Qualcuno fuori dal coro l’aveva detto: aspetta il prossimo attentato e vedrai ripartire la litania dei fiori sui marciapiedi, delle veglie a lume di candela, dei je suis qualcosa (promenade des anglais andrà bene?), dei pareri professionali, dei distinguo, dei frigni, dei non abbiamo paura, dei cento nomi della cosa a cui manca sempre l’aggettivo “islamico”… E così, dopo la strage di Nizza, voilà riaprirsi le gabbie e sciamare per gli studi televisivi decine di giornalisti italici, docenti di scienze politiche e sedicenti analisti degli innumerevoli centri studi internazionali e/o strategici e/o geopolitici, foraggiati da non si sa chi. E a un poveretto che vorrebbe soltanto avere notizie sui morti, i feriti e l’andamento delle indagini, tocca saltellare tra un canale e l’altro per evitare le minchiate come cacche di cane su un marciapiedi.
Nel pomeriggio, poi, la situazione diventa straziante poiché gli inviati sul posto, dopo aver spremuto a rapa notizie dal gelataio che ha udito gli spari a un chilometro di distanza, vengono sostituiti dalla fauna postprandiale dei gossipari e degli aspiranti criminologi, trasformati per l’occasione in David Letterman de noantri.
Presi da sconforto, ci si siede un attimo e si lascia che un canale a caso scorra in sottofondo. Qui il tv host, che sembra un venditore della tecnocasa, affronta l’argomento Nizza come se si trattasse del delitto di Avetrana. Abbiamo acceso a metà trasmissione e non sapremo mai chi sono i tre esperti in studio. È routine: se perdi l’attimo iniziale di un talk show o di una tavola rotonda, allorché si degnano di esporre un sottopancia con il nome e la qualifica, non avrai più il bene di conoscere l’identità dei presenti, ovviamente convinti di essere troppo famosi per presentarsi.
Il primo, dai modi e dal linguaggio, sembra un giornalista. Gente abituata a dire sempre gli stessi slogan con le stesse parole, difficile sbagliarsi. Il venditore della tecnocasa gli sottopone la sparata di Trump che vorrebbe sbattere fuori tutti gli islamici, “come se il problema fosse l’islam in generale”, chiosa, “e non una sua parte minoritaria, senza contare che la prima vittima del tir è una mamma musulmana”. (Da commentare non la prima parte dell’enunciato, in effetti un concetto troppo complesso per lui, ma la seconda: in un Paese con una popolazione al 5-10% di musulmani, una strage di massa quante probabilità ha di non coinvolgerne almeno uno?).
L’interpellato replica che portare tutto sul piano di uno “scontro di civiltà” (sì, non ci sono dubbi: è un giornalista) è esattamente ciò che vuole Al Baghdadi, e le parole dei “populisti” (qui direi: Corriere o Repubblica) non fanno che esacerbare lo scontro. Amici, l’intervento è durato pochi secondi e quest’uomo è riuscito a dire la bellezza di due stronzate enormi, peraltro neppure di suo conio. È riuscito a sostenere, cioè, che lo Stato Islamico ha tutto l’interesse a spaventarci, farci incazzare, armarci e reagire, mentre all’esatto, clamoroso contrario il califfo si gode la possibilità – e se ne vanta anche, o bischeri – di organizzare attentati senza alcuna fatica, sfruttando una democrazia europea che non solo glielo permette ma gli stende tappeti rossi. La seconda, mioddio, non è nemmeno da commentare… non facciamo incazzare gli jihadisti, sennò ci fanno la bua!
Il tizio numero due non è un giornalista, non viaggia a slogan, sembra addirittura una persona per bene, ma ciò che dice è demenziale. E in effetti deve essere uno psichiatra. Ha studiato tutti questi casi, sostiene, e ha scoperto che gli attentatori hanno alle spalle traumi giovanili e lutti, aggiungendo che si tratta sempre di “convertiti”, cioè gente che si è avvicinata all’islam mentre prima beveva e pensava alla gnocca. Credete che mi stia inventando tutto? No, questo ha davvero rispolverato la vecchia ridicola storia degli attentati eseguiti da pazzi isolati, senza neppure rendersi conto che erano invenzioni strategiche politico-giornalistiche, e ne ha fatto uno studio scientifico. Come già si commentò a proposito dell’altra augusta stronzata sul terrorismo islamico, quella che è colpa della povertà e dei mercanti d’armi: e i giovani assassini di Dacca da quale famiglia difficile provenivano? La trovata dei convertiti, poi, è spassosa. Da quali cavolo di ambienti culturali crede che saltassero fuori? Luterani? Albanesi di rito ortodosso? Testimoni di Geova? L’idea che interi Stati islamici con milioni di abitanti, come l’Arabia o l’Iran, si muovano esattamente come questi giovanotti difficili, seguendo sanguinosamente i dettami del Corano e non il DSM-5, ha mai sfiorato questi esperti?
Quando la terza ospite, una che si occupa di geopolitica, esordisce dando ragione ai primi due, l’autoconservazione mi induce a spegnere il televisore.
Ora, la cosa sconcertante è che io non sono Aldo Grasso, non ho raccolto qui una crestomazia di interventi dopo aver analizzato per giorni i principali canali televisivi. Ho solo assistito a 10 minuti di una trasmissione a caso, con una concentrazione di fesserie che probabilmente rientra nella media catodica. E ho capito che questa gente ci farà ammazzare tutti, se non reagiamo prima.

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