Mentre i governi europei chiudono le porte ai migranti mediorientali irregolari, dove possono andare i siriani e gli altri, non lontano dai loro Paesi di origine, per trovare sicurezza e lavoro? La risposta è ovvia ma incredibilmente trascurata: in Arabia Saudita e nelle altre ricche monarchie del Golfo Persico.
Il milione e oltre di migranti che l’anno scorso hanno traversato il mare, viaggiato in treno, in autobus e a piedi alla volta del Nordeuropa, hanno sopraffatto le capacità e la buona volontà del continente. I problemi con questi flussi migratori massicci sono stati esacerbati dalla criminalità e dalle malattie, dalla riluttanza a integrarsi, dai tentativi di imporre la legge islamica e da violenze come i taharrush (assalti sessuali di massa) di Colonia e gli attacchi a Parigi e Bruxelles.
In risposta, i partiti cosiddetti populisti e xenofobi (come il Front National in Francia e Jobbik in Ungheria) sono diventati più forti. L’atteggiamento degli europei è cambiato così profondamente – come mostrato dai risultati elettorali in Germania – da ridurre notevolmente il numero degli illegali che cercano di entrare in Europa, non importa quali nuove rotte tentino di percorrere (per esempio attraverso l’Italia).
Di conseguenza, c’è un numero enorme di migranti in attesa di entrare in Europa. Secondo Johannes Hahn, commissario della UE, “alle porte dell’Europa ci sono 20 milioni di rifugiati. Dieci-dodici milioni provenienti dalla Siria, 5 milioni di palestinesi, 2 milioni di ucraini e circa un milione dal Caucaso meridionale”. Già, ma questo è solo l’inizio. Io aggiungo anche un gran numero di libici, egiziani, yemeniti, iracheni, iraniani, afghani e pakistani… non solo rifugiati politici ma anche migranti economici. Complessivamente, il numero dei musulmani pronti a emigrare potrebbe potenzialmente corrispondere ai 510 milioni di abitanti dell’UE.
E allora dove dovrebbero andare? Esiste un’alternativa vicina e auspicabile per l’Europa. Anzi, è una meta così attraente che gli stranieri già costituiscono la metà della popolazione: stiamo parlando dei sei Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo: Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Concentriamo l’attenzione sul Regno dell’Arabia Saudita, il più grande dei sei in termini di estensione, popolazione ed economia.

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Parte delle 100.000 tende in fibra di vetro erette a Mina, in Arabia Saudita.

Come a casa loro

Il Regno saudita offre molti vantaggi esclusivi ai musulmani sunniti. Per cominciare, ha 100.000 tende vuote in fibra di vetro che possono ospitare circa 3 milioni di persone a Mina, appena a est della Mecca. Costruite a prova di incendio e dotate di aria condizionata, complete di servizi igienici e cucine, queste tende costituiscono una risorsa singolare che è utilizzata solo cinque giorni l’anno dai pellegrini che compiono l’hajj, il pellegrinaggio.
Se si confronta il regno dell’Arabia Saudita con i paesi europei, il primo mostra parecchi vantaggi:

  • geograficamente è molto più vicino
  • il clima è caldo
  • la lingua ufficiale è l’arabo
  • a livello economico ha un insaziabile bisogno di manodopera
  • il sistema giudiziario è rassicurante e familiare
  • la religione è l’islam e nient’altro che l’islam.

Culturalmente, molti sunniti ritengono che le gravi censure saudite siano più congeniali del laicismo occidentale. Nel regno saudita, i musulmani possono godersela in una società che permette la poligamia, i matrimoni precoci, le violenze domestiche, le mutilazioni genitali femminili e le decapitazioni, limitandosi a infliggere pene di lieve entità per reati come la riduzione in schiavitù e i delitti d’onore.
Inoltre il Regno arabo saudita permette ai musulmani di evitare senza alcuno sforzo le cose considerate haram, proibite, come i cani; la carne di maiale e gli alcolici; il pagamento di interessi sui prestiti; le lotterie e i casinò; il giorno di San Valentino, le donne vestite in modo succinto, gli appuntamenti galanti e i nightclub; i bar frequentati dagli omosessuali e i matrimoni gay; la sottocultura della droga e la manifestazione pubblica di sentimenti antislamici.
Eppure i Paesi del Golfo Persico sono stati criticati per non aver accolto un solo profugo siriano; anche se le autorità saudite sostengono di averne accolti due milioni e mezzo. Come spiegare questa discrepanza?
Da una parte, i sauditi mentono. Dall’altra, è anche vero che gli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo e altri arabofoni come l’Iraq, la Giordania, il Libano e la Siria non hanno mai firmato la Convenzione sui rifugiati del 1951 (perché non accettano l’obiettivo della convenzione che prevede il reinsediamento dei palestinesi). Di conseguenza evitano di usare il termine “rifugiato”, con le sue implicazioni di permanenza, e parlano piuttosto di ospiti che risiedono solo temporaneamente fino a quando non faranno ritorno in patria.
Quanti siriani sono stati accolti nel Regno saudita? Secondo uno studio condotto da Lori Plotkin Boghardt del Washington Institute for Near Eastern Policy, sono “poche centinaia di migliaia”, diciamo 150.000. Si tratta di una piccola percentuale degli oltre quattro milioni presenti in Turchia, Libano, e Giordania… nonché il 5 per cento appena degli immigrati che potrebbero essere ospitati nelle splendide tende di Mina.
Il fatto che i ricchi Paesi arabi siano così restii ad accogliere i musulmani sunniti in difficoltà denota un atteggiamento egoista e ipocrita. La loro mancanza di disponibilità non dovrebbe essere premiata. È tempo che i governi e le organizzazioni che si occupano di rifugiati la smettano di prendere di mira l’Europa e si rivolgano a quei Paesi arabi capaci, con relativa facilità, di accogliere e dare lavoro ai loro fratelli in difficoltà.

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18 maggio 2016 – www.danielpipes.org
traduzione di Angelita La Spada