S’agapo giati isai orea, “ti amo perché sei bella”. Questa canzone greca, resa famosa dall’interpretazione di Iorgos Dalaras, è generalmente considerata una canzone tradizionale. È assai diffusa in Grecia, ma anche in Turchia e in Asia minore. Ricercandone l’origine ho trovato molte diverse attribuzioni, e c’è chi dice che sia di origine ebraica, ma anche napoletana, o armena. In rete ne esiste un’esecuzione molto bella del violinista armeno Samvel Yervinyan chiamata Mia Yerevan (Erevan è la capitale dell’Armenia).
Cercando tra le varie versioni della canzone, ho trovato però che spesso se ne attribuisce la paternità ad Aristidis Moschos, un musicista del secolo scorso, suonatore di santur, uno strumento musicale di origine persiana diffuso in oriente e Asia minore. Egli stesso ha affermato più volte di esserne il compositore: in un’intervista, visibile anche su YouTube, dichiara di averla scritta per la moglie. 1)

Santur.

Ho dunque seguito questa traccia con lo scopo di mettere un po’ d’ordine nei fili che compongono la tradizione musicale di questa canzone.
Consultando la discografia di Aristidis Moschos in cerca delle prime registrazioni della canzone S’agapo, ho trovato che nel 1990 viene pubblicato per la prima volta Ta paradosiaka, un lp per l’etichetta Sonora, una raccolta di canzoni della tradizione popolare la cui ultima traccia è proprio S’agapo giati eisai orea.
Più avanti, ma senza data, troviamo un cd pubblicato dall’etichetta Ateneum, nel quale abbiamo la seguente traccia 10: S’agapo giati eisai orea (smirneike cantada).
Questa specificazione, smirneike cantada, ha indicato un’altra direzione alla mia indagine e mi ha permesso di scoprire che, al di là dalla versione ufficiale che è la più diffusa, il dibattito sulla sua origine genera ancora oggi vivaci controversie. 2)
Smirne, centro di diffusione di questi modelli musicali, si trova ora in Turchia (Izmir); ma nell’epoca antecedente al 1922 era una città di popolazione prevalentemente greca all’interno dell’impero ottomano. Consideriamo che nell’impero l’identità dei gruppi di popolazione era definita in base alla religione, mentre i gruppi linguistici erano indifferenti e costituivano suddivisioni interne.Di volta in volta i regnanti ereditavano sudditi ortodossi, eterodossi e non religiosi che potevano o meno avere la stessa lingua. 3)

Smirne costituiva un meraviglioso crogiolo di popoli e culture e fu un fecondo terreno di produzione musicale, in cui le reciproche influenze provenienti da Oriente e da Occidente crearono momenti espressivi di grandissima vitalità. Nella seconda metà dell’Ottocento è la città della musica per eccellenza: taverne aperte a tutte le ore, complessi musicali, chiamati estudiantine, che animano la vita di decine di locali, teatri, sale da concerti, circoli e luoghi all’aperto in cui si suona musica classica occidentale e musica tradizionale o popolare. 4)
La popolazione è altrettanto variegata: greci, turchi, arabi, ebrei, italiani, romeni, francesi, gitani, armeni, convivono fianco a fianco, ognuno portando qualcosa della sua cultura in questo grandioso fiume musicale.
Questa molteplicità di influenze si nota anche nella maggior permeabilità alla musica occidentale: a Smirne veniva coltivata la musica classica di tradizione europea suonata da orchestre di formazione accademica.

La cantada

Ma tornando alla cantada smirneika menzionata sul disco di Moschos, si apre un interessante scenario su questo genere musicale, la cantada: influenzata dalla musica operistica europea e dal melodramma che si sviluppò nelle isole Ionie, viene chiamata cantada eptanesiana, delle sette isole. Esse rappresentano l’unica area di cultura ellenica che, dal Rinascimento, mantenne contatti diretti e ininterrotti con il mondo europeo; inoltre, con l’eccezione di Leucade, l’Eptaneso rappresenta la sola parte dell’odierno Stato greco a non aver praticamente mai vissuto la dominazione ottomana. 5) Ciò ebbe una grandissima influenza sulla storia musicale dell’arcipelago, che vanta una vera e propria scuola, la fioritura di orchestre e gruppi musicali che furono costantemente seguiti da musicisti provenienti dall’Italia.
La musica di queste isole si differenzia da quella del resto della Grecia per essere polifonica e non monodica, e per usare la scala tonale e non il sistema modale della musica tradizionale greca, turca e orientale. Sia nelle sue accezioni colte e autoriali che in quelle popolari, si tratta di un genere assai più vicino alla sensibilità europea e più orecchiabile per chi sia abituato alla musicalità occidentale.
La cantada a cui ci stiamo riferendo non ha nulla a che vedere con il genere colto della cantata rinascimentale e barocca. Sviluppatasi nei contesti urbani delle Ionie, è assimilata anche nella terminologia del greco moderno alla serenata; si caratterizza per il testo di tipo amoroso e per la sua modalità di esecuzione all’aperto, sotto il balcone di una ragazza. È documentato che tali concerti improvvisati condotti a tarda sera sotto le finestre, in certi casi creassero problemi di ordine pubblico, tanto che nel 1859 venne emessa un’ingiunzione con la quale si vietava ufficialmente il canto per le strade dopo le undici di sera. 6)
Sembra che la serenata ionica si sia diffusa nella Grecia continentale dopo l’unione delle Ionie con la Grecia nel 1863. Divenne particolarmente popolare nelle aree urbane e diede origine alla serenata ateniese. Gli abitanti dell’Eptaneso e i compositori della Scuola Ionica che partirono per cercare fortuna nella nuova capitale, introdussero ad Atene le melodie delle cantádes e il costume di cantarle la notte per le strade. Sulla base della canzone urbana delle isole Ionie si sviluppò quindi nei quartieri del centro di Atene, come per esempio la Pláka, un nuovo genere di cantada. 7)
“La cantada fu l’antenata del canto ‘popolare di città’, insieme ai canti di Polis [dove per Polis si intende Costantinopoli] e Smirne, anch’essi occidentalizzati.Era urbana, ma anche popolare perché non era necessariamente erudita ed era parlata dalla gente comune.Le isole Ionie, però, inizialmente non facevano parte dello Stato greco e le loro cantada, a differenza delle kleftikas o dei versi popolari dei dotti poeti ionici, non avevano testi che permettessero ideologie e idealizzazioni”. 8)
Ideologie e idealizzazioni che furono alla base del tentativo nazionalista di cancellare le tracce di orientalità/ottomanità nei caratteri culturali greci. Questo impulso identitario culturale, che tendeva a ripulire la grecità dal suo passato di sottomissione ai turchi, operava a volte in contrasto con la volontà di emanciparsi dalla cultura europea in nome di un’identità propriamente greca.
La cantada è quindi un genere urbano derivante dalle cantade ioniche, ma che si inserisce in tipologie di canti preesistenti a Smirne, Costantinopoli, Atene, in un’epoca in cui i caratteri europeizzanti erano già entrati nella cultura musicale, anche grazie agli scambi, ai passaggi della gente, alle tournée delle orchestre occidentali.
Torniamo al punto di partenza, la canzone S’agapo con didascalia smirneike cantada. Quindi, serenata alla maniera di Smirne, oppure serenata di Smirne? Nel primo caso si tratterebbe di una scelta di stile, nel secondo indicherebbe l’origine della canzone.
Per quanto riguarda il contenuto della canzone, si tratta di un tipico testo da serenata. Nella parte centrale l’innamorato invita la sua bella ad aprire la finestra e a lasciarsi guardare; ma è stato osservato come la frase più caratteristica, quella iniziale che si ripete anche alla fine – “ti amo perché sei bella, ti amo perché sei tu” – non sia propriamente di gusto tradizionale, ma abbia un sapore più moderno, o se non altro più originale.
C’è però un’altra traccia da seguire: la melodia di S’agapo, o meglio l’inciso strumentale, è assai simile all’introduzione di un canto molto celebre: Smirneiko minor, una canzone diffusa tra i greci dell’Asia Minore ma anche presso i turchi. Fu registrata per la prima volta nel 1909 nella versione intitolata Minore manes, mentre col titolo Smirneiko minor si trova nel disco di Marika Papagika The music of the ottoman-american diaspora 1916-1929. La Papagika era emigrata negli Stati Uniti nel 1915 con il marito Kostas, suonatore di cymbalo e suo accompagnatore, e divenne un punto di riferimento importante con il suo locale Marika’s, realizzato come un cafè aman, in cui si mangiava e si ascoltava musica. Il locale attirava non soltanto greci, ma anche emigranti albanesi, arabi, armeni, bulgari e turchi. Smirneiko minor fu registrata dalla Papagika anche in lingua turca.

Grovigli etnici

Il café aman di cui abbiamo parlato, così come anche il titolo del canto Minore manes, ci conducono a una necessaria digressione collegata a questa indagine: nel mondo greco esistevano due tipi di caffè, il café sadan e il café-amàn.
Il cafè sadan (καφέ σαντάν) era un locale in cui si suonava musica occidentale. Il nome sadan viene dal francese chantant, detto alla greca, con la difficoltà dei parlanti ellenici a pronunciare la palatale aspirata.
Il café amàn era un luogo di incontro, dove la gente si riuniva per bere, mangiare e fumare il narghilè. Il nome deriva dalla parola amàn, che nella lingua turca significa qualcosa come “oh!” “ahimè!” e veniva usata in certi canti a metà tra l’improvvisazione e la recitazione. C’è chi sostiene che questo suono ripetuto come un lamento servisse per dare tempo al cantante di inventare la strofa seguente. 9) Nei cafè-amàn, almeno originariamente, l’atmosfera era più severa che nei cafè-sadàn, più influenzati dalla mentalità occidentale e dove alla maniera europea si esibivano vari artisti, cantanti e ballerine.

Il termine amanès o manès indica un genere musicale caratteristico della musica popolare greco-micrasiatica tra il 1800 e il 1937, che originariamente veniva suonata in questi locali. Centro iniziale della sua diffusione è la città di Smirne, da cui la definizione di manès smirniota.
Sull’origine di questo genere musicale esistono teorie anche molto discordanti. Secondo alcune teorie linguistiche, il manea (manes, amanes) avrebbe origine turca. Il termine si collegherebbe alla parola turca mani. Mani (pl. maniler, vocabolo derivato dall’arabo ma’nā) è una forma di poesia popolare turca. Secondo tale interpretazione i greci dell’impero ottomano, e in seguito quelli della Grecia, si sarebbero appropriati di questo genere consentendogli poi ulteriori sviluppi. 10)
Ben diversa è l’opinione di chi lo ritiene di origine greca, come lo studioso Georgios K. Phaedros che vede il vocabolo manes come derivato dal greco antico maneros (mανερως) con sincope della sillaba -ro. 11) Questo termine condurrebbe ai due sostantivi mania (μανία) ed eros (ερως) che indicano la dolorosa agitazione d’amore. Il suono maneros sarebbe proprio delle genti ioniche fin dall’antichità: “Maneros era un suono triste, o piuttosto un lamento erotico, chiamato anche olofirmo o lamento di Linaeus, poiché attraverso questo suono l’amante di Linus pianse la sua morte…”. 12)
Vale la pena di ricordare che qualcuno collega il manès con il manele rumeno, una musica cantata e ballata molto diffusa nella seconda metà dell’800 in Romania. Uno studio imponente su questo genere musicale è Manele in Romania. 13)
Molta letteratura cita questi canti che erano generalmente d’amore o di nostalgia per il passato. Si raccontano feste campestri in cui i boiardi, personaggi dell’alta aristocrazia russa e rumena, cantavano i manele insieme ai lautari, musicisti di professione, e agli zingari.
La più antica menzione del termine manea appartiene al boiardo Alecu Russo. Sotto lo pseudonimo di Terentie Hora, ricorda nostalgicamente la Moldavia premoderna nel feuilleton Studie moldovană (studio moldavo) pubblicato nel 1851-1852 dal periodico “Zimbrul”. Nel testo si parla di manea “all’uso turco”, e anche ciò ci indica la difficoltà di porre un confine preciso a queste usanze musicali: nell’esecuzione di piccoli ensemble musicali, il suono “ah” poteva durare anche mezz’ora ed esprimeva la nostalgia del vecchio boiardo per i bei tempi andati, precedenti all’europeizzazione.
George Sion, uno scrittore rumeno, racconta nel suo volume di memorie che lo zio, un greco originario di Costantinopoli che viveva a Bucarest, cantava manele di notte alle feste estive che organizzava alla fine degli anni ‘30 dell’Ottocento: “Mio zio usciva con il tanbur e iniziava a suonare manele turche, come quelle che aveva imparato da bambino a Costantinopoli”. 14)
Questi canti sono stati studiati e raccolti da etnomusicologi specialmente nella zona di Clejani, dove tra l’altro ha origine un gruppo reso noto dalla partecipazione a film americani e di cui è molto appassionato Johnny Depp: Taraf de Haidouks.
Un interessante contributo che mette a confronto molti testi critici si trova in Studio sul mane (un primo approccio), una tesi di laurea che illustra il panorama delle ricerche su questo argomento. 15) Singolare e anche paradossale scoprire che questo genere musicale venne vietato in Turchia nel 1934 in quanto considerato musica greca, e nel 1937 venne vietato dal regime greco perché considerato musica turca.
Fino ai primi decenni del Novecento, comunque, musicisti di Smirne, Salonicco, armeni, italiani, ebrei, si esibivano nei cafè aman delle città del bacino balcanico facendo circolare la loro musica in un ricco scambio di tradizioni e melodie.
Lo stesso Aristidis Moschos, presunto autore della canzone S’agapo, nacque ed ebbe la sua prima formazione musicale ad Agrinio, cittadina della Grecia continentale, situata nell’entroterra in una regione a nord del golfo di Patrasso, dove suo padre possedeva due locali, un café aman e un café sadan, entrambi punto d’incontro di tradizioni orientali e occidentali, luogo di circolazione di musicisti e musica provenienti dagli ambienti più diversi.
Tutto ciò ci porta a considerare come le canzoni, ma anche le melodie, avessero una loro vitalità indipendente, seguissero percorsi propri, che si intrecciavano con quelli dei popoli presso cui venivano cantate. Se si considera che una parte di melodia, come nel caso appunto dell’introduzione di Smirneico minor, si sia sviluppata in una canzone autonoma – sebbene di complessità inferiore, dal momento che la canzone S’agapo si costituisce di uno stesso modulo ripetuto in sei strofe che si alternano nelle varie versioni con uno o più interventi strumentali – a maggior ragione diventa difficile ricostruire l’itinerario storico di un canto che per la natura stessa della sua componente tradizionale si modifica e si struttura in vario modo a seconda delle popolazioni con cui viene in contatto e di cui assume i caratteri.
C’è anche chi ha avvicinato la melodia di S’agapo a opere della canzone napoletana. In effetti, alla fine dell’Ottocento a Smirne e Costantinopoli non era raro ascoltare esibizioni di musicisti napoletani (che introdussero anche l’utilizzo del mandolino nelle prime fasi del rebetiko): un esempio interessante è la canzone Den se thelo pia, che veniva cantata nei cafè sadan di Smirne agli inizi del Novecento e che i greci normalmente considerano una canzone tradizionale, 16) mentre in realtà è la traduzione della canzone napoletana ‘Mbraccia a te, di Vincenzo Di Chiara e Antonio Barbieri, datata 1895 e che ha avuto moltissimi interpreti italiani. 17) Peraltro, la versione smirneica ha assunto un suo specifico carattere rispetto all’originale napoletana, sia nell’arrangiamento sia nel ritmo sia nelle scelte vocali.

Copertina dello spartito conservato alla Biblioteca Nazionale di Napoli, datato 1895.

Pur nella complessità della contaminazione culturale e nella ricchezza di apporti musicali e artistici che animavano la Grecia di quegli anni, con una commistione di stili e modelli conviventi nel grande bacino balcanico, si evidenziano, come abbiamo visto, alcuni poli di riferimento. A Smirne, per esempio, era presente una tradizione musicale molto accademica e legata alla musica occidentale, ma altri centri importanti erano Istanbul, Salonicco, Atene.

La diaspora

Nel 1821 la Grecia si era resa indipendente dall’impero ottomano con una guerra di insurrezione che aveva scaldato gli animi dell’occidente. Molti volontari europei si erano battuti per la causa di indipendenza (ricordiamo Lord Byron, il poeta inglese). Nacque così la repubblica greca, anche se in seguito le altre nazioni europee favorirono l’insediamento della monarchia.
Durante l’800 e i primi decenni del ‘900, la Grecia tentò di allargare i suoi confini includendo le popolazioni di lingua greca stanziate nell’impero ottomano: isole Ionie, Tessaglia, Epiro, e, dopo le guerre balcaniche (1912-1913), Macedonia, Tracia, Isole Egee, Samo, Creta.
In tutto questo periodo la Grecia fu teatro di alleanze e conflitti all’interno della politica delle grandi nazioni occidentali, le quali di volta in volta si schieravano per mantenere il controllo dei Balcani. Inoltre, si era ravvivato lo spirito nazionalistico greco che propugnava un ritorno alla grandezza bizantina. Allo scoppio della Grande Guerra i greci, nonostante le fortissime divisioni interne, si schierarono con la triplice intesa (Inghilterra, Francia e Russia) contro l’impero ottomano, e conquistarono Smirne e il suo entroterra, in cui risiedevano molte popolazioni greche.
La musica rebetika nata a Smirne fu poi importata in Grecia dopo il 1922, quando alla fine della guerra greco-turca la Turchia riprese la città e i territori circostanti che il Trattato di Sevres aveva temporaneamente assegnato alla Grecia. 18) I greci chiamano questo episodio “la Grande Catastrofe”: la Turchia riconquistò Smirne e la incendiò, soprattutto i quartieri greci e armeni.
La riconquista turca provocò un grande esodo di popolazione ellenica dagli insediamenti orientali verso la Grecia.
Un milione e mezzo di persone arrivarono dall’est senza un posto dove andare, accampandosi in bidonville e periferie ai margini delle grandi città come Atene, Salonicco e il porto del Pireo. Non erano molto ben visti, come spesso succede quando, pur condividendo la stessa lingua, si proviene da luoghi e storie molto diversi. Questi greci in fuga dalla Turchia erano considerati turchi dai loro connazionali, troppo orientali anche come abitudini, alcuni addirittura parlanti il turco come prima lingua. Parte di loro contribuirono alla crescita di un sottoproletariato urbano nel quale fiorì il rebetiko, una musica di forte connotazione orientale i cui temi sono soprattutto emarginazione, carcere, amore infelice, hashish.
Consideriamo però che, se è vero che molti dei profughi dell’est trovarono ospitalità negli ambienti più diseredati, parecchi musicisti provenienti dalla Turchia erano di ceto borghese e di formazione musicale accademica, diplomati al conservatorio, mantenendo così una posizione culturale non marginale anche nella nuova situazione. Per la maggior parte trovarono impiego in case discografiche, istituzioni, ensemble musicali o orchestre, contribuendo ad arricchire con il portato della loro tradizione anche la musica cosiddetta colta.

Appropriazione indebita?

Questa analisi così complessa, ma necessariamente superficiale, vuole dare un’idea del contesto variegato in cui si è sviluppata la canzone su cui stiamo indagando.
Crescenzio Sangiglio, in una lettera a me indirizzata, sulla base del fatto che non esistono registrazioni anteriori agli anni ‘50, è incline a considerarla il frutto di un amalgama di musica greca e occidentale del dopoguerra, un tipo di canzone pseudo-rebetika, “miscuglio di generi ben congegnato,piacevolissimo all’orecchio, precursore del cosiddetto entechno tragoùdi”.
L’opinione più diffusa però è quella sostenuta anche dal cantante Iorgos Dalaras, uno dei più noti interpreti della canzone S’agapo giati isai orea, convinto che Aristidis Moschos l’abbia presa dalla tradizione per poi riarrangiarla. Addirittura, Dalaras suggerisce che fosse un motivo arrivato con gli ebrei della diaspora, finita in mani greche in Asia Minore, dove le sarebbe stato aggiunto un testo greco.
Convinta che si tratti di una canzone greca dell’Asia Minore, la cantante Marianna Hatzopoulos smentisce pubblicamente Aristidis Moschos sostenendo di averla cantata nel 1958, prima che lui se ne appropriasse, e di averla sentita da greci di Smirne e di altre località, anche statunitensi (in America c’era stata già nei primi del ‘900 una forte immigrazione greca). La cantante, in un’intervista, afferma che si tratta di una canzone di Smirne:

Giornalista: Da dove hai appreso questa canzone? Aristides Moschos afferma che è sua.
Marianna H.: È una cantada di Smirne e l’ho cantata in un piccolo disco.
Giornalista: Quindi Moschos non ha scritto questa canzone?
Marianna H.: Stai scherzando? “Ti amo perché sei bella”, che per me è diventata una pietra miliare, è stata cantata cento anni prima che Moschos nascesse!In effetti era venuto a casa mia e l’avevamo provata per un programma radiofonico in cui Aristides Moschos suonava il santouri e Stathis Koukoularis il violino. Questo evento è stato curato da un eccellente naxiano, Yiannis Matzouranis, che ha aiutato tutti gli artisti dell’isola.Dopo questa esibizione che ha avuto un grande impatto, Moschos mi ha chiesto di registrarla, ma poi non ne abbiamo più parlato. 19)

Sulla rivista “Palco” dell’8 novembre 2020, Yiannis Mitropoulos fa un ritratto molto dettagliato della vita e dell’opera di Moschos, e ci sorprende con la descrizione del funerale del musicista, avvenuto nel novembre 2002: una cerimonia pubblica, patrocinata dal Comune di Atene, con la partecipazione del ministero della Cultura e alla presenza di istituzioni e figure governative, organizzazioni sociali e musicali, ma in cui spiccava la totale assenza di quasi tutti gli artisti di musica popolare e della loro associazione, che non deposero neppure una corona. “Nonostante l’assenza di molti suoi colleghi, i funerali del grande solista e maestro si sono svolti con grande solennità, alla presenza di centinaia di suoi artisti, amici e fan, che lo hanno salutato cantando il famoso Ti amo perché sei bella, registrata originariamente con un suo arrangiamento e coronata da un grande successo”. 20)
L’amaro epitaffio alla vicenda di questa canzone ci racconta una figura di uomo e musicista molto discussa, un uomo sicuramente apprezzato, ma detestato dai suoi colleghi al punto da disertarne il funerale. Commuove comunque l’idea delle centinaia di persone che seguono la bara cantando proprio S’agapo giati isai orea.

Aristides Moschos.

A conclusione parziale della mia ricerca, rimane, nell’ultima frase dell’articolo citato, la precisa informazione “registrato originariamente con un suo arrangiamento”, la quale toglierebbe ad Aristides Moschos la paternità del brano, che quindi torna a perdersi nell’anonimato della tradizione.
Non è infrequente ai nostri giorni questo procedimento di ‘travaso’ dalla tradizione anonima all’affermazione di una presunta paternità artistica. Si tratta di un fenomeno a doppio senso: a volte, infatti, si verifica il problema opposto, e una canzone che ha un autore preciso, ma nel tempo inghiottito dall’oblio, diventa patrimonio collettivo.

N O T E

1) Qui lo stralcio dalla trasmissione Omaggio ad Aristides Moschos, nello spettacolo di Christos Papadopoulos Harin Euphonias, precedentemente trasmesso sul canale sette e che viene trasmesso nuovamente sul canale del Parlamento, ribattezzato “viaggio musicale”, 2015, dove Moschos afferma che se qualcuno mette in discussione la sua paternità della canzone è disposto a mostrare delle cassette in cui l’aveva registrata.
2) Una preziosa fonte di informazioni si trova nel sito greco Forum Rebetiko (Ρεμπέτικο Φόρουμ), un forum di appassionati e studiosi della canzone greca. Il tono delle discussioni è a volte molto colloquiale e acceso, ma vi ho trovato un’immensa mole di spunti, anche se privi di sistematicità, per la stessa natura del luogo degli scambi.
3) Dimítris Lékkas, Καντάδα και λαϊκορεμπέτικο (Cantáda e rebetiko popolare), in Τέχνες ΙΙ: Επıσκóπηση ελληνıκής μουσıκής καı χορού, τ. Γ, Patrasso: Ε.Α.Π., 2003.
4) Crescenzio Sangiglio, La canzone rebetika. Storie di droga d’amore e di coltello, Argo 2018.
5) Costantino Vecchi, Isole polifoniche nel mare della monodia: le tradizioni musicali delle Isole Ionie della Grecia, tesi di laurea, Università degli Studi di Padova Università Ca’ Foscari Venezia, 2017-2018.
6) Costantino Vecchi, op. cit.
7) L’ente ellenico Institoútou Érevnas Mousikís & Akoustikís (||iema|) ha creato un portale in cui si trovano notizie e riferimenti difficilmente reperibili altrove, vista la scarsità degli studi su certi aspetti del musica popolare e urbana greca.
8) Dimitris Lekkas, op. cit.
9) Sangiglio, op. cit.
10) Si veda: Costin Moisil, A History of the Manea The Nineteenth to the Mid-Twentieth Century, in Manele in Romania: Cultural Expression and Social Meaning in Balkan Popular Music, 2016.
11) Georgios K. Phaedros, Trattato sul mane di Smirne o sull’antico maneros, nonché sulla scoperta di Aelinos e degli usi e costumi greci conservati anche dal popolo greco, Smirne 1881.
12) Sangiglio, op. cit.
13) Vedi nota 10.
14) Suvenire contimpurane, București 1956.
15) Studio sul mane (Un primo approccio), tesi di Hatzitekelis Georgios sotto la supervisione del sig. Kokkonis Georgiou, Università dell’Epiro, Dipartimento di Musica Popolare e Tradizionale.
16) Per esempio, nel <span style=”font-variant: small-caps;”>cd</span> allegato al volume già citato, La canzone rebetica di Crescenzio Sangiglio, la canzone Den se thelo pia è pubblicata in un’edizione del 1910 come di autore tradizionale.
17) Lo spartito è presente alla Biblioteca Nazionale di Napoli e fa parte della collezione Raccolta di canzoni napoletane della Biblioteca Lucchesi Palli.
18) Trattato peraltro mai ratificato dalla Turchia.
19) Marianna Hatzopoulou, L’ultima grande signora, intervista su “Palco”, 15 dicembre 2019.
20) Articolo su “Palco”.