Tra Adda, Serio e Oglio, un tempo c’era il mare. Non però il mare del pliocene che faceva della Padania un grande golfo adriatico, bensì un lago d’acqua dolce di epoca molto più tarda: il Gerundo. Esisteva ancora in epoca storica, ricordato parallelamente e confusamente dalla cronaca e dalla leggenda. Veniva chiamato ora lago ora mare, ma la parola mare va presa con cautela: nel nostro caso è una forma del basso latino mara, che significa palude. Ne deriva il nome di palude in francese, piemontese, inglese, tedesco e italiano (marais, mars, moor, marsh, maremma). Il lago era probabilmente alimentato dagli straripamenti dei tre fiumi e dalle risorgive di provenienza sotterranea.
Da questo mare poco profondo (dai 10 ai 25 metri) ma assai esteso (circa 35 chilometri da est a ovest, 50 da nord a sud) emergevano isole e isolette molto allungate, parallele ai fiumi. La più grande era l’isola Fulcheria su cui si sviluppò la città di Crema. Lodi era città costiera, affacciata sulla sponda ovest, Orzinuovi era costiera sulla sponda opposta (o meglio, tale sarebbe stata se fosse esistita ai tempi del lago). A nord il lago raggiungeva Vaprio, a sud toccava Pizzighettone. L’uomo era insediato sulle sue sponde e sulle isole sia su terraferma sia su palafitte (la pretesa città di Acquaria, presso Soncino) e navigava con piroghe monossili, scavate da un unico tronco di quercia, di cui sono stati rinvenuti alcuni esemplari. Una di queste piroghe, molto ben conservata, si può vedere a Crema nel chiostro dell’ex convento di Sant’Agostino, ora Museo civico: è lunga più di 7 metri, larga un metro, profonda 80 centimetri all’interno. In molte località si ricorda l’esistenza di torri con infissi grossi anelli di ferro cui si ancoravano presumibilmente queste piroghe, le navi del lago Gerundo.
Utili indicazioni vengono dai toponimi come Gerola, Giarola, o composti come Gera d’Adda, derivati dalla radice padana gira, ossia ghiaia (glarea in latino) che compare nel nome stesso del Gerundo. Il lago si stendeva infatti su un fondo ghiaioso di origine glaciale, la cui esistenza è confermata dai sondaggi geologici.
Per quanti secoli esistette il mitico mare? Non sappiamo quando si formò, ma possiamo ragionevolmente ipotizzare l’epoca in cui cominciò a scomparire: intorno al Mille e nei primi secoli successivi. Il drenaggio fu in massima parte opera dell’uomo: le bonifiche dei benedettini, cluniacensi e cistercensi, poi i canali costruiti dal comune di Lodi (come la duecentesca Muzza) o da famiglie feudali come i Borromeo e i Pallavicino, il cui nome è ancora legato a rogge, dugali, navigli.
Anche il Gerundo ebbe il suo drago, come il suo fratello scozzese di Loch Ness: il drago Tarànto, che secondo la leggenda terrorizzò le campagne tra Lodi e Cremona. Si diceva venisse dalle viscere della terra di Soncino dove era stato sepolto Ezzelino da Romano. Feroce tiranno di parte ghibellina, sconfitto nel settembre 1259 a Cassano d’Adda da una coalizione guelfa e morto per le ferite riportate in battaglia, Ezzelino rimase a lungo nella fantasia della gente. Era un gigante: sulla torre civica di Soncino si conservarono a lungo – dicono – due ferri murati che indicavano la sua statura in piedi e a cavallo. Della sua sepoltura, da cui sarebbe nato il drago, si è persa la traccia. A uccidere Tarànto, narra la leggenda, fu san Cristoforo in persona; secondo un’altra versione fu invece l’imperatore Federico Barbarossa. (Ricordiamo che nel lodigiano il Barbarossa – alleato di Lodi contro le soperchierie dei milanesi, fondatore della nuova Lodi dopo la distruzione di quella vecchia – è un personaggio amato e rispettato.) In entrambe le varianti della leggenda, all’uccisione del mostro seguirono il ritiro delle acque, la scomparsa del lago, il recupero di immense buone terre da coltivare.