O così almeno viene definito da alcune agenzie, ma in realtà la vittima in questione, Muhammed Hassan (27 anni, lascia la moglie e tre figli), sarebbe di nazionalità pakistana, forse di etnia baltì o hunza. Ricordo che il termine “sherpa” indica una precisa etnia nepalese anche se viene impropriamente utilizzato come sinonimo di portatore.
Dobbiamo quindi prendere atto che anche per baltì e hunza si profila un utilizzo sistematico come forza lavoro subalterna, servile, a disposizione del turismo occidentale e non (anche le borghesie locali e mediorientali non scherzano) in qualità di portatori d’alta quota. Venendo espropriati oltre che delle proprie tradizioni e identità anche di una autentica autodeterminazione; come del resto è avvenuto per la comunità sherpa.
Ma tornando all’episodio incriminato, scusate: cosa vi aspettate dai professionisti dell’alta quota, gente a caccia di record e notorietà oltre che di sponsor? L’empatia forse? Ma andiamo.
Stesso “stile” delle picconate agli hunza “scioperati e scioperanti” all’epoca del K2 o dei cazzotti di un noto primatista degli ottomila ai portatori, stando a quanto mi raccontavano. O magari, si parva licet, delle pentole a pressione utilizzate in alta quota (un tributo alla modernità?) che poi magari scoppiano in faccia al cuoco indigeno, più esperto di bracieri e tegami tradizionali.
Volendo allargarsi, si potrebbe evocare la “fase suprema del capitalismo”. Ossia colonialismo e imperialismo, se pur sotto mentite spoglie.
Il luogo della tragedia si trova sulla via “esplorata” ancora nel 1909 dal Duca degli Abruzzi e poi utilizzata dalla spedizione del 1954. E se tanto mi dà tanto…