Il mondo contadino che canta, racconta, comunica nel presente le cose del passato è diventato un mito. I balli e gli accompagnamenti musicali, al contrario, sopravvivono ancora sotto molteplici forme.

La zona dolomitica, posta all’incrocio tra culture e tradizioni diverse, ha recepito i più svariati moduli musicali (1). I balli popolari avevano funzione sociale ed erano legati ai momenti non istituzionalizzati della vita collettiva; i principali erano legati al cullo della famiglia e della natura. Accompagnati da piccoli gruppi di strumenti a corda, fiato o archetti e percussione, utilizzavano le figure originarie degli antichi riti propiziatori. Può essere interessante ricordare, tra i più conosciuti, l’Agattanz, o ballo della coppia, che rappresentava la mitica unione di sposo e sposa (alcune figure erano fisse, come stuzzicare l’orecchio, indicare con il dito, giocare attorno alla figura della sposa); questa danza si è trasformata in una figura di ballo delle maschere di Termeno, il martedì grasso.

Il ballo del nastro, o Bandltanz, era eseguito attorno ad un palo ornato con nastri colorati. Anticamente il palo era un albero, simbolo della fertilità. Il ballo in ottave, o Achtertanz, era tipico delle maschere, eseguito in gruppi di otto ragazzi e otto ragazze. In realtà le “ragazze” erano maschi, ché alle donne non era permesso mascherarsi…

Il Muhlradtanz era il ballo della ruota del mulino: i giovani si stendevano a terra puntando a ruota i piedi l’uno contro l’altro: rappresentava il sole nella sua massima potenza e faceva parte dei riti di ringraziamento per il raccolto. Seguivano i balli cosiddetti dei mestieri: lo Schwerttanz, letteralmente “ballo della spada”, era il ballo dei minatori; il Rasierertanz, ballo dei barbieri, era l’iniziazione dei giovani alla vita sociale; lo Schstertanz era il ballo dei calzolai.

Il più noto ed ancora oggi conservato è il ballo dei bottai, Bindertanz, chiamato anche Schuhplattertanz  per le figure caratteristiche dei ballerini che battono ritmicamente dei colpi sulle scarpe e sui pantaloni di cuoio. Certamente la zona dolomitica ha raccolto influssi di culture diverse, molte di importazione nordica. Danze come la Polke, la Mazurka e il Walzer sono ancora molto diffuse.

Vale forse la pena di nominare un ultimo ballo, ora del tutto scomparso, ma tipico della zona tirolese, che sembra ancora legato ad un rito matriarcale: il Siebenschritt, o ballo dei sette passi; si eseguiva in coppie, sette passi a destra, sette a sinistra, tre avanti e tre indietro, e ad indietreggiare era l’uomo; il costume della donna era ornato di vistosissime chiavi della dispensa, appese alla cintura.

Strumenti mitici

Per quanto riguarda gli strumenti musicali tipici ci troviamo di fronte ad un misto di colto ed originario. Anche gli strumenti, come i balli, nascono da quella realtà che è stata soppressa dai vari modi di “razionalizzare”,

I Selvans, popolazione originaria, facevano vibrare fra le labbra foglie o cortecce di betulla Birkenblattter, e questa sembra essere l’origine dei flauti di salice e di sambuco, assai simili a quelli orientali. Accanto ai flauti ci sono le fruste sonore (Peitsche) usate dai pastori. Molti strumenti a percussione hanno suoni onomatopeici, come la Kuhglocke, la raganella ed altri,

Il corno “aiutava a cacciare gli animali e le donne selvagge”.

Fino alla fine del secolo scorso sopravvissero anche la piva, la cornamusa e la ghironda. Antichi versi di uno stornello da serenata dicono testualmente: “Arrivò un suonatore di ghironda/fino alla casa dei Weber/lì c’era la ragazza più piccola/affacciata alla finestrella”. (2)

Ma lo strumento tipico della tradizione musicale tirolese è quello a corda pizzicata: lo Hackbrett o salterio germanico, e la cetra o Zither. Lo Hackbrett, di forma trapezoidale  come tutti i salteri ha due o più ponti che distanziano ad intervalli regolari 24 coppie di corde che vengono battute con bacchette o martelletti. Gli intarsi, o rosette, caratterizzano per forma e disegno la provenienza dello strumento. La Zither ha una storia tutta legata alla tradizione popolare. Lo strumento si compone di una cassa armonica piatta sulla quale sono montate una tastiera e 13 o 17 corde doppie. Si suona pizzicando le corde per l’accompagnamento e producendo la melodia con le 5 o 6 corde sulla tastiera. L’organetto o cromatica e il violino, strumento colto, accompagnavano le feste ed i balli (come racconta questa antica strofa:” Tre balli so ballare/solo due il mio ragazzo/quando suonano violino ed organetto/le mie gambe non le so frenare”).

Un altro strumento è citato nelle leggende: è la tromba degli zingari o marranzano, il Maultrommel al quale nessuna donna può resistere. Maul è la bocca dell’animale: ancora una volta il suono è imitazione della natura e il perdersi in essa.

E la musica delle streghe?

Ecco un argomento subito esaurito se si tiene conto che assieme alle streghe anche la loro musica è stata sterminata! I libri specifici dicono ben poco al riguardo: sembra che il canto delle streghe fosse seduttore e bellissimo, ma sicuramente opera del maligno. Si racconta che la Dona del bon zogo, la strega della Val di Fiemma, proteggesse col suo mistero i segreti altrui. Certo possiamo supporre che i contadini la notte si riunissero nascostamente attorno ad un fuoco per scaldarsi e comunicare con gli altri: questi convegni furono chiamati “sabba” dagli inquisitori nei processi alle streghe, ossia incontri di affiliati al demonio. E poiché, raccontano, “la notte accanto al fuoco pallido c’era un gatto nero come un corvo che suonava la piva’ ’, si può supporre che si ballasse e si mangiasse suonando e cantando (“e il diavolo era lì e c’era un suonatore che suonava il Cordon”). Si dice che le streghe facessero tintinnare dei sonagli e dei campanelli che portavano appesi al collo e legati alle caviglie, che suonassero il tamburello accompagnando il flautista e il violinista che era il diavolo. Le leggende raccontano ancora: “S’avvicina la mezzanotte, bisogna affrettarsi, con angoscia di violini il ballo frana luce e colore e odore. Non basta, non basta, ancora un valzer! Avanti col ballo fino al mattino. La musica incalza sempre più veloce, come uno scroscio di sangue.” Per quello che oggi si potrebbe definire il tratto non verbale del linguaggio, pare che le streghe ridessero scompostamente, lanciassero urla raccapriccianti, che pronunciassero frasi sconnesse e che il loro linguaggio fosse costellato da sbuffi, balbettii e versi di animali. La descrizione dei convegni delle streghe, dei sabba appunto, insiste sull’aspetto esteriore del diavolo, dà dettagli accurati sul suo abbigliamento, sui modi con i quali si può riconoscere la sua presenza.

Si sa tutto o quasi sulle cerimonie di affiliazione, sull’abiura alla fede, sul patto col diavolo, sul marchio delle streghe, sui luoghi, le date, le ore delle assemblee, ma la parte sonora del rito non ci è stata tramandata. Emarginazione nella emarginazione, anche la bibliografia più competente, quella che colloca la stregoneria in una dimensione storica, non allude alla musica. Nessuna traccia è rimasta. Nessun superstite ha mai potuto riferire altro o, se lo ha fatto, non è stato creduto o ricordato. Tutto è scomparso con le fiamme dell’ultimo rogo.

Suono e medicina

Con riferimento alla stregoneria occidentale ed in particolare a quella europea del XV e XVII secolo, si possono desumere dalle testimonianze rese durante i processi, sia dalle interessate che dagli inquirenti, alcuni dati utili a ricreare, più che a ricostruire, la musica delle streghe. Le streghe di certo assegnavano una funzione unificante al suono e attraverso esso potevano penetrare nell’interno delle cose.

Degli strumenti usati si è già parlato: flauto, violino, certamente la cetra, forse le pive e gli scacciapensieri, i tamburelli ed i sonagli. Il canto, o una ripetizione, un ritmo, una formula fissa dovevano accompagnare ogni fattura delle streghe cosi come la preparazione delle pozioni o degli unguenti e la loro somministrazione.

Pare lecito avanzare un’ipotesi sulla musica delle streghe basandoci sul ruolo terapeutico del suono: operando al di fuori della medicina ufficiale, basata sulla fisiologia umorale, sembra che le streghe conoscessero perfettamente quello che accadeva all’interno del corpo; con l’udito era stato selezionato il tipo del rumore: la gutta cadens delle caverne polmonari, i toni del cuore; le mani esperte potevano stabilire le aree degli organi interni, capirne la materia e la funzione. Si parla di suono di coscia o di massa compatta, di chiaro suono polmonare, di suono di timpano o di cavità vuote. La musica delle streghe doveva necessariamente riflettere queste esperienze terapeutiche. I suoni del corpo in stato di salute e quelli del corpo in stato di malattia -le dissonanze- dovevano essere gli elementi base di questa musica.

E per traslato le streghe usavano il proprio corpo come strumento musicale. Questa non è una novità perché l’esperienza di culture originarie ci dimostra come anche gli sciamani in atto di guarigione fossero accompagnati da strumenti musicali come casse di risonanza dei rumori dei loro spessi corpi. Gli organi cavi danno suoni che sono ripresi dal battere del tamburo, il fluire dei liquidi ha il fruscio e il sibilo del flauto, sonagli e tamburelli ripetono i battiti del cuore. Stabilendo una tipologia di suoni, il corpo delle streghe diventa strumento musicale e la struttura del luogo dove la strega agisce determina l’accompagnamento.Il sabba viene celebrato in luoghi aperti, di solito in radure di notte; e la notte come tempo ideale per il sabba co-stituisce già una gerarchia di rumori e risonanze.

La musica delle streghe è quindi la corporizzazione di rumori che avvengono nel contesto della notte. Questi rumori sono fruscii, tonfi, comunicazioni sonore di animali notturni, specialmente uccelli. Rumori tesi ad un richiamo erotico, ad un’espressione di piacere, segnali di disturbo, di allarme, suoni di aggressività, di trasmissione di identità, di esorcismi per un nemico che avanza e del quale non si conosce che la voce. Suoni di animali, suoni di corpi in una società dove già parlare del silenzio del corpo è trasgressione e stregoneria. Voci umane che si trasformano in voci di animali, come anche le streghe, si dice, potevano trasformarsi in gatti, uccelli, capre, lupi. La struttura del canto delle streghe sembra dunque potersi definire quella di un ritmo o di una ripetizione: una formula fissa ripetuta nelle sue modulazioni come è il canto degli uccelli e il verso degli animali. La stessa tipologia della formula magica ripete questo metro: all’antico Epu-Ipe-Opia si è sostituito Gesù- Giuseppe-Maria come chiusura di ogni invocazione. La definizione del significato non passa attraverso la sostituzione di simboli religiosi che hanno preso il posto di antiche divinità oscure, ma attraverso la struttura del suono.

Nella formula strutturalmente più semplice che è l’abracadabra, non collegabile né alla tradizione né alla traduzione, arriviamo alla concezione della parola magica come puro aggregato di suono. D’altra parte questa deduzione può essere riferita alla teoria che definisce la connessione essenziale fra la realtà e il segno. La stessa poesia è di chi possiede la parola magica che apre mondi diversi. Ma non solo la parola può aprire i mondi, ma della parola anche i singoli elementi, le vocali e le consonanti. Apriti Sesamo e Chiuditi Sesamo sono semanticizzazioni di un processo la cui formula è andata perduta. Il suo potere doveva basarsi sulla capacità coagulante o sciogliente di alcuni gruppi di suoni uniti e ritmati in una ben determinata ripetizione. Questa musica può così essere ordinata in due canali: quello dei suoni coagulanti e quello dei suoni scioglienti, quello delle formule magiche che evocano o creano e quello delle formule magiche che distruggono. Lo studio della musica delle streghe potrebbe portare avanti un discorso più generale sui suoni e sui segni. Anche qui, come nella linguistica, siamo di fronte a un problema: il tutto non è riducibile a formule fisse. Oltre ai suoni coagulanti e a quelli dissolventi ci troviamo dinanzi una dialettica degli stati di mezzo, di quelli che contengono tutte e due le possibilità. Anche il suono è un segno arbitrario stipulato da convenzioni. Il registro delle infinite possibilità del possibile è andato perduto e la realtà ha i termini del passeggero per eccellenza. Così come abbiamo dimenticato la musica delle streghe, abbiamo eliminato il passato e fatto del presente l’attimo che non è mai vissuto perché sempre proiettato in un tempo che è il futuro.

Note

(1) Riferisce A. Quellmalz che le prime ricerche scientifiche sulla Volksmusik nell’area linguistica tedesca del Tirolo furono approntate intorno agli anni 1938-39 dall’istituto Statale per le Ricerche Musicali di Berlino, utilizzando per la raccolta e l’archiviazione del materiale sonoro registratori AEG-K4. Quellmalz stesso avviò le sue ricerche in Sudtirolo tra il 1940-42 focalizzando l’indagine nei circondari di Brunico-Bruneck, e Vipiteno-Sterzing. Raccolse e catalogò più di 3.300 canzoni o brani strumentali e 23 documenti filmati, che però vennero perduti nel corso del conflitto mondiale. L’autore ordinò il materiale distinguendo:

Canzoni rituali: canzoni dell’anno nuovo con a solo salmodiale gregoriano o le Kloklerlied di Sarentino-Sarntal, dove uomini adulti cantano in quinte parallele.

Ballate popolari: le Tannhauser Ballade, la Ulinger Ballade le antichissime

Schwankballaden.

Canzoni del periodo teresiano.

Canzoni nazionali del risveglio nazional-tiroiese.

Canzoni del pascolo e della caccia.

Cfr.: A. Quellmalz, Eine Sammlung Sudtiroler Volksmusik, in “Schonere Heimat”, a.

54, n.l, Munchen, 1965, pp. 281-288.

Però, già all’inizio del secolo scorso, furono approntate le prime raccolte e trascrizioni della tradizione orale e musicale tirolese. Poche sono le tracce di questo passato, rimangono invece molte rappresentazioni grafiche dell’epoca di balli e feste contadine. La musica popolare, contadina, fu certamente influenzata dalla musica di corte e l’arte musicale stessa si esercitava nelle corti principesche e spirituali della regione. Riferisce lo studioso M. Forcher che legate alla pratica associativa di cacciatori o strutture militari si formarono le prime bande. C’era uno strano strumento, presente in molte raffigurazioni pittoriche del tempo, il cosiddetto chinesische Glocklhut, un cappello di campanelli cinesi.

Dopo il XVI secolo si moltiplicarono i cori, finalizzati alle celebrazioni liturgiche, diffondendo in questo modo la stessa conoscenza della musica. Nel XVII secolo lo strumentario dei gruppi musicali del Tirolo mutò radicalmente: Dudelsack e Drehleier scomparvero, rimase il violino come strumento portante nei gruppi di ballo e canto, che iniziarono anche le rappresentazioni teatral-religiose sulle piazze dei paesi.

I fiati giunsero in Tirolo solo con lo spirito militaresco del 1800, con il cosiddetto “risveglio nazionale tirolese”. Ogni istituzione o struttura associativa promuoveva una sua banda musicale. Tipico è l’esempio del gruppo musicale degli Schùtzen (cacciatori tirolesi) di Hottinger. Nel 1813, racconta una cronaca dell’epoca, il gruppo musicale sfilò per le strade della città in questa formazione: due violini, un violoncello, un flauto, un clarinetto, due tamburi, due grancasse e un piccolo tamburo. Nel 1819 il gruppo fu riorganizzato tutto sulla base di strumenti a fiato. Così fu anche per le orchestre da ballo. Il militarismo aveva trovato anche un suo linguaggio musicale.

Cfr. M. Forcher, Wies fruher klang in Tirol, in “Kulturage 1977”, Osterreichischer Gewerkschaftsbund Tirol, Innsbruck, 1977.

Cfr. anche sull’argomento: A. Quellmalz, Von der Sudtiroler Baumernmusik,

in “Die Volksmusik”, settembre 1951, n.9, pp. 100-102;

W. Wiora, Musik in Geschichte un Gegenwart, 1. 363, Alpenmusik,

M. Haberlandt, Osterreichische Volkskunst, 2 voli., Wien, 1911;

L. Schmidt, Volksgesang und Volkslied -Proben und Probleme, Berlino, 1970; AA.VV., Volksumusik im Alpenland, Innsbruck, 1980.

(2) Il sabato sera gli innamorati cantano delle strofette sotto la finestra dell’amata, gettano fiori e sassolini per svegliarla. Spesso la fanciulla apre la finestra, a volte cala una scala e l’innamorato entra nella stanza della donna; se la ragazza non apre, allora l’innamorato cantando si allontana.