Il libro del politologo Hamed Abdel-Samad, sotto scorta in Germania. “I cosiddetti antifascisti mi aggrediscono perché ho criticato l’islam. È tipico delle dittature impedire di pensare e parlare”.

“Il razzismo avvelena qualsiasi società perché divide le persone in razze, gruppi etnici e religioni e polarizza, non solo ideologicamente. Non vede le persone come individui, ma come rappresentanti di un gruppo. L’antirazzismo dovrebbe fare esattamente l’opposto, vale a dire prendere le distanze da questa guerra di trincea ideologica e onorare e responsabilizzare le persone come individui, indipendentemente dal gruppo etnico o dalla religione a cui appartengono. Sfortunatamente, gli antirazzisti usano gli stessi mezzi degli stessi razzisti”.
A scriverlo non è un opinionista bianco di destra, ma Hamed Abdel-Samad, uno dei più importanti intellettuali tedeschi, un politologo egiziano nato al Cairo e che vive in Germania, dove si trova sotto la stretta protezione della polizia per le sue critiche all’islam radicale. Ha appena pubblicato il suo nuovo libro, Schlacht der Identitäten. La battaglia delle identità. Estratti sono pubblicati dalla rivista “Cicero”.
Hamed Abdel-Samad vive sotto sorveglianza a 360 gradi e 24 ore su 24 da un’unità speciale dell’Ufficio della polizia criminale di Berlino. Nessuna residenza permanente, spostamenti in veicoli blindati, ufficiali armati.
“In Canada e negli Stati Uniti, gli attivisti della comunità queer hanno fatto una campagna per espandere la bandiera arcobaleno e includere i colori nero e marrone, come segni visibili dell’integrazione delle persone di colore”, scrive nel libro. “L’antirazzismo ha il potenziale di dividere la società in modo simile al razzismo stesso”. Uno dei tratti distintivi di una società democratica libera è quello di tollerare le opinioni discordi. “I divieti di pensare e parlare sono più caratteristici dei sistemi dittatoriali. Ora in nome della tolleranza e della protezione alle minoranze si soffoca sul nascere qualsiasi discussione aperta. Nell’islam politico, ad esempio, coprendo i critici con accuse di ‘islamofobia’ e ostilità verso i musulmani”.
Abdel-Samad ne sa qualcosa. “L’Università di Mainz ha revocato lo status di gruppo universitario al ‘think tank per l’umanesimo e l’illuminismo’ perché mi ha invitato a una lezione all’università. Nell’anno in cui ho ricevuto la medaglia Josef Neuberger, i membri dell’Antifa mi hanno lanciato candele prima di una lettura a Monaco. Uno ha cercato di darmi un pugno in faccia e mi ha chiamato ‘fascista’ perché avevo scritto un libro che criticava Maometto”.
Abdel-Samad scrive che ci sono “associazioni di migranti che sperano di ricevere finanziamenti dallo Stato attraverso denunce di razzismo e islamofobia. Polarizzano dividendo la società in buoni e cattivi. Esaltano un gruppo e disprezzano l’altro, emarginano i dissidenti e, in nome della tolleranza, sono soprattutto una cosa: intolleranti”. Gli attivisti antirazzisti che buttano giù i monumenti gli ricordano gli islamisti che hanno fatto saltare in aria le statue di Buddha a Bamiyan, in Afghanistan, nel 2001, e il tempio sumero Bēl in Iraq nel 2015, con la motivazione che non erano islamici.
Si è instaurata una doppia morale spaventosa, dice Abdel-Samad. “Nella loro industria del razzismo, le minoranze possono essere solo vittime e solo l’uomo bianco può essere razzista”.