Al riparo dall’italianizzazione selvaggia, le comunità trapiantate in Argentina conservano i loro caratteri linguistici e tradizionali

Giuseppe Goria

O bionde ’d gran pianure
dl’Argentin-a
“fazende” dël Brasil perse ‘n
campagna
i sente mai passé n’ “aria”
monfrin-a
o ‘l ritornel d’una canson ’d
montagna?
(1)

Così, poeticamente, in “Sal e peiver” (1924), interrogava Nino Costa non senza un accenno alla memoria del padre, scomparso in Argentina verso il 1981, emigrato alla ricerca di un lavoro e di una modesta fortuna.
In altri termini, ora, interroghiamo noi, ma sempre alla ricerca delle tracce della piemontesità che tanto fortemente caratterizzava i nostri vecchi che tra la fine dell’800 ed il primo ’900 cercavano “ant l’América un canton dël Paradis“ (Nino Costa, da “Ai Piemontèis dl’Argentin-a, in “Brassabòsch”, 1928).

Per avere delle indicazioni abbastanza precise, senza dover volare da Buenos Aires (dove dal 25 al 27 maggio 1979 si è festeggiato il 50° anniversario del Circulo Italo Argentino Liber Piemont) a Córdoba, a Rosario, a Rafaela, le città dove si è concentrata la maggior parte dei nostri connazionali, e nelle cui campagne le chacras spesso risuonano di parole piemontesi, possiamo leggere ciò che alcuni esponenti della vita pubblica argentina con radici nostrane pubblicano su periodici subalpini o di più larga eco.

Livio Culasso, pinerolese emigrato in Argentina dopo l’ultima guerra, attualmente presidente della Fiera Commerciale di Cordoba, imprenditore e animatore della FAPA (Federación de Asociaciones Piemontesas de Argentina), dichiarava in una intervista (2) che vivono in quella terra sudamericana 3.300.000 tra piemontesi di nascita e loro discendenti, organizzati in una bella dozzina di Famije tutte con un raggio d’azione molto ampio. Ci è pure grato ricordare, fuori dal contesto dell’intervista, che la sede della Asociación Familia Piemontesa di Cordoba è in località Colina Superga! Tornando al tema, Livio Culasso ci parla di manifestazioni grandiose che, con il nome di Festa dël Piemont, ripetono nell’America latina quello che si fa anche da noi, con il loro tocco di originalità e di creatività e d’entusiasmo nel ritrovarsi. Queste Feste dël Piemont sono arrivate nel 1981, a Rosario, all’VIII edizione. Esponenti politici ed economici del paese spesso si sono lasciati non solo coinvolgere in queste manifestazioni, ma si sono sentiti onorati di esserne ben partecipi, dimostrando in quelle kermesse la riconoscenza che le istituzioni e la vita pubblica dell’Argentina devono al lavoro ed alla tenacia dei piemontesi. Proprio in onore dei coloni più vecchi si tiene, dal 1965, a Rosario, la Festa dij nòno piemontèis per quelli con più di ottant’anni… e sono migliaia! Ma forse, più di queste poche parole, mette conto leggere uno stralcio tradotto da una cronaca commossa della IV Festa dël Piemont, a Luque:

La piazza è piena di gente e di colori. Millequattrocento litri di “bagna càuda” e il “bon vin” della brava gente. Gianduja e Giacomette sfoggiano i loro costumi medievali (sic), e salutano tutti, nella piazza e nella via, tavola per tavola: la pampa “gringa ” (degli stranieri, degli emigrati) è in festa; un fanciullino di quattro anni (“criollito”) si fa sentire in lingua mezza piemontese, saltando in grembo alla nonna bionda. Tre milioni di argentini che vengono da laggiù, dove ci sono la storia, il passato, la leggenda. Qui sono tra di loro, parlano e cantano in piemontese…

E come non notare, incastonato nella lingua spagnola, quel commovente piemontesismo, quella nòna, non la abuela castigliana, che tiene in grembo il suo criollito, il piccolo gringo nato in Argentina!
Certo non tutti hanno trovato lo stesso benessere, ma chi morte o disperazione o tutti e due, come ci rammentano Nino Costa:

Ma ‘l pi dle vòlte na stagion përduva o na frev o ’n maleur del só mësté
a j’anciòda ‘nt na tomba patanuva spersa ‘nt un camposanto forëste
(4).

e Luis Rebuffo:

Tante cose ha visto in vita sua, ma il bello era sempre degli altri. Ciò che gli è toccato è stato sempre solo lavoro, sofferenza e solitudine, notti bianche senza un bacio né il pianto di un bambino. Ed uno pensa a quanto avrebbe dato per una carezza d’una creatura, fiore suo e di una compagna! Chissà quante volte lo si vedrebbe, dopo una bottiglia, laggiù nell’osteria in fondo alla tenuta del suo padrone (5).

Altri sono tornati, tanti anni fa, ed hanno portato a noi in Piemonte un pugno di memorie ed una pagina di civiltà argentina, magari con un semplice gioco di carte, quel truco che nelle Alte Langhe, a San Benedetto e più ancora a Prunetto è ancora popolare, giocato curiosamente in cocoliche, ibrido linguistico creato dai nostri primi emigrati (6).

Le manifestazioni popolari di cui si è detto prima non sono tuttavia le sole. La stessa cultura piemontese scritta, seppure più limitata, non è senza un posto di importanza.

Un uomo eccezionale per i suoi meriti nel giornalismo, nelle lettere e nell’insegnamento è certamente Luis Rebuffo, nato nel 1899 a Villar San Costanza (Cuneo) e vissuto in Argentina dal 1904.

A don Luis Rebuffo dobbiamo, dal 1955 (ciclostilato), poi dal 1956 al 1959 a stampa, il mensile “Nuiaiti”, edito a Rosario. Nello stesso tempo, nel 1956, fonda la Familia Piamontesa di Rosario che festeggia quest’anno i suoi venticinque anni di vita e d’attività. Nel 1962 Rebuffo dà vita a “La fiama”, giornale con frequenza mensile, come il primo parte in spagnolo e parte in piemontese. Le crisi economiche, purtroppo, fecero giustizia sommaria di queste iniziative editoriali rette più sulla buona volontà e sullo spirito di sacrificio che sui capitali.

È doveroso, comunque, precisare che il più delle volte queste pubblicazioni non sono state languidi appelli ai valori del passato, ma un vero anello di congiunzione con le iniziative e le stampe nostrane, di cui sono state puntuali informatrici e portavoce, così come tuttora non è difficile trovare uno spazio “argentino” sfogliando “Ij Brandé – Armanach ëd poesia piemontèisa”, “Musicalbrandé”, “Èl cavai ëd bronz”, “Nòssa Varsèj”.

L’opera principale di don Luis Rebuffo è senza dubbio il suo “Diccionario castellano-piamontes, piamontes-castellano” (Rosario, ed. Familia Piamontesa, 1966, pp. 240), insieme con il “Manual para aprender piamontes” (Ed. del autor; Rosario, 1971 ): da questi titoli è facile capire come vengano avviate iniziative tanto lodevoli quanto impegnative e difficili: l’organizzazione di corsi di lingua e letteratura piemontese, che, scrive lo stesso Luis Rebuffo, risalgono già al 1965, seppur conoscano adesso la loro più bella fioritura, sempre sotto la stessa valente guida.

Coadiutrice intelligente e sensibile del nostro grande compatriota è la sua sposa Modesta Avaro, nata in Argentina a Rufino da genitori pinerolesi, autrice di un volumetto di delicate poesie: “Tèra mare” (Rosario, ed. La Fiama. 1973, pp. 47).

Di Julio Salusso, nato in Argentina circa settant’anni fa, imprenditore a Cordoba, è il pamphlet “Piamonte o Piemonte? y otras desquisiciones de un profano” (ed. dell’autore, Cordoba, 1978, pp. 40), che propone l’emendamento dei termini castigliani Piamont e Piamontes con Piemont e Piemontes, più vicini all’uso nostro e forse più credibili etimologicamente, seppure non sia ancor detta l’ultima parola. Dice Salusso:

Il richiamo perché questa improprietà sia corretta presso gli ispanofoni è compito dei Piemontesi e dei loro discendenti Latino-americani, considerato che in altri idiomi la traduzione è perfetta e non inconcludente e strampalata come nella nostra.

Perfino il poema nazionale argentino, il “Martin Fierro” di José Hernandez, il poema dell’epopea dei gauchos, è stato tradotto in piemontese da Francisco Tosco, di Rafaela, nato da genitori di Candiolo ai primi del secolo. Egli stesso ci spiega come arrivò al compimento dell’opera:

In questi programmi (una volta che l’emittente L.T. 28 Radio Rafaela ha cominciato a trasmettere) recitavo strofe del “Martin Fer”. Ma, arrivato alla strofa 90, mi sono, trovato obbligato a continuare la traduzione. E cosi, quasi senza accorgermene, ho finito la prima parte, di 395 strofe. Entusiasmato e incoraggiato da parecchi poeti ed amici, e dalla direzione della radio, ho cessato la conduzione del programma, che andava a gonfie vele, e mi sono dedicato per tutt’un anno a tradurre…

Questo libro, ci scrive Luis Rebuffo, è ora alla sua seconda edizione. Merita ancora un breve cenno il tipo di lingua che leggiamo, quando ci accostiamo ad uno di questi lavori, sia una traduzione sia una prosa: è una lingua spesso preziosa di arcaismi, conservati naturaliter nella lontananza, e spesso curiosamente ma  simpaticamente ibrida d’ispanismi, entrati nel lessico piemontese dopo decenni di vita e di lavoro a fianco di ” altre popolazioni. Leggiamo assieme un brano da “Nòsta ca”, di Luis Rebuffo:

Nòsta ca, lagiù trames a tante còse sërvaje: ij giogio, le leciosse, le serp e l’aria. Trales a tante còse uman-e: ël poss, l’ort, ël camin e la cort. Tante còse da travaj: la slòira, ij cher, la spigadora, ij cavaj e ‘l coral. Trames a tut lón che a fermo la ciacra: cola dëstèisa ‘d camp travajà, j’alambraj e le parve… (7)

Certo non sono usuali per noi questi termini, ma scoprire nei giogio (sp. yuyo) delle erbe selvatiche, nella leciossa (sp. lechuza) la civetta, nella spigadora (sp. espigadora) la mietitrice, nel coral il recinto per il bestiame, nella ciacra (sp. chacra, voce di or. Quechua) il podere, la cascina, l’entità agraria che circonda la cascina, ecc., quella terra latino-americana ci appare subito più familiare, più vicina e un po’ più piemontese…

 

NOTE

(1) «O bionde di grano pianure dell’Argentina,/ “fazende” del Brasil perse nella campagna. / non sentite mai passare un ‘aria” monferrina / o il ritornello di una canzone di montagna?»
(2) ARC – periodico delle regioni dell’arco alpino – Udine, marzo 1978, anno VII, n. I, “3.300.000 i Piemontesi che vivono in Argentina”; Musicalbrandé – rivista piemontèisa – Turin, 1972. n. 53, Livio Culasso, “lj Piemontèis an Argentina”, 1972, n. 56, “Ij Bogianen dl’Argentina”, 1979. n. 58 “Piemontèis sota la cros del sud”, sempre di Livio Culasso.
(3) Clarin, cultura y nación – Buenos Aires, jueves 15 dediciembre de 1977,“El Piemonte y la Argentina”.
(4) Nino Costa, da “Rassa nostran-a”, in “Sal e pèiver”, 1924.
(5) Luis Rebuffo, da L’emigrà, in “Ij Brandé- Armanach ëd poesìa piemonteisa 1975″, Ij Brande, Torino.
(6) Studi Piemontesi, vol. VIII, fasc. I, marzo 1979, pp.82-90, Torino.
(7) «La nostra casa, laggiù in mezzo a tante cose selvatiche: le erbacce alte, le civette, le serpi e l’aria. In mezzo a tante cose umane: il pozzo, l’orto, il camino, il cortile, tante cose da lavoro: l’aratro, i carri, la mietitrice, i cavalli ed il recinto. In mezzo a tutto ciò che forma la tenuta (la cascina): quella distesa di campi lavorati, i recinti, i mucchi di paglia o di fieno…». Luis Rebuffo, da “Nòsta Ca“, in “Musicalbrandè” n. 76. dicembre 1977, Torino.

Ringrazio ancora, per le preziose informazioni che mi hanno consentito di completare questo succinto articolo, i responsabili della FAPA con le loro regolari corrispondenze, Censin Pich, membro del comitato esecutivo dell’Union ed j’ associassion piemontèise ant èl mond, Luis Rebuffo per le sue lettere sempre ricche di notizie e di incitamenti.
Utilissima è stata pure la consultazione della “Bibliografia ragionata della lingua regionale e dei dialetti del Piemonte e della Valle d’Aosta, e della letteratura in piemontese” a cura di Amedeo Clivio e Gianrenzo P. Clivio, Ca de Studi Piemontèis, 1971 .Torino, e di “Piemonte in poesia”, due ritratti critici di Nino Costa e Pinin Pacót, Riccardo Massano, Famija Turineisa, Turin, 1976.