In alcuni paesi di questa valle, accomunati da un medesimo substrato etnografico, viene ancor oggi celebrato un rituale agreste che, sebbene inglobato in una festa cristiana, testimonia il persistere di alcuni moduli dell’antico paganesimo alpino.

La cultura popolare, quel grande patrimonio in cui vicende note e tradizioni culturali radicate in schemi antichissimi hanno saputo resistere all’attacco del tempo, offre spesso situazioni rituali con intonazioni diverse e caratteristiche in cui il rito, il quotidiano e la sopravvivenza si amalgamano in un solo contesto celebrativo. Il caso della Festa degli Spadonari, che si ripete ogni inverno in alcune località della Valle di Susa (prov. di Torino), è sicuramente un interessante esempio di come certe tradizioni pagane, con aspetti in cui pare di individuare radici extraeuropee,1 si siano inserite senza eccessivi attriti nel territorio religioso del cristianesimo contadino.

La “Festa”, che si articola intorno ad alcune danze con le spade, è ancora oggi ripetuta in tre paesi, Giaglione, S. Giorgio, Venaus, ma esiste memoria di cerimonie simili anche a Chianocco e Chiomonte: tutte località poco distanti le une dalle altre e da sempre inserite in uno spazio esistenziale accomunato da identiche istanze etnografiche e da situazioni culturali non molto diverse, sia per l’ecosistema creatosi in valle che per gli apporti stranieri assorbiti in secoli di scambi con le genti giunte da oltralpe. La Festa degli Spadonari ha oggi luogo il giorno di San Vincenzo (22 gennaio, con reiterazione la seconda domenica successiva) a Giaglione, e nelle feste dei santi patroni per gli altri paesi. È comunque importante ricordare che gli Spadonari nel corso dell’anno ripetono la loro tradizionale danza anche in altre località della valle, in occasione di celebrazioni religiose e civili.

Gli Spadonari sono di norma quattro e portano un singolare copricapo ovale ricoperto di fiori diversi (di stoffa e oggi anche di plastica) con dei lunghi nastri colorati che scendono lungo la schiena; il vestito tipico è costituito da una giacca corta priva di maniche e da un piccolo grembiule che giunge circa a metà coscia. Le mani sono guantate di bianco e la spada che sorreggono è piuttosto lunga e leggera (simile alle armi da taglio medievali). Accanto ai quattro personaggi principali, ci sono sei priore: tre coppie di donne di età diversa (giovani e nubili; donne mature con figli; anziane) che hanno anche il compito di organizzare la festa. Le donne, scelte tra le nove frazioni del paese, vestono un costume chiamato savoiardo con colori diversi a seconda dell’età: chiari per le giovani, più scuri per le anziane. C’è poi l’emblematica portatrice del bran che sostiene sulla testa una singolare struttura alta anche più di due metri, interamente ricoperta di fiori e di frutta (anche qui la plastica ha trovato una notevole applicazione) all’interno della quale è posta una grossa forma di pane. Accanto ai personaggi veri e propri della festa ci sono le personalità (sindaco, giunta, presidenti di associazioni varie ecc.), il parroco, i membri di confraternite laiche la cui origine si perde nei primi millenni, la banda musicale e diversi gruppi giovanili. Viene portata in processione la statua del santo protettore (per Giaglione: San Vincenzo) e il suo relativo reliquiario. La festa prende l’avvio dal palazzo comunale, ma trova l’inizio ufficiale davanti alla casa di una delle priore dove, dopo un’offerta di cibo e vino, gli Spadonari eseguono una delle loro danze2 accompagnati dalla banda musicale. In seguito lo schema si articola in diverse fasi: a) processione verso la chiesa; b) processione all’interno della chiesa, scandita in diversi momenti; il principale è quello in cui gli Spadonari formano una sorta di scorta al reliquiario del santo protettore; c) messa solenne. Gli Spadonari sono seduti dietro l’altare; durante l’omelia sono distribuiti tra i fedeli dei pezzi di pane tagliati da alcune forme (una era quella portata dalla donna che reca il bran), benedette precedentemente e decorate con l’emblema di Giaglione, un gallo; d) dopo la messa, gli Spadonari danzano sul sagrato della chiesa; la priora e la portatrice del bran osservano il rito dal portale della chiesa; e) dopo l’ultima danza, gli Spadonari si allontanano in fila e gli intervenuti si separano dirigendosi, senza seguire un percorso prestabilito, verso il centro del paese. Quasi sempre dopo la cerimonia si organizzano pranzi e rinfreschi.

Non è un compito facile ricostruire la genesi della Danza degli Spadonari, in quanto di questi singolari ballerini “non si ha traccia in nessun documento dell’archivio comunale di Giaglione, forse perché essi prestavano la loro opera gratuitamente, per cui la mancanza di un rapporto monetario li escludeva da ogni tipo di registrazione della Comunità, o perché, data la loro remota origine, la loro presenza era talmente scontata e tradizionale da non richiedere menzione di sorta”.3 La “Festa” ha comunque un profondo e preciso legame con le tradizionali cerimonie agresti, sorte da un rituale pagano assimilato sempre parzialmente nella dimensione cristiana rurale, “gli aspetti drammatici sono offerti da figure coreutiche che imitano operazioni dell’agricoltura, o mirano, sul principio della magia simpatica, a provocare la crescita della vegetazione”.4 Infatti, come ha fatto notare il Bravo, “il carattere agreste della danza sarebbe enfatizzato da alcuni movimenti degli Spadonari, dei quali uno, in particolare, consiste nel colpire la terra con la spada”.5 Nel ballo possiamo individuare una struttura celebrativa che costituisce l’ossatura di un rituale di cui si hanno diverse testimonianze in altre aree europee,6 anche se non è possibile tracciare una mappa dotata di notazioni precise con le quali affrontare una lettura critica della tradizione. Sulla presenza delle spade si è detto molto; in realtà, anche se alcuni hanno voluto interpretare questa presenza come una reminiscenza di antiche lotte contro i Saraceni o contro tirannie feudali, ormai divenute patrimonio della leggenda, l’arma costituisce una sorta di tramite, quasi uno strumento fecondatore per scaricare nella terra l’energia vitale di alcuni “eletti”, riconosciuti come medium e capaci di raccogliere all’interno di una struttura coreografica predeterminata un rituale di grande forza evocativa, in cui sono confluite le diverse istanze delle genti montane. Nel gesto simbolico di penetrazione della terra lo “spadonaro-sciamano”, attraverso la mediazione di un cerimoniale che, come ha sottolineato il Toschi, si innesta nei procedimenti della magia simpatica (cioè un tentativo di effettuare le proprie evocazioni con un preciso legame tra i mezzi usati e lo scopo perseguito), attiva una sorta di coinvolgimento dello spazio naturale, secondo metodologie rituali che si perdono nella preistoria. La terra, origine e fine, accoglie le invocazioni degli uomini che in essa trovano le forze ataviche per la continuazione della specie, e risponderà a queste richieste garantendo una ciclicità stagionale ancora sconosciuta ai primi uomini. L’abbigliamento colmo di fiori è un espediente segnico con il quale consolidare il “transfert”, permettendo così all’intento magico dell’uomo di raggiungere la terra, con un linguaggio gestuale opportunamente rivestito (mimetizzato), e attraverso la struttura geologica arrivare fino alle deità: padrone assolute del cielo e delle sue metamorfosi.

Il Cristianesimo ha saputo tollerare questo cerimoniale, inglobando nell’impianto teatrale della danza la messa e la benedizione del pane, per esorcizzare le istanze di un paganesimo che nelle tradizioni alpine ha saputo conservare, nonostante tutto, una sua integrità culturale. E così, anche se oggi gli Spadonari hanno un copricapo con fiori di plastica e giungono sul luogo della cerimonia in auto, non hanno perduto la funzione primaria della loro danza, conservando tutte quelle tracce in cui un antichissimo rituale riesce a superare le limitazioni del tempo, per riportare ogni anno le ebbrezze di una probabile primavera ormai prossima. Nel giorno di San Vincenzo, instancabilmente, si ripete un ballo al vibrante suono metallico delle spade, che si perde tra le speranze appena evocate di una terra adagiata sotto una coltre di neve in attesa di risorgere ancora.

 

Note

1 Sull’origine extraeuropea della “Danza degli Spadonari“ ci sono diverse tesi: infatti, secondo il parere di alcuni studiosi, la danza, eseguita dagli insoliti personaggi, potrebbe essere giunta nell’arco alpino piemontese attraverso la mediazione culturale dei Saraceni; per altri, invece, potrebbe essere una reminiscenza rituale sorta tra le tradizioni dei Cartaginesi che, nel 218 a.C., giunsero in Piemonte dopo il mitico valico delle Alpi.

2 Definita dal Toschi una danza “di carattere arcaico e spiccatamente agreste”.

3 Gian Luigi Bravo, Per un’analisi delle feste primaverili, in Condizione contadina, pagg. 69-83, Torino 1980.

4 Paolo Toschi, Le origini del teatro italiano, Torino 1976.

5 G. L. Bravo, op. cit.

6 I1 ballo degli Spadonari ha molte analogie con la danza delle spade praticata, ancora attualmente, nei paesi baschi.