Una delle accuse più frequenti e più subdole che viene fatta a chi (individualmente o all’interno di un gruppo) si batte per il riconoscimento della propria identità, della propria etnia, per la rivalutazione della storia del proprio popolo, è quella di essere un nostalgico, di guardare più al passato che al futuro, che nell’era dei computer non c’è più spazio per cose di questo genere ed altre amenità consimili (non importa poi se tali ipocriti accusatori siano i più strenui difensori dell’ottuso centralismo dell’ottocentesco Stato italiano).

Invece, qualora fosse necessario, l’episodio che vi segnalo dimostra proprio il contrario. La nostra lotta, più che mai attuale, va combattuta quotidianamente, tali e tanti sono gli attacchi alla nostra identità, i tentativi di massificare tutto e tutti, di farci diventare tutti italiani; la nostra lotta, beninteso, non deve limitarsi alla difesa della nostra etnia, dei nostri inalienabili diritti: dobbiamo batterci per la riappropriazione (naturalmente in maniera democratica e pluralista) di tutto quello che ci è stato tolto.

Ne “La Repubblica” dell’l.12.1984 una notizia attirò la mia attenzione: gli “esperti” della Commissione toponomastica del Comune di Venezia dopo tre anni di intensi studi e ricerche non erano riusciti a scoprire nulla sui personaggi ai quali erano intestate ben cento vie di Mestre e quindi il Comune lagunare lanciava un appello ai cittadini per vedere se qualcuno conosceva qualche intestatario. Se il mistero delle vie “fantasma” non sarà chiarito, il Comune cambierà i nomi sconosciuti (così si concludeva il trafiletto). Amareggiato (un altro pezzettino della nostra identità che se ne va, pensavo; altre figure più o meno di spicco della nostra storia che vengono messe nel dimenticatoio per far posto magari a qualche individuo discutibile) ed anche rassegnato (se gli “esperti” hanno lavorato per tre anni senza trovar nulla, cosa potrà fare il sottoscritto, metalmeccanico autodidatta?), scrissi al Comune di Venezia che, con cortese sollecitudine, mi inviò l’elenco delle vie “fantasma” in questione. Ebbene, consultando l’indice dei nomi di un solo libro (La Repubblica del Leone di Alvise Zorzi) e l’Enciclopedia Treccani, ho trovato diversi “fantasmi”, alcuni dei quali sono figure di spicco della nostra storia, della storia del popolo veneto. Vediamone alcuni, di questi “fantasmi”: Mengaldo Angelo, generale, fu comandante della Guardia civica nell’ultimo (almeno per il momento) periodo di autogoverno del popolo veneto nel 1848; Levi Cesare e Giustinian Augusto, giornalisti, patrioti veneti esiliati dagli Austriaci nel 1848; Morosini Giambattista, sostenitore di Daniele Manin, sempre nella rivoluzione del 1848; Tecchio Sebastiano, presidente della Camera e del Senato, rispettivamente nel 1862-63 e nel 1876-1884; Sagredo Agostino, storico del XIX secolo; Rismondo Francesco, patriota dalmata. Sconosciuto agli “esperti” è anche Luigi Coletti, uno dei massimi esperti della pittura veneta; inoltre ho trovato riferimenti precisi su Steffani Agostino Sarfatti Attilio, Mancini Stanislao Zambeccari Livio, Giustinian Michiel, F. Degli Antoni. Se tanto mi dà tanto sono convinto che per gli altri “fantasmi” potrebbe essere solo questione di tempo e di allargare le ricerche su altri testi e/o enciclopedie.

A questo punto è d’obbligo porsi qualche domanda: o gli “esperti” della Commissione toponomastica non sono particolarmente preparati (giusto per usare un eufemismo: lascio ai lettori altri coloriti aggettivi), o il tutto è stato orchestrato dall’amministrazione comunale veneziana (democratica e pluralista) per dare un ulteriore colpo di spugna sulla toponomastica veneta, un ulteriore colpo di piccone sulla nostra identità di Veneti (l’identità di un popolo è come un mosaico composto di tante tessere: dalla lingua alla storia, alla cultura, al modello economico, al folklore, all’arte, alla religione, alla toponomastica: si veda a questo proposito l’atteggiamento dello Stato italiano in Sudtirolo nel periodo fascista con il buon Tolomei che in 40 giorni tradusse liberamente ben 12.000 nomi locali!), per dare un’ulteriore spinta all’italianizzazione della capitale storica dei Veneti (non è male sottolineare come, nel centro storico, ad ogni rinfrescatina dell’intonaco, “sestier” venga tradotto in “sestiere”, “parocchia” in “parrocchia” ecc.; a quando la trasformazione di piazza San Marco in piazza Garibaldi e del Canal Grande in Canale Italia Unita?). Questa politica, questa italianizzazione continua provoca reazioni spontanee, incontrollate ed incontrollabili, e quindi si verificano numerose correzioni con lo spray sulla segnaletica stradale, correzioni che mirano a riportare all’originario nome veneto le denominazioni dei nostri paesi (Marostega/Marostica, Basan/Bassano, Ciupan/Chiuppano); azioni che spesso provocano dure condanne da parte dei cosiddetti benpensanti e che vengono bollate come vandaliche. Prima di affrettate sentenze s’impone però, a mio modesto avviso, un momento di riflessione. Se sono vandali ignoti che agiscono nottetempo, come possiamo definire quei signori che, senza bisogno di spray, continuano da oltre un secolo a storpiare e a tradurre decine e decine di nomi dei nostri paesi, delle nostre vie e piazze?