L’Unione Europea, così com’è strutturata e organizzata, è in sintonia con le minoranze etnolinguistiche, con le piccole patrie del continente che devono essere difese e rispettate proprio per la loro peculiarità? Chi scrive ha in proposito grandi perplessità. Sembra infatti che la società europea, pur nella sua eterogeneità, assista al declino etnico-identitario con l’indifferentismo che connota ormai l’ignavia occidentale. Le piccole patrie, le antiche minoranze linguistiche, l’appartenenza ai valori tradizionali, sono guardati con sospetto dall’Europa centralista che dell’orrida impersonalità burocratica ha fatto un metodo.
Quando i tecnocrati di Strasburgo o di Bruxelles fanno l’apologia degli attuali valori europei, intesi come “migliori” rispetto a quelli delle altre parti del mondo, viene davvero il voltastomaco. Il rappresentante della politica estera dell’Unione, Josep Borrell, all’inizio dell’invasione russa in Ucraina dichiarò: “La vera questione, oltre alla guerra, è la lotta dei valori tra il nostro modo di vivere e quello della Russia”. Dichiarazione retorica e destituita di una verità oggettiva.
Per quanto riguarda la Russia europea, non convince la tesi che abbia un modo di vivere differente dal resto d’Europa e dall’occidente. Con la fine del mattatoio comunista, il liberismo selvaggio e il consumismo, non solo degli oligarchi, sono entrati nel tessuto connettivo della società urbanizzata e soprattutto nella testa della gente. Non risulta, come vorrebbe far credere il metropolita ortodosso Kirill (che ha benedetto la guerra), che la società russa abbia rigettato la frivolezza e la lascivia nate negli anni ‘90 e regnanti fino ai giorni nostri.
È probabilmente vero che l’occidente, attraverso i suoi contenuti squallidi, esercita una leadership politica ed economica nel mondo, ma i russofili non combattono il suo declino intellettuale e morale bensì la sua geopolitica. A costoro, ovviamente, non interessa che l’occidente faccia ammenda degli errori tornando alle radici della sua civiltà, ma che scompaia per far posto alla politica espansionistica eurasiatica di ispirazione neosovietica.
Al netto di queste riflessioni geopolitiche, bisognerebbe chiedere a Borrell: “A nome di quali popoli portatori di ‘valori’ europei parli?”; e poi: “Chi ha detto che i valori propagandati dalla nomenklatura europea sono, anche solo lontanamente, i valori storici dell’Europa dei Popoli, e non piuttosto i desideri di un’etica degenerata che invece li sta negando?”.
Come studiosi delle peculiarità territoriali, constatiamo con sempre maggiore disappunto che le mode dominanti non rispettano le comunità autoctone, ma i “desideri” dell’individualismo dei grandi centri urbani.
Tali “desideri”, oltre che essere la patologia del consumismo compulsivo, rappresentano l’erompere della decadenza morale europea nelle metropoli. Un conflitto valoriale emerso anche negli Stati Uniti durante la campagna elettorale alle ultime elezioni presidenziali, allorché si è appunto palesata la frattura tra le metropoli e zone rurali.
Sembra di essere tornati al 1861, quando si posero le basi per la guerra civile americana. L’assalto al Campidoglio a Washington del 6 gennaio 2021 è stato un avvertimento, certo criticabile nel metodo, di chi si era stufato di quest’epoca descritta come “post-democratica”. Dubito che queste reazioni contro la dittatura liberal siano destinate a raffreddarsi. Quanto accade negli usa, comprese (ahinoi!) le cattive abitudini, prima o poi arriva in Europa. Questa volta speriamo di avere una spinta virtuosa da utilizzare contro il centralismo radical-chic di casa nostra. In esso s’intravede il mondo sotto-sopra, la decadenza del continente, l’esondazione anarchica di una società malata in pasto al caos valoriale.
L’Impero Romano cadde per denatalità e incapacità di difendere i suoi confini dai “barbari” attraverso un’invasione incontrollata. Altre cause della decadenza furono ricchezze ereditate, brama di eccessiva comodità, accidia, incuria verso il patrimonio e le tradizioni degli avi che avevano lasciato in eredità alla progenie un tesoro universale.
Oggi in Francia e in Italia, solo per fare un esempio, due partiti politici hanno avuto il coraggio di elencare tra i punti del loro programma elettorale niente meno che la “lotta contro le piccole patrie”. In Francia, questo capolavoro programmatico è sostenuto del partito En Marce, di Emmanuel Macron, e in Italia da Più Europa, tra i cui fondatori c’è la braidese Emma Bonino.
Nel 2008, l’allora senatrice contattata da chi scrive affinché sottoscrivesse un disegno di legge a favore dell’inclusione della lingua piemontese nella legge di tutela sulle minoranze linguistiche (492/99), replicò che “delle cause piemontesi non si occupava”. La questione certo non riguardava i soliti disvalori per i quali il personaggio eccelle: aborto, eutanasia, ong attenzionate dalle procure europee; ma costei era pur sempre stata eletta, o meglio paracadutata in Piemonte come capolista del Partito Democratico!

Emma Bonino: sovvenzionata da Soros, il suo caso dovrebbe far impallidire il Qatargate. Dovrebbe.

Per la cronaca, la lingua piemontese è tuttora esclusa dalle quelle tutelate, a favore per esempio dell’enclave associativa occitanista lengadociana avulsa dalla vera minoranza linguistica provenzale alpina del Piemonte.
Comunque, oltre a dire che molti politici usano le istituzioni come “il salotto di casa loro”, tornando a noi registriamo come per i capi bastone dell’Unione le piccole patrie sarebbero “dannose” per l’unitarismo del cosiddetto sviluppo dell’Europa del terzo millennio. È in atto da decenni una pulizia etnolinguistica della quale nessun organo di stampa osa parlare.
Gli zelanti politici collaborazionisti “unionisti” vomitano normative comunitarie vessatorie, sia contro gli Stati “non allineati”, sia contro le territorialità etniche. I popoli autoctoni che non posseggono statuti speciali di difesa linguistica stanno per essere spinti dal globalismo fuori dal perimetro della storia e cancellati dalla faccia della terra.
Trovarsi nella triste condizione di essere considerati “figli di un dio minore” nel contesto della gerarchia sociale, per i popoli autoctoni non è più una percezione soggettiva ma un fattore acclarato ormai da decenni.
Ma noi ci ostiniamo a immaginare un’Europa (e non solo lei) in mano ai suoi abitanti originari, discendenti di coloro che l’hanno formata nei millenni.