Che il libro di Valentina Pisanty intitolato I guardiani della memoria e il ritorno delle destre xenofobe (Bompiani) sia esplosivo lo conferma il vago imbarazzo con cui lo ha trattato ieri Repubblica, che ne ha affidato la recensione a Gad Lerner. L’articolo di presentazione aveva un titolo interlocutorio (“Non basta la memoria. L’impegno per ricordare la Shoah non ha fermato la nuova xenofobia. I testimoni hanno fallito?”), e lo stesso Lerner è sembrato camminare sulle uova, non sapendo se prendere le distanze dal volume, stroncarlo, lodarlo o chissà che altro.
La tesi del saggio, tuttavia, è chiarissima. “Due fatti sono sotto gli occhi di tutti”, scrive la Pisanty. “1) Negli ultimi vent’anni la Shoah è stata oggetto di capillari attività commemorative in tutto il mondo occidentale. 2) Negli ultimi vent’anni il razzismo e l’intolleranza sono aumentati a dismisura proprio nei Paesi in cui le politiche della memoria sono state implementate con maggior vigore”. La Pisanty avanza una domanda rovente: può darsi che le due cose siano collegate? Può darsi che i “guardiani della memoria”, in questi anni, abbiano sbagliato atteggiamento?
A porre tali questioni, peraltro, è una studiosa (semiologa dell’Università di Bergamo) che non può in alcun modo essere sospettata di simpatie destrorse. È progressista, da anni si occupa di razzismo con una impronta ideologica che è ben evidente anche nel testo in discussione. Ed è proprio lei a chiedersi se le politiche contro il razzismo e a tutela delle memoria non abbiano prodotto più razzismo e più negazionismo. Alcuni passaggi del libro sono piuttosto ruvidi. La Pisanty definisce “guardiani della memoria” coloro che “rivendicano il diritto/dovere di parlare a nome dei defunti; sulla scorta di tale diritto hanno anche facoltà di stabilire chi può invocarne la memoria a supporto della propria causa”. Sono parole non leggerissime.
La studiosa parla di “concorrenza delle vittime” (dei vari genocidi); di standardizzazione dei prodotti culturali sull’Olocausto; arriva addirittura a sostenere che le leggi contro il negazionismo abbiano giovato ai negazionisti: “Una società che pone a proprio fondamento non negoziabile una narrazione particolare presentata come paradigma universale non può che contribuire alla deriva antidemocratica di cui oggi molti lamentano gli effetti”, scrive. Insomma, da sinistra la Pisanty rifila parecchie staffilate alla sinistra.
Benché per molti versi estremamente coraggioso, però, il suo libro dà in parte ragione a Lerner: si limita a fornire spunti di discussione (ed è già molto), ma non offre grandi soluzioni. E qui ci permettiamo di intervenire, con qualche riflessione che probabilmente non sarà gradita alla Pisanty. La sua impostazione ideologica, infatti, è il grande limite del suo saggio. Pur dicendo molte cose sacrosante, parte da presupposti sbagliati o, meglio, troppo parziali, che inevitabilmente offuscano la visuale.
Per prima cosa, la Pisanty sovrappone “razzismo” e “negazionismo” dell’Olocausto, che invece sono due temi distinti. Ci sono tantissimi negazionisti – come abbiamo scritto più volte – anche nel fronte cosiddetto “antirazzista”. Gente favorevole all’immigrazione di massa che però odia gli ebrei, per farla breve. Secondo punto, e più importante: non è vero che il razzismo sia in aumento.
È vero che è molto facile, oggi, imbattersi in tesi negazioniste, e il motivo è semplice: internet ha fatto emergere posizioni che prima non godevano di tanta visibilità; ha contribuito alla diffusione dei cosiddetti “complottismi”; ha fatto aumentare la violenza verbale. Ma che il razzismo sia più diffuso è falso, e banalmente lo dimostrano i dati sui crimini d’odio, in calo dal 2017.
Il grande problema è proprio questo. È vero, come suggerisce la Pisanty, che le leggi “antinegazioniste” sono un clamoroso esempio di eterogenesi dei fini: i risultati che ottengono sono il contrario di quelli che vorrebbero raggiungere. Ma ancora peggiore è l’effetto di tutte le norme “anti odio”, delle commissioni, dei regolamenti comunali, delle campagne stampa. Continuare a dire che l’odio e il razzismo sono in aumento e sostenere che servano strumenti (magari politici) per combatterli non fa che esasperare il clima. È evidente – perché gli esempi sono plurimi – che le varie norme bavaglio servono più a colpire le opinioni “non corrette” che a impedire la diffusione della xenofobia. Il rischio di questa insistenza – come ha notato il grande saggista Douglas Murray – è che alla lunga produca un contraccolpo.
La paranoia odierna porta ad accusare di razzismo e nazismo chiunque critichi l’immigrazione di massa, di omofobia chiunque contesti le posizioni degli attivisti Lgbt. E se tutti sono nazisti, allora nessuno lo è. Se le false accuse di razzismo colpiscono nel mucchio, allora anche l’odiatore vero e il razzista vero si sentiranno autorizzati a fare le vittime.
Il grande torto alla memoria lo fa chi paragona i decreti sicurezza alle deportazioni di massa, i centri di accoglienza ai lager e ai treni piombati, il pensiero critico al totalitarismo. Per questo, ogni tanto, basterebbe fare più storia e meno memoria.

 

Francesco Borgonovo, “La Verità”.