Terra di cowboy, ranch e rodeo, immagini simboliche del glorioso Far West e indissolubilmente legate al mito della frontiera, ravvivate da un sottofondo dominato dall’affascinante atmosfera creata dalla musica country; ma anche patria degli spazi aperti e illimitati, della libera circolazione delle armi e della pena di morte, Stato dei pozzi di petrolio, della NASA e delle industrie ad alta tecnologia: il Texas è allo stesso tempo l’insieme di tutti questi elementi iconici, spesso stereotipati, ma fortemente rappresentativi di un’area geografica, di un’identità e di una tradizione culturale fortissima e speciale, differente rispetto al resto degli Stati Uniti.
Questa diversità, che si evince a partire dal soprannome Lone Star State (Stato della stella solitaria) derivante dalla sua bandiera su cui compare una sola stella, metafora di un percorso a se stante, è dovuta sia a caratteristiche intrinseche di natura geografica, morfologica e climatica che lo differenziano dagli altri in modo piuttosto marcato, sia da contingenze storiche, politiche e sociali che lo hanno reso e lo rendono un vero e proprio unicum nel panorama statunitense.
Secondo Stato per estensione del Paese dopo la lontana Alaska, il Texas rappresenta infatti l’unico esempio di entità che nel corso della giovane storia a stelle e strisce è stata una repubblica indipendente: i texani hanno conquistato la loro autonomia da soli nel 1836 ribellandosi al Messico di cui erano parte e sono rimasti territorio indipendente fino al 1845, data dell’annessione agli USA. Una volta entrati a far parte della federazione, i texani hanno tuttavia conservato una propria e particolare orgogliosa identità, frutto di tutte le vicende precedenti, tramandata nelle generazioni, che ha contribuito al radicamento e alla diffusione di una mentalità specifica condita da valori e ideali fortemente vivi ancora oggi e, di conseguenza, alla creazione di un contesto originale e unico in tutto il Paese.
I valori da secoli alla base della società texana possono essere individuati principalmente nell’individualismo, nel libero arbitrio, nella ricerca dell’avventura, del successo e dell’arricchimento in una realtà di mobilità sociale in cui ognuno può veramente diventare l’attore protagonista della propria vita, e in una più generale volontà di non dipendere da nessuno che si traduce in una scettica e non troppo velata avversione per il potere centralizzato. Queste caratteristiche – unite alla diffidente constatazione che tutto ciò che è estraneo al Texas per forza di cose non può esserne all’altezza – portano gli abitanti a guardare al proprio Stato come a una “nazione autonoma” relativamente slegata dal quadro sociale, culturale e politico generale americano. Lo Stato dunque presenta una serie di caratteri culturali precisi che lo rendono di fatto una realtà speciale, un soggetto “altro” rispetto al resto del Paese.
Tuttavia il Texas non coincide solamente con il complesso di queste immagini tradizionali profondamente evocatrici del suo essere che appena nominate lo richiamano all’istante alla mente, né con un sistema di valori manifesti, ma è anche molto altro. The Lone Star State è infatti al centro di una grande contraddizione: parallelamente alla sua “estraneità” e autonomia nei confronti della nazione statunitense, è proprio in quest’area che al giorno d’oggi si stanno giocando le partite più importanti riguardo all’identità e al divenire della società americana. Qui si può osservare più che altrove l’interazione tra i bianchi di origine europea, ancora per poco gruppo etnico maggioritario, e quella minoranza ispanica che si sta trasformando sempre più velocemente in maggioranza. Da questo punto di vista il Texas, principale meta dei flussi migratori provenienti dal Messico, assume un’importanza chiave per il destino del Paese, ridisegnandosi come fulcro decisivo sia in ambito politico e geopolitico sia demografico e socio-culturale.
All’interno di questa dialettica quanto mai attuale, la posizione di alterità ontologica del Texas può essere in parte rivista e anzi forse addirittura ribaltata: l’essere texano può in tal senso adattarsi più che mai all’essere americano in un contesto di profondi e continui mutamenti inarrestabili. Come dire che da realtà appartata e originale, il Texas può trasformarsi in un eccellente soggetto per analizzare passato, presente e futuro dell’intera nazione americana.

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Everything’s bigger in Texas

Una delle caratteristiche che rendono il Texas un territorio unico sono sicuramente le dimensioni fisiche: lo Stato ha una superficie di circa 696.000 kmq (più del doppio dell’estensione dell’Italia e più grande di Stati europei come Ucraina, Francia, Spagna e Germania) sulla quale vivono oltre 27 milioni di abitanti (secondo Stato più popoloso dopo la California), di cui l’80% in aree urbanizzate, in particolare nella grande conurbazione che comprende la zona tra Dallas-Fort Worth, Houston e San Antonio-Austin, un triangolo di 150mila kmq.
Già dalla lettura dei meri dati geo-demografici si intuisce come non sia poi così assurdo che i texani si considerino una nazione a parte, almeno da un punto di vista numerico e statistico. Un’altra considerazione connessa alle dimensioni mastodontiche è riassunta dal motto tutto texano Everything’s bigger in Texas (in Texas tutto è più grande), che non fa riferimento soltanto alla vastità del territorio, ma a una più generale tendenza culturale al gigantismo (non solo metropolitano nelle megalopoli, come in altre zone degli USA) diffusa in tutta l’area, testimoniata dalle dimensioni straordinarie delle auto, delle strade, delle insegne, delle bibite… Per non parlare  degli infiniti spazi dove l’orizzonte sembra non arrivare mai, sensazione resa celebre dalla letteratura e dal cinema che conferisce un’indiscussa dose di fascino poetico al luogo, una terra dove la libertà sembra non avere mai fine.texas-fisica
A proposito di spazi infiniti, il territorio texano è enorme e abbraccia una fetta di suolo che da est a ovest per 1400 km va dal Golfo del Messico alle Montagne Rocciose e per 1300 dal confine con l’Oklahoma a nord fino a Brownsville alla frontiera messicana nel punto più meridionale. Comprendendo un’area così vasta, il Texas presenta inevitabilmente al suo interno una grandissima varietà di paesaggi naturali, come pianure fluviali, deserti, paludi costiere, foreste subtropicali, praterie, altipiani collinari, montagne e zone aride caratterizzate ciascuna da elementi geologici e conseguenti caratteri climatici differenti (si possono contare dieci diverse regioni climatiche).
Oltre alle sub-regioni ambientali e climatiche, lo Stato appartiene anche a più regioni culturali statunitensi: il Texas, essendo un’area di transizione a tutti gli effetti, si trova investito dall’influenza proveniente da diverse macroregioni di cui non si può tracciare precisamente l’inizio e la fine (Sun Belt, Far West e Deep South). La grande forza degli abitanti di questa terra è stata di non lasciarsi trascinare e dividere dalle influenze esterne, ma di compattarsi e creare una cultura davvero texana, utilizzando tutti questi elementi.
La regione costituisce un’area di transizione geomorfologica oltre che culturale, in quanto si situa tra le Grandi Pianure e le Montagne Rocciose con i rilievi che si slanciano in senso longitudinale: stante l’incredibile diversità paesaggistica, il bioma predominante è rappresentato da pianure, colline e altipiani con un’altitudine media di 520 m. I diversi ecosistemi possono essere così riassunti: ambienti paludosi e lagune lungo la costa, regioni centrale e orientale dominate dalle foreste, praterie a nord e deserti e montagne ad ovest.

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Analizzando nel dettaglio, possiamo osservare come l’area che si affaccia sul Golfo del Messico sia caratterizzata dalla presenza di coste basse e frastagliate, con baie ed estuari, fiancheggiate da grandi isole. La zona sud-orientale paludosa gode di un clima temperato-umido tendente al caldo (temperatura media annua al di sopra dei 15 gradi) e mostra una vegetazione simile alla vicina Louisiana. Il Texas meridionale si contraddistingue per la pianura costiera che si sviluppa dalla Florida al Messico. Il centro è invece occupato da altipiani pianeggianti delimitati da scarpate, formando un’area di raccordo tra la piana costiera e le Great Plains e da foreste subtropicali che si allungano fino alla sezione orientale dello Stato. A nord si estendono immense praterie. Il paesaggio si modifica nell’area nord-occidentale, dove accanto alle pianure cominciano a comparire anche altipiani più elevati come il Llano Estacado, una delle maggiori mesas 1) del continente nordamericano e la regione del Texas Panhandle 2) contrassegnata dai canyon, con un clima di tipo continentale e un’elevata escursione termica, mentre la zona occidentale confinante con l’Arizona è maggiormente arida e desertica con la temperatura che viene notevolmente influenzata dall’altitudine. Nel suo complesso la maggior parte dello Stato può essere associato alla regione naturale delle Great Plains.
L’impressione di smisuratezza è suffragata anche da altri dati, quali la presenza di 254 contee e di ben 730 aeroporti, testimonianza di un sostanziale sviluppo delle infrastrutture e dei trasporti necessario per permettere l’efficace collegamento tra diversi centri produttivi. Inoltre il Texas risulta l’unico Stato americano attraversato addirittura da tre fusi orari.
Ma per comprendere appieno l’evoluzione della società texana è necessario ripercorrere gli eventi storici che hanno interessato la regione.

Il periodo europeo e la rivoluzione texana

Le prime tracce documentate di attività umane risalgono ai primi secoli d.C., con popolazioni stanziate nell’area orientale dell’odierno Stato che praticavano l’agricoltura e costruivano tumuli funerari, influenzati probabilmente dalla civiltà dei mound builders della valle del Mississippi. Intorno al VII secolo fecero la comparsa nella zona arco e freccia indispensabili per la caccia al bisonte, principale attività per il sostentamento. Sono stati ritrovati anche utensili in ceramica e ossidiana, testimonianza di vivaci scambi commerciali con le Montagne Rocciose e il Messico.
Dopo l’anno 1000 si sviluppo la civiltà degli indiani caddo, incentrata sulla pratica agricola, che ebbe il suo apice attorno al 1400. La regione in epoca precolombiana si collocava dunque in un raggio d’intersezione tra differenti aree culturali: i nativi sud-occidentali (i pueblo che occupavano il corso superiore del Rio Grande nell’attuale Texas occidentale), i caddo discendenti dai mound builders a est e le civiltà mesoamericane a sud. Successivamente, poco prima dell’arrivo degli europei, il Texas risultava popolato da diversi popoli nativi tra cui i noti apache, comanche, cherokee.
I primi coloni europei sbarcarono in Texas pochi anni dopo la scoperta del “nuovo mondo”, spinti dalla ricerca dello Stretto di Aniàn che avrebbe dovuto aprire la via dell’Asia. La regione, in quanto di notevoli dimensioni e collocata in posizione geografica strategica, destò immediatamente l’interesse spagnolo tradottosi nell’esplorazione di Alonso Alvarez de Pineda che raggiunse la costa del Golfo del Messico nel 1519. Negli anni seguenti diversi conquistadores esplorarono l’intera area addentrandosi anche nella zona centrale e settentrionale in cerca di oro e pietre preziose. Nel secolo successivo s’inserì anche la Francia: nel 1685 Renè-Robert Cavelier de La Salle, impegnato in una missione alla ricerca della foce del Mississippi, approdò nella baia di Matagorda e fondò la colonia di Fort Saint Louis spingendosi anche sul Rio Grande e sul fiume Trinity. La notizia della fondazione di una colonia francese allarmò il governo spagnolo, che decise di inviare decine di spedizioni per scovare e distruggere l’accampamento dei nuovi vicini che tuttavia, nel frattempo, abbandonarono Fort Saint Louis a causa delle epidemie e della minaccia indiana. La Francia avrebbe comunque continuato a rivendicare il Texas fino al trattato di Parigi del 1763.
La ritirata dei francesi stimolò ulteriormente l’esplorazione e la conquista spagnola, volta anche a contrastare la parallela espansione francese in Louisiana con l’intenzione di creare un’area cuscinetto per proteggere le ricche e fruttifere miniere d’argento messicane. Arrivarono così nuovi coloni che fondarono numerosi forti e città, e molti missionari che organizzarono congregazioni gesuitiche e francescane: il Texas venne così integrato nella Nuova Spagna nel 1716.
Nel XVIII secolo la regione era scarsamente popolata, i tejanos (termine d’uso corrente ancora oggi per indicare i texani discendenti dai primi abitanti ispanofoni del Texas) contavano nel 1760 solamente 1000 unità circa. La corona, per incoraggiare l’insediamento di nuovi coloni, iniziò a concedere loro benefici finanziari e il titolo di hidalgo, permettendo anche agli anglosassoni di stabilirsi in territorio texano; costoro dovettero però affrontare numerose difficoltà di carattere economico in quanto il monopolio commerciale era ancora detenuto dagli spagnoli che, oltre alle miniere nelle quali lavoravano senza sosta schiavi indigeni, avevano creato ranch istituendo il sistema delle haciendas, grandi aziende agricole autonome dotate di diversi edifici disposti intorno a una piazza centrale. Le stesse missioni si trasformarono in efficienti centri di produzione agricola e artigianale: l’origine della tradizione dell’allevamento estensivo in Texas è quindi da ricercare nel periodo di colonizzazione spagnola, così come gli antenati dei futuri cowboy, mandriani esperti nell’arte del rodeo che catturavano i bovini selvatici con il celeberrimo lazo.
Nel 1821 il Messico riuscì a ottenere l’autonomia dalla Spagna grazie a una guerra d’indipendenza che sancì la nascita di una repubblica federale, con il cattolicesimo come religione di Stato: la Costituzione decretò l’unione del Texas con il Coahulia, dando così origine alla provincia di Cohauila y Tejas, con capitale Saltillo. Il nuovo governo promulgò leggi per favorire il popolamento della provincia ancora non molto abitata, incoraggiando l’immigrazione degli anglosassoni provenienti dalla neonata repubblica statunitense: le istituzioni messicane concessero terreni ai coloni in cambio della fondazione di villaggi e dell’organizzazione di rappresentanze governative locali. Per accelerare l’insediamento vennero garantiti ai nuovi immigrati anche sgravi fiscali insieme alla riduzione dei dazi doganali.

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Questa iniziativa comportò un ingente flusso in direzione del Texas, tra cui diversi imprenditori statunitensi molto ambiziosi: l’obiettivo messicano era inglobare tutti all’interno della società, rafforzando numericamente la regione che doveva servire da baluardo contro le offensive del popolo comanche. Molte famiglie statunitensi si trasferirono così in Texas raggiungendo l’area, la più fertile e piovosa del futuro Lone Star State, nella quale Stephen Fuller Austin aveva fondato il primo insediamento a stelle e strisce. Gli immigrati provenivano principalmente da Stati sudisti (Louisiana, Alabama, Arkansas, Missouri, Tennessee e Virginia) ed erano di pura discendenza britannica, generalmente di origine ulsterese. L’accordo con il governo ospite prevedeva l’adozione da parte dei texiani (nome dei primi coloni anglosassoni) dei costumi castigliani e della religione cattolica, anche se l’integrazione non fu totale dal momento che i nuovi arrivati continuarono a parlare soprattutto inglese e a mantenere altri caratteri culturali propri del Dixieland, come la schiavitù. 3)
Questo evento è comunque significativo in quanto rappresenta il primo incontro tra anglosassoni e ispanici in territorio texano. Inizialmente, quindi, la migrazione anglosassone venne fortemente incoraggiata dal Messico per cercare di separare i propri cittadini del sud dai nativi che erano soliti razziare le Great Plains. Tuttavia, dopo pochi anni cominciarono a sorgere i primi problemi in quanto il governo federale messicano non riusciva a imporre concretamente le leggi emanate: gli anglosassoni, di religione protestante, non erano intenzionati a convertirsi al cattolicesimo, a modificare i propri usi e costumi e ad abbandonare la schiavitù (che venne ufficialmente abolita dal Messico nel 1829), sicché smisero apertamente di tenere fede al patto continuando a professare liberamente la propria fede e comportandosi secondo le proprie tradizioni. Iniziarono addirittura a usufruire dei poteri concessi all’atto dell’insediamento come una licenza per governare nella maniera più indipendente possibile, non considerando minimamente i dettami dell’autorità centrale. Il risultato si tradusse in una situazione critica per la nazione messicana, dal momento che, grazie al vuoto di potere, i nativi americani poterono perpetrare le loro scorribande senza troppa fatica e gli statunitensi acquisirono sempre maggiore forza e prestigio, dimostrando immediatamente alcuni dei loro valori innati quali l’intraprendenza e la ricerca del successo, diventando di fatto padroni in casa altrui.
La totale mancanza di controllo del governo di Città del Messico favorì l’illegalità, cosicché i coloni si presero numerose proprietà terriere avocando a sé i poteri spettanti alle autorità messicane. Gli angloamericani avevano ormai raggiunto la quota di 35.000 unità, superando nettamente i tejani (circa 8000) e assumendo il controllo politico ed economico della zona, tanto che Washington maturò l’idea – sotto le presidenze di John Quincy Adams prima e di Andrew Jackson poi – di integrare il Tejas nell’Unione. Per far fronte alla minaccia, il governo messicano limitò l’immigrazione di cittadini statunitensi fino a proibirla definitivamente, introducendo nuovi presidi di frontiera. La nuova legislazione comportò dazi doganali prima assenti, suscitando il malcontento sia dei tejanos che dei texiani, vietò la tratta degli schiavi e promosse il commercio costiero, con l’obiettivo generale di esercitare un ferreo controllo sui coloni statunitensi.
È interessante notare come questa situazione possa in qualche misura ricordare quella attuale, ma a parti invertite, con gli statunitensi che furono i primi a emigrare in territorio straniero.

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Antonio López de Santa Anna in una foto del 1870.

Il disegno del potere messicano (gravitante attorno alla figura di Antonio López de Santa Anna), ossia il passaggio da una repubblica federale a uno Stato centralizzato, fornì invece un valido motivo ai texani per insorgere. Il generale Santa Anna una volta salito al potere aveva instaurato una dittatura militare, dando vita a un regime violento e antidemocratico volto a limitare il potere acquisito dai coloni angloamericani, i quali non potevano tollerare le nuove tassazioni imposte e la legislazione antischiavista.
La scintilla scoppiò il 2 ottobre 1835 quando i messicani tentarono di impossessarsi di un cannone, tentativo respinto dai texani che si rivoltarono all’autorità centrale segnando l’inizio della rivoluzione. Nei tre mesi seguenti le truppe texane riuscirono a sconfiggere i messicani a più riprese. Il 7 novembre, i rappresentanti delle diverse “colonie” texane si riunirono a San Felipe de Austin dichiarando di voler difendere la Costituzione messicana del 1824 e ponendo le basi per la creazione di un governo provvisorio, che venne poi istituito il 2 marzo 1836 allorché i texani firmarono la Dichiarazione d’Indipendenza a Washington-on-the-Brazos, dando formalmente origine alla Repubblica del Texas. Sam Houston, ex governatore del Tennessee emigrato in Texas diversi anni prima, venne nominato capo delle forze armate per portare a termine la guerra d’indipendenza, necessaria per proteggere i diritti fondamentali di tutti coloro che abitavano da tempo nell’area e giustificata dacché il Messico aveva annullato il patto federale.
Molti coloni, credendo erroneamente che la guerra fosse terminata, abbandonarono l’esercito dopo le prime esaltanti vittorie; Santa Anna ne approfittò per organizzare una spedizione punitiva nella provincia e sedare una volta per tutte la ribellione: raggiunse San Antonio de Bexar dove pose l’assedio a Fort Alamo, ex missione occupata dai ribelli, e con un contingente di 5000 soldati fece irruzione nel forte riuscendo a prevalere sugli insorti, tra i quali si trovavano anche avventurieri arrivati per proprio conto dagli USA. I texani morti nello scontro furono 200, i superstiti vennero catturati e giustiziati senza pietà per ordine del generale. I ribelli, guidati da celebri figure come Davy Crockett e James Bowie (caduti entrambi) opposero una strenua resistenza nonostante il numero decisamente inferiore, diventando figure eroiche che entrarono nell’immaginario collettivo non solo texano e fornendo una forte carica emotiva agli altri rivoluzionari.
L’esercito texano, guidato da Sam Houston, passò alla controffensiva e sconfisse definitivamente i messicani il 21 aprile 1836 nella decisiva battaglia di San Jacinto, nei pressi dell’attuale città di Houston. Fatto prigioniero, Santa Anna fu costretto a firmare i trattati di Velasco che posero fine alle ostilità e sancirono l’indipendenza del Texas.

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La battaglia di Fort Alamo.

La Repubblica del Texas

Il Texas si costituì come repubblica indipendente riconosciuta anche dagli Stati Uniti. Sam Houston, il primo presidente, scelse come capitale proprio la città di Houston, anche se in seguito fu preferita Austin. La repubblica si proclamò Stato schiavista, comprendendo un territorio incredibilmente vasto di cui facevano parte oltre al Texas anche l’attuale New Mexico e porzioni di Arizona e Colorado.
La maggioranza della popolazione era rappresentata da cittadini di origine ulsterese e inglese, che riuscirono a trainare la nuova realtà grazie alle proprie doti personali come il militarismo e la concretezza, oltre a capacità organizzative e propensione all’autogoverno sviluppate negli anni di occupazione di terre straniere nelle quali si erano comportati da padroni. La Costituzione, che presentava articoli mutuati da quella statunitense, parlava apertamente di schiavitù e caste, così che la società venne fondata sul modello sudista presente in tutti gli Stati da cui provenivano i texiani. Dal punto di vista demografico, in Texas si poté assistere a un doppio confronto etnico che ha plasmato e continua a modificare la società statunitense: il mescolamento tra la popolazione bianca di origine anglosassone e germanica, che compone tutt’oggi la maggioranza negli USA (i germanici esprimono l’etnia predominante) e il suo complesso rapporto con la componente ispanica, all’epoca comunque di rilievo nella zona anche se – come abbiamo visto – decisamente inferiore.
Nei primi anni ‘40 dell’ottocento i tedeschi cominciarono a emigrare in massa nella nuova repubblica. Questo movimento migratorio era frutto di un preciso disegno studiato a tavolino dall’Adelsverein, società aristocratica tedesca cui appartenevano nobili e intellettuali che mirava a espandere la propria influenza anche nel continente nordamericano, con il fine di mantenere vive le tradizioni teutoniche oltreoceano trasformando il nuovo Stato in un possedimento tedesco. Nel luglio del 1844 numerosi coloni dell’Adelsverein sbarcarono a Galveston e, risalito il fiume Guadalupe, si stanziarono nella regione carsica e collinare del Texas centrale, in particolare nella Hill County e nella contea di Comal, a ovest del territorio abitato dai “britannici”, in un’area che la stessa società tedesca aveva acquistato contrattando direttamente con Sam Houston. In seguito furono raggiunti da altri emigranti provenienti da Assia, Palatinato e Prussia e fondarono diverse città tra cui New Braunfels, Fredericksburg e Harper. Nacque la German belt, la cintura tedesca texana tra San Antonio, Seguin e New Braunfels.
I tedeschi dell’Adelsverein tuttavia non riuscirono minimamente nel loro intento colonizzatore, non essendosi resi conto che i texani avevano lasciato loro la travagliata regione confinante con i comanche, e che la componente anglosassone era troppo forte e radicata nella società, dove dominava da anni la scena politica, economica e culturale. L’integrazione dei tedeschi fu quindi inizialmente assai difficoltosa.

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La Costituzione del Texas.

Quanto agli Stati Uniti, nel corso della rivoluzione texana si erano mantenuti neutrali per scongiurare un’eventuale guerra con il Messico, pur favorendo in alcuni fasi del conflitto l’entrata in Texas di armi e volontari tra i fiumi Rosso e Sabine. Il motivo non stava esclusivamente nel fornire un apporto alla causa dei connazionali ribelli, ma in primo luogo nelle mire espansionistiche di Washington nei confronti dell’immenso territorio texano, che avrebbe aperto la strada alla colonizzazione della California e alla conquista del West.
Dopo la guerra la politica interna texana segnava una profonda spaccatura tra la fazione “nazionalista”, che sosteneva l’indipendenza e l’autonomia totale e duratura dello Stato professando l’espulsione dei nativi americani, e il progetto di un’espansione addirittura verso ovest, e la corrente capeggiata da Houston che premeva per l’annessione agli Stati Uniti e la convivenza pacifica con i popoli locali. Houston tentò di convincere il governo di Washington a integrare il Texas, ma in un primo momento il presidente Jackson rifiutò, temendo ancora la reazione messicana così come i dissensi interni che avrebbe creato l’entrata nell’Unione di un altro Stato schiavista, in un momento particolare nel quale la questione dell’abolizionismo era la più dibattuta.
Il Texas fu anche colpito da una grave crisi economica e si registrarono nuovi tentativi messicani di riappropriarsi del territorio, sedati faticosamente: questi eventi convinsero la maggior parte dei texani a considerare l’annessione come la soluzione migliore. Nel 1845 il congresso cambiò idea e votò per l’ingresso nell’Unione: il Texas divenne ufficialmente il ventottesimo Stato americano. L’esperienza della repubblica, seppur di breve durata (appena 9 anni), risulta molto significativa, insieme alla precedente rivoluzione, per comprendere alcune logiche attuali dello Stato texano. L’essersi affrancati autonomamente ed essere riusciti a governare in maniera efficace e organizzata per un determinato periodo, gettando le basi per una futura crescita economica della zona e superando brillantemente la crisi, ha contribuito a forgiare l’ethos texano, imprimendogli una mentalità combattiva e una personalità unica, permettendo i futuri successi e alimentando quel sentimento, ancora oggi profondamente diffuso, di appartenere a una nazione a se stante.
L’annessione comportò l’inevitabile guerra tra Stati Uniti e Messico, conclusasi con la vittoria dell’Unione, e la dote di nuovi territori del sud-ovest che sancirono l’odierna frontiera. Due obiettivi erano stati raggiunti dal governo statunitense: l’entrata del Texas nell’Unione garantiva la presenza di un’area cuscinetto, di notevoli dimensioni, vitale per proteggere il porto di New Orleans situato in una posizione strategica, mentre le nuove acquisizioni territoriali spianavano la via alla conquista dell’ovest.

Verso l’epoca contemporanea: crescita demografica e sviluppo economico

Nel 1848 il fallimento dei moti europei spinse in Texas una nuova ondata migratoria di esuli germanici, tra cui figuravano egalitari, libertari e utopisti che incrementarono la popolazione dello Stato. In un primo momento la convivenza tra la comunità anglosassone e germanica non migliorò, anzi i discendenti dei britannici, infastiditi dai nuovi arrivi, per paura di perdere prestigio e privilegi irrigidirono le loro posizioni nei confronti di tutti gli altri gruppi etnici presenti chiudendosi ulteriormente e alzando barricate verso l’esterno: gli ulsteresi sudisti, chiamati anche scot-irish, molti dei quali si erano convertiti dal presbiterianesimo al battismo, costituivano un’élite dominante impenetrabile e inscalfibile tanto che continuarono a detenere il potere saldamente nelle proprie mani ancora per diversi decenni. In questa fase era praticamente impossibile per persone estranee al ceppo anglosassone intraprendere la strada del successo riuscendo a risalire la scala gerarchica. In campo economico, l’attività principale era rappresentata dallo sviluppo delle piantagioni di cotone all’interno delle grandi aziende agricole di proprietà dei discendenti degli anglosassoni, che dopo il 1848 attirarono anch’esse numerosi immigrati.
Il Texas in questi anni si caratterizzava dunque come uno Stato sudista, più legato alle tradizioni e alla cultura del Dixieland, basato sullo schiavismo e sull’economia di piantagione, che alla mobilità sociale e al mito del self-made man che dal nulla era in grado di crearsi la propria via giungendo al successo e alla ricchezza, immagine tipica invece del West. La sconfitta nella Guerra Civile modificò le cose sotto molti aspetti tra cui quello politico ed economico, ma di riflesso anche in ambito demografico, sociale e culturale. Il dominio dei bianchi non venne minimamente intaccato, gli anglo-celtici applicarono le leggi Jim Crow (presidente che aveva accettato la richiesta texana di entrare nell’Unione) per cercare di attenuare la fine della schiavitù imposta dal governo centrale, codificando di fatto la segregazione razziale.
Afroamericani e ispanici persistevano in una condizione di evidente subordinazione rispetto al resto della popolazione, erano  loro vietati alcuni quartieri, avevano posti fissi sui treni, non venivano ammessi nelle università e negli stadi… Al contrario le relazioni tra i gruppi bianchi migliorarono: a partire dal 1870 i tedeschi cominciarono a unirsi e a mescolarsi agli anglosassoni rafforzando il gruppo al potere: per esempio Edward Degener, politico di origine germanica, venne eletto al Congresso in rappresentanza del Texas. La cultura locale dell’elite maggioritaria bianca s’innestò su un preciso binario fortemente conservatore, caratterizzato dall’appartenenza al partito democratico (all’epoca su posizioni decisamente più orientate a destra), dall’adesione alla religione protestante e dalle simpatie non troppo velate per il Ku Klux Klan.
Interessante analizzare la piramide gerarchica della società texana del periodo basandosi sul discorso confessionale: in cima vi erano i battisti (ulsteresi sudisti di origine britannica), seguiti da metodisti ed episcopali (discendenti da inglesi e gallesi); al di sotto cattolici, luterani, pentecostali e discepoli di Cristo (tedeschi, scandinavi e mitteleuropei); alla base tutti gli altri gruppi non europei, qualsiasi religione professassero. Questa rappresentazione testimoniava la perfetta sintesi del quadro sociale locale nel quale il conservatorismo dominava incontrastato e il razzismo veniva utilizzato per il mantenimento del potere e dello status quo.
A inizio novecento la situazione mutò nuovamente grazie soprattutto a due circostanze che lanciarono definitivamente l’economia texana, costruendo quella forza produttiva che sta ancor oggi  alla base della sua potenza. L’industria del bestiame, già principale attività economica dalla fine della Guerra Civile, fu protagonista di un incredibile boom grazie alla decisione di trasformare molte piantagioni di cotone (legate alla passata e abolita tradizione dello schiavismo) riconvertendendole in ranch e aziende adibite all’allevamento intensivo. L’iniziativa riscosse incredibile successo per la varietà degli sbocchi economici che garantiva: il Texas divenne leader del settore dell’agricoltura e dell’allevamento bovino, ovviamente, ma nel contempo incrementò l’industria della carne intensificando e allargando di chilometri l’area di scambi dello Stato, facendo diventare di fatto il Lone Star State il primo produttore ed esportatore di bestiame in terra nordamericana. La crescita economica senza precedenti in questo settore ebbe effetti anche dal punto di vista culturale in quanto aumentò il numero dei relativi addetti, che in alcuni casi giungevano anche da altri Stati, mutando la percezione della società texana e avvicinandola maggiormente all’immagine – a noi più nota e familiare – dei ranch e dei cowboy che simboleggiano il Far West piuttosto che il Deep South.

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Di qui la considerazione che la cultura texana è alquanto variegata e multicolore, collegata a tradizioni e aree geografiche differenti come appunto il Dixieland, il West, le influenze europea e messicana. Importante osservare che tale cultura non si è caratterizzata come una mescolanza eterogenea e confusa di tutti i suddetti elementi, ma ha saputo risemantizzarsi, dandosi un indirizzo preciso e personale, creando un ibrido nuovo ma fortemente “texano”.
L’evento più significativo del futuro successo texano fu sicuramente la scoperta di immensi giacimenti petroliferi: il 10 gennaio 1901 fu rinvenuto il primo pozzo, lo Spindletop, nei pressi di Beaumont, contea di Jefferson nel Texas sud-orientale, che portò alla luce l’esistenza di un vasto giacimento nel sottosuolo dall’incredibile produttività giornaliera, rivelatosi il più prolifico dell’intero continente (100.000 barili al giorno). Negli anni seguenti vennero scoperti altri giacimenti nelle zone limitrofe che garantirono un sensazionale sviluppo dell’industria petrolifera: ne beneficiarono gli Stati Uniti, ma soprattutto il Texas che divenne il più grande produttore dell’America Settentrionale.
Dopo la seconda guerra mondiale, allorché altri giacimenti furono scoperti nelle acque del Golfo del Messico, gli Stati Uniti divennero i leader nel settore e la rendita petrolifera favorì l’incredibile crescita delle metropoli texane che aumentarono in popolazione e prosperità. Il Texas si specializzò nell’industria del petrolio, elemento fondamentale e più ricercato sul mercato mondiale nel XX secolo, attestandosi come una regione dinamica e intraprendente, ma soprattutto sviluppata e ricca. Le dinamiche di potere rimasero identiche, con i grandi latifondisti bianchi che abbandonarono le piantagioni per dedicarsi alle estrazioni petrolifere, rimanendo così a capo della società. Il conservatorismo rimase la forma mentis di riferimento, anche se con l’industrializzazione e l’urbanizzazione di molti spazi assunse caratteri più aperti e moderni. Oltre alla figura del ricco imprenditore che investiva nel settore di recente sviluppo, nacque anche la figura del nuovo avventuriero, a metà strada tra il cercatore d’oro ottocentesco e lo spregiudicato investitore alla ricerca della via più breve per arricchirsi, migrato in Texas nella speranza di scovare nuovi giacimenti petroliferi che gli avrebbero garantito successo, prestigio e denaro. Non si tratta di leggende: accadde davvero che individui poco più che nullatenenti s’imbattessero nell’oro nero, dando una svolta alle proprie vite e ravvivando l’ordine sociale texano che nell’ottocento era parso piuttosto immobile, e fornendo credito alla mitica figura del self-made man.

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I gruppi etnici presenti in Texas (elaborazione di Stefano Bossi).

C  O  N  T  I  N  U  A

N O T E

1) La mesa è una formazione geologica tipica degli Stati Uniti occidentali e del Messico. Si tratta di una superficie rocciosa soprelevata dalla cima piatta e pareti assai ripide, originatasi per erosione. Il nome deriva dalla somiglianza con la forma della superficie di un tavolo (mesa in spagnolo e portoghese).
2) Il Texas Panhandle è la regione corrispondente all’estremità nord-occidentale dello Stato, di forma rettangolare, tra i confini con il New Mexico a ovest e l’Oklahoma a nord e a est, geograficamente appartiene alle High Plains. Panhandle letteralmente vuol dire “manico della padella” e quest’area rappresenta il manico della padella costituito dal resto dello Stato texano. È una regione a prevalenza bianca comprendente 26 contee, dove Amarillo è la città più importante.
3) Il Dixieland è il nome con cui si è soliti identificare l’area degli Stati Uniti sud-orientali che costituisce una regione culturale a se stante: a legare tutti questi Stati (dalla Virginia alla Florida, dal Kentucky al Texas) vi sono contingenze storiche come la loro unione nella Confederazione sudista, dettata da tradizioni culturali ed economiche simili come la coltivazione delle piantagioni di cotone e la schiavitù. Il Texas, posizionato nel margine sud-occidentale di quest’area, presenta solamente alcuni dei caratteri del Dixieland, pertanto non sempre viene classificato all’interno di questo gruppo di Stati, ma viene considerato una realtà a parte e unica.