“Così non va mica bene”, dice in ebraico il rabbino Yona Yaakobi, indicando contrariato una tomba con la statua di un uomo morto nel 1988.
Scolpita in marmo bianco, la statua a grandezza quasi naturale del defunto lo ritrae con lo sguardo fisso in avanti, il bastone in mano, affiancato da due vasi di fiori artificiali. Appena sotto, sulla lapide nera, sono scritti in ebraico nome, data di nascita e data della morte. Ma ancora più sotto questi dati ricompaiono, più visibili, in russo.
“Tutto ciò è influenzato dai musulmani che l’hanno preso dai russi”, continua Yaakobi.
Anche se questa particolare tomba è tra le più pacchiane dei tre cimiteri di Krasnaya Sloboda – città interamente ebraica nel nord montuoso dell’Azerbaigian – è circondata da centinaia di altre che ostentano immagini realistiche dei defunti in varie pose, talora al limite dell’assurdo.
“Li ho conosciuti tutti di persona. So la storia di ognuno di loro”, racconta Yaakobi mentre si avvicina a una grande lapide raffigurante un uomo di mezza età in abiti da ufficio, seduto su una poltrona somigliante a un trono. “Questo tizio, per esempio, un giorno è andato a pescare, e quando ha sollevato la canna ha finito per colpire i cavi ed è morto fulminato”.

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Il rabbino Yaakobi è arrivato a Krasnaya Sloboda (che in russo significa “città rossa”) dalla città israeliana di Kfar Saba come emissario del movimento filosofico-religioso Chabad quasi 10 anni fa. Da allora, ha lavorato incessantemente per riportare la comunità nel gregge del giudaismo ortodosso, dopo secoli di isolamento quasi totale dalle altre comunità ebraiche; per non parlare dei decenni di politiche antireligiose dei sovietici.
La città stessa fu fondata come rifugio per gli ebrei nel 1742 da Fatah Ali Khan (l’emiro musulmano della città di Quba) in una zona semipianeggiante a sud dell’attuale confine con la provincia russa del Daghestan. Mentre la zona aspra e selvaggia a nord aveva rappresentato per secoli un rifugio per gli ebrei, un periodo di tensioni iniziato con il XVIII secolo aveva visto i sunniti locali aggredire i loro vicini ebrei e metterli in fuga.

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Gli ebrei della montagna di Krasnaya Sloboda celebrano un fidanzamento. Siamo intorno al 1910.

“A quei tempi abbondavano le persecuzioni contro gli “ebrei della montagna” e una delle loro città fu incendiata”, spiega Alexander Murinson, membro della Bahçeşehir International University ed esperto di comunità ebraiche del Caucaso. “Fatah Ali Khan invitò gli ebrei che avevano vissuto in quella città, e che erano relativamente ricchi, a insediarsi al di là del fiume Quba e assicurò loro la sua protezione”.
Secondo Yaakobi, prima dell’avvento sovietico nel 1920 la città era un proliferare di geni, studiosi e gente che faceva miracoli, ma tutto cambiò allorché la zona venne annessa alla Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaijan.
“Quando arrivarono i sovietici, spedirono tutti i rabbini nei gulag”, racconta, “ma rimaneva sempre almeno una sinagoga attiva. Anche se veniva chiusa per un certo tempo, la gente continuava a venirci a pregare in segreto. Con il  passare del tempo però, la gente di qui andava perdendo la conoscenza della Torah e della legge ebraica”.

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1919, un melamed (maestro) insegna la Torah ai bambini a Krasnaya Sloboda.

Un punto di vista leggermente diverso viene proposto dallo studioso Murinson, secondo il quale osservatori esterni avevano notato una mancanza di sapere ebraico nella gente del posto già molto tempo prima.
“La storia dei Soviet responsabili del declino culturale della città fa parte del classico armamentario stile “quelli eran giorni”, “ai miei tempi”, “età dell’oro”, e via dicendo”, obietta Murinson. “Già nel XIX secolo il livello di conoscenza della Torah era bassissimo, ed è un dato di fatto attestato da rabbini provenienti dalla terra di Israele e dall’Europa orientale che erano venuti a visitare la città”.
Comunque sia, quando cadde l’Unione Sovietica il giudaismo a Krasnaya Sloboda era in uno stato pietoso, la conoscenza della Torah e della legge ebraica era prossima allo zero, e parecchi rappresentanti delle giovani generazioni semplicemente non erano interessati alla religione.

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Il rabbino Yona Yaakobi da Kfar Saba, Israele, inviato della Chabad a Krasnaya Sloboda per quasi10 anni. Foto dell’autore.

Tutto cambiò con l’arrivo di gruppi di “missionari” ebrei ortodossi nella zona alla fine del 1990. Anche se la Chabad non è stata la prima organizzazione ad arrivarci, essa – e Yaakobi in particolare – è stata fondamentale per riaccendere l’interesse per la cultura ebraica e trasformare la comunità di Krasnaya Sloboda. Una trasformazione particolarmente positiva in un momento in cui, in piena crisi economica seguita al crollo sovietico, molti venivano trascinati nel gorgo della droga e della criminalità.
“Quando l’URSS collassò, un sacco di ebrei, quaggiù, colsero l’occasione e diventarono assai ricchi”, dice Yaakobi. “Molti di loro hanno fatto milioni in età relativamente giovane. Passati dal non avere nulla a possedere ricchezze eccezionali, parecchi di loro iniziarono a usare droghe. Quando ti trovi di colpo un sacco di soldi in tasca e non sai come spenderli, perdi la testa. In tanti sono morti per droga, spesso a soli 30-40 anni d’età”.

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Uno dei tre cimiteri di Krasnaya Sloboda. Foto dell’autore.

I tre cimiteri arroccati su una collina che domina Krasnaya Sloboda rappresentano una testimonianza di queste vicende, pieni come sono delle tombe di persone morte in quel periodo e la cui spoglie sono state restituite alla città da varie località della Russia.
“C’è stato un tempo in cui sembrava di essere nel selvaggio west”, commenta Murinson. “C’era un sacco di criminalità, e un mucchio di denaro entrava nelle tasche con sistemi criminali. Un sacco di azeri, ebrei compresi, erano coinvolti in una miriade di attività mafiose in Russia. Era una specie di Chicago nell’èra del proibizionismo, e molti sono rimasti uccisi durante le guerre tra bande, o per l’uso di droghe o l’AIDS”.
Secondo Murinson, l’ingresso della Chabad sulla scena ha trasformato la vita della generazione più giovane, riportandola a uno stile di vita più conservatore, religioso e prudente. Un cambiamento ben visibile nella vivace sinagoga locale, dove i giovani pregano con entusiasmo tre volte al giorno, e nel beit midrash, la scuola, dove una trentina di loro è iscritta allo studio della Torah.

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Diversi giovani del posto si sono recentemente qualificati come cantori, mentre altri stanno assistendo Yaakobi nell’insegnamento al beit midrash e nella materna locale.
Rimane però un problema serio: la gente se ne sta andando da Krasnaya Sloboda.
Mentre intorno alla metà del secolo scorso la città veniva considerata il più grande insediamento al cento per cento ebraico al di fuori della terra d’Israele, i numeri sono calati da un picco di 18.000 a una cifra attuale di residenti fissi che Yaakobi stima attorno al migliaio. “Come avviene in tutto il mondo, ci sono persone che se ne vanno altrove. La comunità si sta gradualmente restringendo. È quanto accaduto a Bukhara, in Uzbekistan, dove pian piano se ne sono andati tutti quanti gli ebrei”.
Sebbene l’Azerbaigian rappresenti un’anomalia nel mondo islamico, l’essere sia ebrei sia filoisraeliani, lo standard di vita relativamente basso del Paese e un’economia pressoché inesistente, sono fattori che spingono i residenti a cercare pascoli più verdi altrove.

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In assenza di attività e posti di lavoro, chi ha scelto di rimanere è costretto a vivere del denaro inviato dai parenti che lavorano all’estero, negli Stati Uniti, in Israele e in Russia.
“Se non fosse per le rimesse, la città sarebbe morta. Loro lo sanno, ma non vogliono affrontarlo perché è troppo doloroso”, rileva Murinson.
Quando però si parla di emigrazione, nonostante il riaccendersi della religiosità tra le nuove generazioni, queste mostrano scarso interesse per lo Stato ebraico preferendogli la Russia. Riguardo a Israele, l’impressione diffusa tra gli abitanti di Krasnaya Sloboda è che si tratti di un luogo dove probabilmente essi sarebbero rovinati, sia culturalmente sia economicamente, e la loro cultura tradizionale distrutta.
“Quando chiedi alla gente perché non vogliono trasferirsi in Israele, ti dicono: ‘Mica puoi farti una vita lì. L’educazione non è buona. Non c’è cultura’. Qui ragionano tutti così. Sono convinti che Israele rovinerebbe i loro figli”, lamenta Yaakobi.
Un giovane del luogo spiega il suo pensiero sull’argomento: “In Israele ci si può divertire, ma noi non siamo soltanto alla ricerca del divertimento. Vogliamo farci una vita, vogliamo andare in Russia”.
La Russia è vista come la terra delle grandi opportunità, e non senza giustificazione: trasferirsi in quel Paese si è rivelato una cuccagna per molti emigrati dalla cittadina, parecchi dei quali sono diventati miliardari, come German Zakharyaev e God Nisanov. Entrambi i personaggi, amici d’infanzia, si sono trasferiti da Krasnaya Sloboda a Mosca in tempi relativamente recenti e hanno fatto fortuna con varie iniziative imprenditoriali. I simboli del successo loro e di altri sono visibili nell’intera città, sotto forma di decine di edifici nuovi e molti altri attualmente in costruzione.
Questi magnati, sbocciati in Russia e altrove, sono anche la fonte di finanziamento alle attività religiose che stanno cambiando la città. A parte la sinagoga e il beit midrash, i fondi dall’estero stanno sostenendo la costruzione di un nuovo bagno rituale e di un museo quasi completato sugli ebrei della montagna.
Dietro gran parte dei finanziamenti religiosi di Krasnaya Sloboda c’è anche il magnate israeliano Lev Leviev il quale, pur essendo un bukharian dall’Uzbekistan e non una ebreo della montagna, è un importante benefattore della comunità ebraiche mizrahi, cioè orientali, e in particolare della Chabad.
Queste tendenze russofile da parte della gente del posto comportano che, oltre al locale dialetto persiano juhuri parlato da tutti gli abitanti di Krasnaya Sloboda, i genitori preferiscano come seconda lingua per i loro figli il russo, anziché la lingua ufficiale azera.
Murinson descrive quella sovietica come l’epoca in cui “il russo era la lingua di alta cultura, una lingua di prestigio. L’obiettivo per la gente della città era di essere il più possibile conforme alla cultura imperante, se non altro per sopravvivere: bisogna sempre conoscere il linguaggio dell’impero. E adesso tutti sono a caccia di opportunità economiche in Russia, quindi perché perdere tempo con la lingua azera locale? A che gli serve? Molti conoscono l’azero appena a livello elementare”.
Anche nei cimiteri cittadini le lapidi sono incise in ebraico e in russo, mentre l’azero è introvabile.

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Tardo ‘800: foto di una famiglia di Quba, vicino a Krasnaya Sloboda, che festeggia la Pasqua ebraica.

Con tutti gli autoctoni che prendono la via della Russia, Krasnaya Sloboda tende a ricordare una città fantasma per la maggior parte dell’anno; ma le cose cambiano durante i mesi estivi, allorché a migliaia rientrano per presenziare in estate al Tisha B’Av, il giorno ebraico della rimembranza e del lutto, quando è uso pregare sulle tombe degli antenati.
Secondo Murinson, la devozione agli antenati è uno dei tratti culturali caratteristici degli europei, e ciò vale anche per gli ebrei della montagna. Ed è probabilmente uno dei motivi del forte attaccamento alla loro città natale.
Un’altra ragione per cui continuano a tornare, anche se per una semplice visita, è semplicemente che lo possono fare – secondo Yaakobi – “grazie ai buoni rapporti tra loro e i musulmani. Si sentono a casa, qui, e hanno sempre l’opportunità di tornare a viverci.
Questo è un Paese tollerante. Il 70% di loro sono sciiti, e non sono radicali. Sono moderni. È anche un Paese multiforme, con tante realtà differenti, sicché ciascuno deve trovare un modo per vivere in pace con gli altri. Qui convivono circa 75 etnie diverse”.

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Il nome ufficiale azero di Krasnaya Sloboda è Qırmızı Qəsəbə.

Nonostante tutti i suoi successi, le vecchie abitudini sono dure a morire a Krasnaya Sloboda, e Yaakobi non riesce a convincere i locali a evitare le raffigurazioni dei defunti sulle tombe (anche se la pratica è stata proibita da svariati rabbini di alto lignaggio, in particolare da Hatam Sofer nel XIX secolo).
Per quanto in origine non fosse un’usanza locale, la pratica russa di raffigurare il defunto sulla tomba fu stata adottata con entusiasmo dagli ebrei della montagna in quanto ben si coniugava con la tradizionale dedizione al ricordo degli antenati.
Le raffigurazioni alla russa dei morti non si limitano solo ai laici, ma sorprendentemente includono anche rabbini del posto. Clamorosa la tomba che in uno dei cimiteri offre l’immagine di Natan, il rabbino locale prima dell’arrivo della Chabad. In una grande immagine incisa sulla lapide nera, Rabbi Natan è raffigurato con grande realismo mentre indossa il suo scialle di preghiera e stringe un breviario.
“I responsabili sono i suoi figli”, borbotta Yaakobi. “Non seguono il mitzvot [i comandamenti]”.
“Io credo che queste iconografie siano destinate a rimanere”, sostiene invece Murinson. “Alla fin fine, Chabad non ha intenzione di cambiare così tanto gli ebrei della montagna. Sì, si appelleranno alla loro sensibilità religiosa, ma non riusciranno a modificare la cultura di base”.
Comunque sia, Rabbi Yaakobi ha permeato questo oscuro angolo del Caucaso di un rinnovato spirito ebraico che ha influenzato la comunità in senso positivo. È ormai quasi diventato uno del posto, è chiaramente amato da tutti e mostra anche una notevole padronanza della lingua locale juhuri.
Anche se il futuro della comunità è incerto a causa dell’emigrazione, Yaakobi si mostra ottimista ed è pronto a fare tutto il necessario per la conservazione del giudaismo in un territorio dove, solo poco tempo fa, era pressoché scomparso. E giura: “Finché a Krasnaya Sloboda resteranno ebrei, io non mi muoverò di qui”.

 

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Il rabbino Yona Yaakobi di fronte alla sinagoga più importante della città azera.

 

(Times of Israel)