Uno dei più importanti filoni della canzone demotica greca è quello il cui oggetto verte sull’evento della morte, in una riflessione poliedrica che indugia su tutte le sue fasi, a cominciare dal saluto allo scomparso fino all’idea della decomposizione del corpo lungo le tappe che possono riferirsi alla solitudine del morto sottoterra, all’oblio in cui egli è destinato a cadere, al ricordo della sua bellezza, prestanza o valore, al dissolvimento spesso del suo nucleo familiare, alla prospettiva di un riscatto offerto a Charos.
Tutto ciò naturalmente rientra nella considerazione del preminente posto che occupa la morte (e ovviamente anche la Morte) nell’immaginario dell’uomo greco in particolare, sin dalla antichità omerica: si direbbe perfino che esista (e sia sempre esistita), a prescindere dalla freddezza, squallore e sofferenza dell’avvenimento mortale, una sottile forma di familiarità con la morte, forse anche “geneticamente” instaurata nella continua confidenza con le sue più svariate manifestazioni collaterali (servaggio, fame, guerra, stenti, eccetera), come insegna peraltro la millenaria storia dal 3000 a.C. (e anche prima) fino alla guerra civile del 1945-1949.
Nei tempi passati i miroloja erano cantati (meglio sarebbe dire: pianti) in quattro circostanze caratteristiche dopo la morte del personaggio “interessato”: l’esposizione del defunto, il funerale, la sepoltura e le varie commemorazioni periodiche (triduo, novena, mese, anno).
È peculiare il fatto che il miroloi viene espresso solo durante il giorno. Cessa, e deve cessare, al calar della notte. E il silenzio più totale, devoto e penoso subentra durante tutte le ore notturne.
D’altra parte, nella sola fase dell’esposizione all’omaggio di parenti, amici e conoscenti la procedura del miroloi obbedisce a ben precise e inviolabili regole nell’ambientazione creata dalle μοιρολογήτρες, “lamentatrici”, e in relazione a un preciso ordine di precedenza tra di loro, ai canonici modi di “chiedere la parola” l’una all’altra, eccetera.
L’esecuzione del miroloi presuppone poi l’osservanza di un repertorio di codificata gestualità: i movimenti del capo, delle mani e del corpo obbediscono a prestabilite finalità rappresentative, che variano da regione a regione, intese pur sempre comunque al raggiungimento di una quanto più grande possibile eccedenza di drammaticità, ma severa e disciplinata, senza mai scadere nel manierato e artificioso. Ciò che importa è il grado di coscienza del lutto che si riesce a ispirare agli astanti e che è direttamente proporzionale alla considerazione di questi ultimi verso il defunto.
Non è poi da escludere che, nelle forme più remote di miroloi, alla dizione “cantata” del testo poetico si accompagnasse un vero e proprio tessuto coreutico sì da realizzare il perfetto connubio tra poesia, musica e danza, alla stregua di quanto insegnava sin dal VII sec. a.C. l’esecuzione pubblica delle antiche forme poetiche liriche greche.
Considerata l’essenza della natura umana, è da supporre, con un notevole margine di credibilità, che gli inizi del miroloi, sia pure non nelle forme che la canzone demotica ci tramanda, risalgano a qualche migliaio di anni addietro.
Assumendo come punto di partenza, sia ante che post, il primo miroloi scritto che si conosca, quello di Andromaca sul corpo del defunto Ettore (e, nel tempo, poco prima, quello di Achille per Patroclo) e tenuto conto della sua già perfetta struttura poetico-lessicale, da una parte, e gestuale, dall’altra, è chiaramente possibile congetturarne un assai lungo, fors’anche di parecchi millenni prima, iter formativo, mantenuto per forza di obiettive condizioni conoscitive nella tipica forma orale della tradizione popolare.
Ciò vuol dire che a monte, notevolmente a monte, della compiuta espressione omerica del IX-VIII secolo a.C. non è affatto azzardato immaginare un antecedente lungo e costante lavorìo costitutivo e creativo del miroloi con successive tappe di compimento 1) attraverso tutta la preistoria e storia delle popolazioni che abitarono il sud della penisola balcanica.
A perorare a favore di simile tesi altro non è che la naturale propensione dell’essere umano, sia pure in una fase precoce della sua formazione psichico-intellettuale, a manifestazioni di cordoglio per la morte di un membro del proprio gruppo “familiare” o comunque del nucleo di persone legate da vincoli di sangue o/e di affinità tribale.
Così, raggiunta nell’Iliade la perfezione espressiva – sia come contenuto di parola che come atteggiamento del corpo – il miroloi si trasferisce nel corso di non meno di quindici secoli nel mondo della più ampia partecipazione popolare a stati di cordoglio o lutto non solo a carattere personale o familiare, ma anche attinenti a convenzioni sociali rispetto a personaggi terzi attraverso semplici relazioni di conoscenza o amicizia, o perfino in mancanza di queste e unicamente per convenienza o pietà umana.
L’ampliamento quindi della cornice di esplicazione dei motivi e degli effetti del miroloi comporta la parallela cessazione di ogni creazione e trasmissione scritta, di solito in composizioni poetiche caratterizzate da un preciso e più alto possibile impegno di valore artistico, e l’adozione di un tramandamento orale che, non meno qualitativamente valida seguendo un processo ripetitivo innovante e qualificante lungo un numero imprecisato di migliorie lessicali e concettuali, perviene nelle risultanze del canto demotico ai primi secoli dopo il 1000 d.C. alle più mature e diversificanti manifestazioni poetiche di miroloja particolarmente densi di sostanza e di pregi emozionali.
Accanto alla produzione (e “consumo” in ristrette cerchie domestiche) del miroloi demotico, non si può comunque tralasciare di ricordare l’esistenza del cosiddetto miroloi letterario che per la prima volta, come s’è visto, s’incontra in Omero, continua però nei successivi autori lirici e tragici dei secoli VII-V a.C. e via via fino all’epoca cristiana nelle opere degli innografi ecclesiastici dei primi secoli dopo Cristo e durante l’età bizantina fino alla fioritura della poesia e teatro cretese e cipriota del ‘500 e ‘600, per concludersi nell’ispirazione dei poeti del XIX e XX secolo, in particolare di Kostìs Palamàs (1859-1943), Kostas Vàrnalis (1884-1974) e Jannis Ritsos (1909-1990). È questo un miroloi ad alto coefficiente letterario, un miroloi che potremmo definire da lettura (privata, in volume) o da recita teatrale (pubblica, in audizione).
Nel miroloi demotico le donne sono le principali, e per lo più uniche, 2) interpreti e depositarie del tradizionale patrimonio di compianti funebri – un ruolo che certamente si rifà ai personaggi delle prefiche sin dalla più lontana antichità “storica”, ciò che fa intuirne l’esistenza anche in epoche ben più remote.
Quanto poi alla struttura formale del miroloi, può articolarsi in un dialogo o, per lo più, in un monologo. Nel primo caso, il dialogo si svolge tra morti oppure tra vivi e morti oppure tra morti e Charos 3) o infine tra vivi e Charos; nel secondo caso, il monologo può essere di viventi o di morti.
A seconda del contenuto, dell’origine, delle modalità espressive, delle particolarità regionali, della circostanza temporale, i miroloja possono rappresentare cinque tipologie diverse:

  • miroloja composti in versi, in distici rimati;
  • miroloja non in versi, quali varianti improvvisate sulla base di preesistenti forme mirologiche ed inseriti tra due testi in versi;
  • miroloja interamente improvvisati ad hoc, alla speciale intenzione del defunto come dedica alle sue qualità, alle sue vicende esistenziali, ai suoi requisiti professionali, eccetera;
  • miroloja che hanno per oggetto particolari tematiche utilizzate sia a livello circoscritto regionale che su più ampia scala nazionale;
  • miroloja di tipo narrativo (prosastico) che vanno sotto la denominazione di “miroloja dell’altro mondo” o “miroloja di Charos” la cui “esecuzione” può aver luogo non solo nelle quattro circostanze temporali citate dianzi, ma anche in altre qualsiasi, non aventi attinenza con le predette.

Non in tutte le regioni della Grecia vige (o almeno vigeva sino a 50-60 anni fa) l’usanza di “piangere” il defunto in apposite cerimonie funebri. Veri e propri titoli di qualità il miroloi ha acquisito in Macedonia e nell’Epiro, nel nord della Grecia, e nel Peloponneso, specie nella regione di Mani, a cavallo tra la Lacònia e la Messènia, nel sud.
Quanto, infine, all’oggetto dei miroloja, è molto interessante, per quanto strano ciò possa apparire, por mente al fatto che questi non esclusivamente attengono a situazioni di cordoglio e di lutto per la morte di qualcuno: esiste infatti un notevole numero di essi che trattano tematiche del tutto diverse, come ad esempio l’incarcerazione per lungo periodo, il matrimonio della ragazza (attenzione: mai dell’uomo!), la partenza per il servizio militare e altre ancora, contiene elementi descrittivi propri al miroloi funebre e adotta reazioni psicologiche, comportamenti fisici e ragionamenti paralleli a quelli che definiscono quest’ultimo.
È una contaminazione del tutto naturale e spontanea visto che il fulcro ideale risulta il medesimo, e invariato, sia in tutte le predette fattispecie che nel archetipico modello e modulo del miroloi mortuario.
La medesima tragicizzazione della situazione contingente si delinea e si concretizza nelle fisionomie del miroloi per la morte di una persona e nella canzone del matrimonio, ad esempio, oppure nella canzone della migrazione, e così via altresì negli altri generi di canzoni demotiche or ora menzionati. Sia nella concezione e sia nella poesia l’“uscita” del defunto dalla sua casa si pone sulla medesima linea emozionale dell’uscita della fanciulla per andare in sposa, dell’uscita dell’uomo che parte come emigrante, eccetera eccetera. Si tratta sempre e comunque di una definitiva perdita della precedente consistenza e coesione familiare, una soluzione di continuità nel nucleo familiare, come pure la soggettiva perdita di un membro attivo della comunità parentale.

miroloja canzone popolare ellenica
Caronte, secondo l’incisore Gustave Doré.

Nel miroloi l’improvvisazione costituisce uno degli elementi fondamentali, anche se nella pratica non assoluto ed esclusivo.
Il processo improvvisativo trova esito in diversi casi comunque precisamente definiti: per esempio nella fattispecie del miroloi di circostanza che utilizza materiale poetico e narrativo prestabilito, e cioè da tempo organizzato e precisato in strutture verbali, nel quale vengono inseriti nuovi “pezzi” di estemporanea invenzione tipicamente attinenti alla specifica persona e personalità del defunto, oppure quando si creano intermezzi di nuova ispirazione che si pongono come “ponti” tra due o più formulazioni espressive o “motivi” di preesistente tradizione, oppure ancora nei casi in cui, al di fuori delle forme standardizzate, vengono (devono essere) poste in rilievo personali rimembranze del defunto o tematiche proprie a rilevanti caratteristiche della sua vita in famiglia o in società.
Per il resto, buona parte dei miroloja, come peraltro accade anche con le rimanenti categorie di canzoni demotiche greche, è costituito da tipiche fraseologie sparse nel corpo del testo, che si tramandano (e si sono tramandate) nel corso del tempo e attraverso le successive trasmissioni orali da una mirolojistra all’altra, sia pure talvolta con lievi modificazioni verbali. 4)
Risultano invece di formazione prettamente improvvisativa i miroloja espressi in distici rimati, recitati in occasioni del tutto particolari relative a determinati defunti.
Peraltro la forma del distico appare sempre aureolata da un costante, immutato successo sin dalla sua prima apparizione nel sec. XIII, trattandosi di una formula poetica di agile progressione, epigrammatica intuizione e densa intensità concettuale. Tutto ciò presuppone non comuni capacità inventive ed espositive, nonché una spiccata virtuosità lessicale. Sino a oggi in Grecia continua l’usanza delle gare di distici rimati nelle quali emergono le doti di intelligenza, prontezza e cultura dei contendenti. Non meno, nel passato, accesa si poneva la concorrenza delle mirolojistres nei compianti funebri cantati in distici, di solito decapentasillabi, paradigmatico verso della poesia demotica. Va da sé che l’ammirazione e il consenso degli ascoltatori era ed è direttamente proporzionale all’abilità e versatilità creativa di produzione di distici naturalmente con il miglior senso compiuto e la più poetica o satirica o realistica immaginazione.
Nel generale contesto dei miroloja il distico rimato è particolarmente diffuso a Creta orientale, Cipro, in Tracia. Sono testi che vanno sotto il nome di miroloja di Charos e hanno un carattere di pronunciata improvvisazione. Al contrario distici di contenuto per così dire “di prammatica” vengono utilizzati in prevalenza in Epiro, a Creta occidentale, nel Peloponneso. Nel primo caso il cantante o dicitore si esprime secondo la fantasia del momento; nel secondo, non fa che seguire, con rarissime e comunque insignificanti eccezioni e modifiche, fedelmente i testi “canonici” fissati nel lungo iter tradizionale.
Una importante distinzione giova rilevare qui tra distici e miroloja veri e propri, nel senso che mentre nei distici volentieri s’inseriscono indirizzi e precetti di derivazione cristiana e, insomma, vi compaiono non pochi caratteri della religione e religiosità cristiana, nei miroloja ogni riferimento a contenuti cristiani è decisamente e invariabilmente escluso, nel contempo apparendo più che palese l’origine antica di molti di essi.
Ciò comporta altresì il rischio dell’impossibilità di una loro precisa datazione, soprattutto dei miroloja di classica struttura codificata e immutabile.
In ogni modo la testimonianza della parentela di molti miroloja con antichi testi sepolcrali (stele e tombe) traduce con chiarezza una precisa prosecuzione ideale che trova la sua ragion di essere nella linea retta che collega l’antico threno (θρήνος) al successivo miroloi e di conseguenza l’assoluta mancanza di qualsiasi soluzione di continuità tra poesia mortuaria antica e poesia mortuaria neoellenica, termine, questo, nel quale non può non comprendersi la produzione della poesia demotica.
Quanto precede non può quindi che giustificare appieno l’affermazione di una continuità ideologica e pratica tra antiche iscrizioni funebri e moderne propaggini mirologiche. E allora sono più che evidenti le radici antiche della poesia funeraria del mondo neogreco, 5) anche se quest’ultima non solo si esprime, ma anche rivela una concezione della morte e dell’aldilà in termini incomparabilmente più crudi e brutali di quelli dai quali deriva. La ragione di tale esarcebazione non può essere che una: la particolare asprezza che si riscontra nelle tematiche, nei pensieri e nelle descrizioni dei testi neoellenici, ignota in quelli antichi, permeati di tenerezza e pacata sensibilità, non potrebbe che collegarsi con le molto diverse, mutate in senso più acre, condizioni sociali ed esistenziali dell’uomo neogreco.
A questo punto sorge spontaneo il confronto del miroloi con altre forme letterarie di canzone demotica, tanto vi si evidenziano elementi costitutivi con un percorso parallelo e una significazione ampiamente analogica.
Il medesimo filo conduttore unisce quindi, come più sopra predelineato, i miroloja alle canzoni dell’espatrio e ai canti delle nozze: la separazione dal nucleo familiare e il conseguente disfacimento della coesione parentale. Per quanto, quindi, tematicamente la morte, il matrimonio e l’emigrazione possano risultare, e in effetti risultano ove considerati in senso lato, privi di evidenti o apparenti legami di correlatività o connessione, un sostanziale, reale e pieno di pratiche conseguenze comune denominatore esiste e soprattutto agisce in una medesima, invariabile direzione.
Anche con le canzoni klèftike il riflesso dei miroloja è palese nella cruciale fase della morte del kleftis, una situazione psico-fisica che, in se stessa considerata, non può in sostanza mai diversificarsi e mutare, in tutte le fattispecie umane rimanendo una e la stessa.
Sotto le “sembianze” di miroloja, infine, vengono interpretate ed espresse alcune paralojès, il cui materiale funebre tende con facilità a diventare voce mirologica.

miroloja canzone popolare ellenica

Da quanto sopra considerato, si evince che il miroloi costituisce certamente la forma espressiva per eccellenza della cerimonia del compianto, nella sua generalità; un compianto che descrive il relativo intero cerimoniale, nelle sue fasi e nei suoi contenuti, in cui si articola la trama funebre della morte rapportata alla persona del defunto.
Pertanto i miroloja sono dei veri e propri testi rituali che vanno oltre il loro significato verbale, sentimentale e acustico, per attingere esiti di astratta essenza filosofica spesso di ecumeniche dimensioni.
Nella forma, il miroloi comprende una parte descrittiva o narrativa e una parte dedicata al commentario. Nel contenuto, possono distinguersi almeno tre tipi di miroloja: a) quelli che attengono alla prima fase della “rappresentazione funebre”, quella del raduno della gente presso la dimora del defunto ai fini della “organizzazione” del compianto; b) quelli che espongono le circostanze della “preparazione” del defunto per l’esposizione al cordoglio degli astanti; e c) quelli, infine, dedicati alla parte più accorata e drammatica dell’evento: l’estremo commiato nella ormai definitiva certezza della irreversibilità della morte.
Nel rituale del saluto, particolare di rilevante importanza è l’adozione e utilizzazione di non poche tematiche tipiche delle canzoni demotiche nuziali nelle quali la partenza della sposa, che produce un non indifferente perturbamento nell’organico familiare, conduce per molti versi alla stessa situazione psicologica provocata dalla dipartita di un membro della famiglia: entrambi sono definitivi e lasciano un vuoto incolmabile. D’altronde, caratteristica è spesso la sostituzione di una sola parola senza con ciò alterare il senso e la destinazione del testo mirologico: il termine Charos (morte) con quello di xenos (straniero), e viceversa, dove il significato e il valore qualificante dello sposo in quanto “straniero”, “estraneo”, viene equiparato addirittura, per quanto ciò possa apparire eccessivo, a quella della morte, Charos, sostantivo di genere maschile in greco.
Tra le due categorie di canzoni quindi, più che di parallelismo, si deve riscontrare una vera e propria comunanza tematica nel particolare momento del commiato. 6)
Molteplici, com’è naturale, vista la composita formazione del miroloi, possono essere i motivi che impongono e quindi ispirano e creano le condizioni per cantare un testo di miroloi, partendo dall’idea centrale e dall’originario fomite della sopravvenuta morte vista come provocazione di molti e successivi mali.
Guy Saunier, particolarmente esperto per studi e riflessione, ne individua undici principali 7) che costituiscono altrettanti argomenti tra i quali la mirolojistra sceglie quello che, più attivamente sollecitando il lato sentimentale dei superstiti e degli altri colà presenti e, d’altra parte, meglio rilevando la personalità del defunto, possono dare al proprio compianto maggiore incisività e più vibrante adesione psicologica.
Vale la pena qui enumerarli così da permettere al lettore e studioso d’intendere al meglio l’ampiezza e la varietà delle fonti del miroloi con tutte le loro implicazioni etico-filosofiche e fisico-pratiche:

  1. commiato dal mondo dei vivi
  2. dissolvimento della famiglia
  3. oblio e rifiuto
  4. solitudine e inattuabile contatto
  5. impossibile riscatto e resurrezione
  6. consunzione
  7. perduta bellezza
  8. mitologia matrimoniale (morte→matrimonio)
  9. male assoluto
  10. Charos
  11. comportamento umano

I miroloja della migrazione in terra straniera

Premesso che i testi dei miroloja costituiscono la parte più poetica e quindi pregevole del corpus della canzone demotica greca, la specifica fattispecie di miroloja relativi alla migrazione in terra straniera propongono la più elevata percentuale di lirica partecipazione e di intensità di sentimento.
Né avrebbe potuto essere diversamente ove si consideri che la popolazione greca risulta essere espatriata in numero proporzionalmente di gran lunga superiore a quello di qualsiasi altro Paese europeo nell’assillo di sopravenienti nel tempo miserie, carestie, pressioni demografiche, assenze di assistenza statale, pressioni belliche, disoccupazione sin dagli ultimi decenni del XIX secolo per accentuarsi ulteriormente via via fino agli anni ’50 del Novecento. È naturale dunque che, dopo tutto ciò, la costante “pratica del dolore e della separazione” abbia creato nella coscienza e nell’inconscio popolare la più sensibile disponibilità e manifestazione nel racconto di un’avventura personale che diventa esemplare partecipazione collettiva.
Ed è allora il famoso nostos, l’insopprimibile tensione di un impossibile, spesso, ritorno in patria, appunto la nostalgia, il dolore (άλγος) dell’incompiuto desiderio (νόστος), che si diffonde nel miroloi contemperandosi e arricchendosi con la millenaria tradizione del threno (θρήνος) sin dall’antichità classica.
Negli sviluppi eminentemente lirici del miroloi si esaltano gli attivi stati psicologici che tribolano i protagonisti della canzone attraverso una molteplice, indifferibile pressione sentimentale sia per ciò che riguarda il noto mondo familiare e patrio lasciato indietro, sia in relazione al nuovo genere di vita la cui proiezione coinvolge un futuro ignoto in condizioni locali parimenti sconosciute e di per se stesse minacciose.
E non vi è alcun dubbio pertanto che il miroloi sia uno dei generi della canzone demotica con il più alto tasso di lirismo. L’argomento stesso del miroloi predispone in particolar modo, come s’è già detto, alla più cospicua e commossa dovizia lirica nell’esprimere stati d’animo, sensazioni, sentimenti, aspettative, realtà e immaginazioni.
L’acquisizione lirica pertanto avviene alternativamente o cumulativamente attraverso una molteplicità di “moventi”, ovvero determinanti impulsioni riferite a concrete figure personali o ad astratte riflessioni emotive, oppure infine a fantastiche personificazioni e/o identificazioni.
Così “il soggetto lirico si presenta nell’aspetto della madre, della moglie, della figlia, della mirolojistra 8) che associa molti e diversi ruoli”: 9) tutte donne che, nel piangere il dolore altrui, non raramente giungono addirittura a somatizzarlo quale proiezione, nell’interno della coscienza e della psiche, di un proprio passato dolore rimasto nella memoria, che ritorna a galla, di proprie morti e propri morti. In tal modo si perviene nel miroloi a una specie di universalizzazione del dolore parallela a una universalizzazione del dolore umano.
D’altra parte nel miroloi si esaltano le componenti commozionali e mentali nella liricità del racconto monodico e nella dialettica delle poetiche significazioni sentimentali non raramente sostenute da avvincenti sillogistiche rappresentazioni di stati d’essere e di attualità materiali. La lirica presenza personale mediante la narrazione mirologica si trasforma trasformando il defunto, sì che il suo corpo, la sua voce, il suo sembiante, la sua ontologia si personalizzano in nuova vita e vivificazione nella fantastica funzionalità di una reminiscenza polisemantica ricca di poetici prolungamenti.
A questa liricità del miroloi non poca parte spetta al fatto che esso si estrinseca principalmente nel verso decapentasillabo, verso di esteso respiro elegiaco, adatto come nessun altro al flusso placido del dolore chiuso in se stesso, molto vicino all’antico esametro dattilico catalettico dell’elegia classica antica greca.
Ed è appunto nel quadro di tale lirismo che si evidenziano la caratteristica e il segno di riconoscimento di tutti i miroloja, ossia il costante accenno del morto al “mondo di sopra” con tutte le sue bellezze e attrazioni, l’inestinguibile sentimento di preferenza espresso per questo mondo abbandonato a causa della morte, l’ostinata nostalgia per questo mondo dei vivi, le sue gioie, la sua luce, i suoi canti di felicità; tutto ciò conducendo spontaneamente alla esplicita descrizione del contrasto con il “mondo di sotto”, gelido, risonante di lamenti e di pianti, oscuro e pieno di ombre, inospitale (“chi nella terra entra, non esce giammai più”). 10)

Altre tematiche dei miroloja

La vita. Sembrerebbe un controsenso o un’assurdità, ma è proprio nei miroloja che il canto della vita (terrena) assume accenti di sentita intensità e di vera poesia. La vita è vista unicamente dal lato positivo della bellezza, della letizia, del benessere e della giovinezza, venendo ignorato e bandito qualsiasi lato negativo e cattivo.
Leggendone i versi non è affatto difficile che il pensiero si rivolga spontaneamente indietro nei secoli, dapprima alle precise intuizioni della lirica greca antica e poi quella alessandrina, di seguito, quindi e più dappresso ai riscontri quattrocenteschi (ma anche prima) sulla fugacità della gioventù e delle sue gioie, mentre non mancano addirittura accenti riferiti alle pessimistiche visioni dell’Ecclesiaste.
Un esempio certamente interessante è il seguente:

Gioia, gioia, gioite
gioite più che potete
tempo non attendete,
perchè il tempo passa
e non ritorna più.
Ogni cosa vanità.
Così è la giovinezza
appassisce come fiore
e si scioglie come cera 11)

e trattando e parlando appunto di giovinezza, il cantore demotico così ha modo di esprimersi:

Godete, giovani, le belle e voi fanciulle, i giovanotti,
e voi, vegliardi, gioite dei vostri ragazzi.
È così questo mondo, bugiardo mondo.
Come il sogno che vidi ieri nei pressi dell’alba. 12)

e ancora, in un’altra variante:

Godete, giovani, godete, fanciulle, la vostra rugiadosa gioventù
perché presto appassisce, se ne va, maledizione! 13)

per cui l’accostamento al poeta antico è quasi istintivo:

Breve il frutto della giovinezza,
quanto il sole sulla terra

per questo

…un attimo solo
godiamo i fiori della gioventù 14)

in una onirica illusione:

Un attimo – come un sogno –
dura la preziosa gioventù 15)

concetto che Teognide così esprime:

Rapida come il pensiero se ne va
la splendida giovinezza
e neppure l’impeto dei cavalli
è più rapido 16)

mentre una ideale affinità lega il poeta demotico al fors’anche suo contemporaneo collega rinascimentale nella sua esortazione:

Quant’è bella giovinezza,
che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto, sia
di doman non c’è certezza. 17)

La morte. All’opposto della vita, l’evento della morte si pone con non minore immediatezza nell’economia poetica e descrittiva dei miroloja.
In sé e per sé la morte, θάνατος, si rispecchia nella visione e nell’esistenza di una notevole varietà di personificazioni simboliche, identificative di un “personaggio” polimorfico a sua volta variamente legato ad attribuzioni e situazioni che ne accentuano l’entità e la sostanza.
Riportando alla memoria la rappresentazione “genealogica” della morte come si articola nella realtà mitologica della Grecia antica, da cui peraltro trae ispirazione e alimento il poeta demotico dei miroloja, 18) fondamentale sinonimo e alter ego della Morte è Caronte (in greco: Χάρος). È questo pertanto il protagonista-attore dell’evento-morte. Figlio di Erebo, regno dei morti, a sua volta figlio di Chaos e fratello della Notte, della tenebra, Caronte (Charos) è colui che nella sua barca trasporta le anime dei morti nella terra delle ombre attraverso un percorso esclusivamente acqueo: i fiumi, Acheronte (corrente di dolore), Còcito (pianto), Piriflegetonte (torrente di fuoco), Stige (fiume dell’oblio) e il lago Acherusio.
Nulla esclude che l’itinerario esclusivamnente acqueo delle anime verso la loro ultima dimora possegga una non troppo celata valenza simbolica in relazione alla costituzione in prevalenza acquea del corpo umano, o fors’anche a una origine genetica aquea nelle fasi dell’apparizione della vita sulla terra.
L’ultima destinazione è l’Ade (in greco: Άδης), la cui identità varia pur rimanendo per definizione il luogo del perpetuo tormento: può essere l’inferno, la geenna (di fuoco), l’eterno fuoco, il Tartaro, la valle del pianto, il prato degli asfòdeli, il porto.
Dall’altra parte esiste e sta il Thànatos (Θάνατος), dio della morte, pure lui figlio della Notte (ossia della tenebra) e fratello del Sonno.
Nella terminologia demotica viene ad attuarsi l’assorbimento delle significazioni attribuite a Ade, Charos, Thànatos e Aldilà: i quattro termini divengono sinonimi ed equivalenti a tutti gli effetti con una amplissima preponderanza del termine Adis (Ade) e Charos (Caronte) quali determinanti il luogo ospite dei defunti e il latore incaricato. 19)
Una differente terminologia, basata su elementi fisici e materiali ugualmente diffusa nel canto demotico, è quella che utilizza espressioni come “la terra nera”, “la terra oscura”, “la terra muffosa”, riflesso della “terra nera” nell’antica lirica greca.
Naturalmente la morte può essere giusta o ingiusta a seconda di chi ne è vittima; parimenti può essere opportuna o inopportuna a seconda della situazione personale della “vittima”. I vecchi e i vecchissimi rientrano nella prima ipotesi; i giovani, i figli unici, i fidanzati, gli appena sposati appartengono alla seconda ipotesi, per cui fondamentale discriminante criterio di giustizia risulta l’elemento fisico della teorica più o meno grande durata della vita che rimane al protagonista della canzone, anche nel presupposto che il maggior numero di anni ancora da vivere viene ulteriormente “bonificato” dall’esistenza delle prospettive della mancanza di alternativa tra fratelli (essere figlio unico), dalla presenza di un’aspettativa di (comunque) promettente unione matrimoniale (essere fidanzato) e della considerazione di uno sviluppo familiare di vicina attuazione (nozze appena celebrate).
Collegata e conseguente alla morte è l’idea di ciò che è dopo la morte. Anche in questa prospettiva la canzone demotica ignora i precetti della religione cristiana per quanto concerne il quadro di una compiuta vita nuova al di là del mondo terreno, prevalentemente adottando indirizzi teleologici propri ai popoli pagani: la sola vita che conta è quella vissuta nel “mondo di sopra” e nessun’altra vita di analogo significato è pensabile ed esistente in qualsiasi altro mondo si possa immaginare.
Il miroloi, nella presentazione del destino umano e nella sua interpretazione nella quale fulcro inamovibile e imprescindibile è solo l’essere umano e i suoi molteplici “volti”, utilizza come nessun altro prodotto demotico il vivificante potere della fantasia per arricchire nella più intensa commozione estetica le percezioni e le rappresentazioni umane della morte, del dolore, della fatalità e assurdità, della soggettiva realtà dell’essere vivente e dell’oggettiva realtà dell’insondabile destino e finalmente dell’insanabile contrasto tra il “qui” e l’“al di là”; percezioni e rappresentazioni che sono poi comuni in tutti i tempi e in tutti i luoghi.
L’analisi che ne fa Jannis Motsios, acuta e profonda, ben rispecchia e chiarisce queste essenziali componenti dei miroloja:

L’ignoto o l’insufficientemente noto riguardo al “mondo di sotto” e il tentativo di un accostamento poetico e di una ricostruzione di tale “mondo di sotto” hanno prestabilito la vivace partecipazione dell’immaginazione in questa tematica: e questo, senza eludere la verità, crea rappresentazioni che si basano contemporaneamente sia sui desideri degli uomini sia alla obbiettiva realtà col suo mescolare il mondo di sopra con quello di sotto (…) Il popolo, poeta e fruitore di questi beni culturali, 20) modella la favola/miroloi quale complesso di testi che di continuo modifica, arricchisce e adatta alle mutevoli necessità degli esseri umani (…) La varietà di rappresentazioni e idee nel miroloi è stata stabilita dal percorso stesso del popolo greco con i suoi usi e costumi che spesso si diversificavano, dal diverso modo di pensare, di sentire, di immaginare e di creare da parte di uomini della medesima generazione, di diverse generazioni, periodi storici uniti dalla volontà di una utilizzazione poetica e valutazione estetica del mondo dei vivi e del mondo dei morti. 21)

 

 

 

N O T E

1) Ciò beninteso nel territorio di espansione della lingua, storia e civiltà greca, cioè non solo geograficamente circoscritto nei limiti territoriali dell’odierna Grecia ma anche esteso nelle sue circostanti attinenze culturali.
2) Nondimeno in alcune regioni greche (Creta, Cipro, Macedonia, Tracia) non è raro incontrare uomini cantori di miroloja.
3) Il personaggio del Charos (Χάρος), il quale più che al traghettatore delle anime Caronte si riferisce alla morte stessa, personificata, è ugualmente comune nell’antichità greca come nel mondo della canzone demotica, palesemente prossima alla tradizionali credenze pagane e ugualmente lontana dall’insegnamento e culto cristiano. Nelle canzoni demotiche non è mai la morte che interviene, ma sempre Charos.
4) G. Saunier, Canzoni demotiche greche. Miroloja, ed. greca.. Atene 1999, pag. 10.
5) Cfr. l’interessante saggio di M.Alexiou, The ritual lament in Greek tradition, Cambridge 1974.
6) V. anche G. Saunier, Les chansons de noces à thèmes funèbres, Paris 1968.
7) Più ampiamente v. G. Saunier, op. cit.
8) La donna che esprime il miroloi, il compianto funebre: una figura che, ripetiamolo, per diversi aspetti ricorda quella della antica prefica.
9) J. Motsios, Il miroloi greco. Problemi di interpretazione e di arte poetica, vol. I, Atene 1995.
10) Un mondo dell’aldilà che nella canzone demotica, in genere, possiede l’angosciante tetraggine dell’antico Ade, con le sue ombre spettrali e l’inconsumabile pena.
11) In M. K. Komninòs, I miroloja di Kastellòriso, Atene 1971.
12) In N.G. Politis, Florilegio di canzoni del popolo greco, Atene 1924.
13) In M. Avjeris, Antologia della poesia greca, III, Atene 1959.
14) Mimnermo, 2D.
15) Mimnermo, 5D.
16) Teognide, vv. 985-986.
17) Lorenzo de’ Medici, Canti carnascialeschi. Canzona di Bacco.
18) In tutte le canzoni demotiche greche l’accenno al Dio cristiano e comunque a qualsiasi prassi di carattere e natura cristiani è assolutamente inesistente, tanto da far addidittura pensare che gli autori dei testi demotici, e in particolare di quelli mirologici, non siano cristiani.
19) La figura del Charos enumera centosessantacinque differenze o sfumature di descrizione nell’espressione poetica del corpus demotico (J. Motsios, op. cit., pag. 136).
20) Intende: le opere dell’arte demotica.
21) J. Motsios, op. cit., pag. 105.