Discendenti degli Alemanni, si trovano oggi nel Liechtenstein, nell’Oberland bernese, in Valle d’Aosta e in Piemonte. In questa ultima regione stanno per soccombere all’italianizzazione selvaggia della scuola e dei mezzi di informazione

Gustavo Buratti

Quasi a guardiane del mistero e del fascino del Monte Rosa (1), sono le popolazioni “Walser” (contrazione di Walliser, vallesano) che ancor oggi caratterizzano l’alta valle del Lys (Aosta), con i comuni di Issime, Gressoney St. Jean e Gressoney-la- Trinite (circa 3.000 nel complesso); del Sesia (Vercelli), con i comuni di Alagna/Im Land (anticamente forse, Olen), Rimella/ Remaglio e la frazio­ne Rima/Rimmu del comune di Rima S. Giuseppe (un migliaio in totale); dell’Ossola (Novara), con i comuni di Macugnaga/Makannah e Formazza/Pomatt (circa 2.000 abitanti in tutto).

L’area superstite dei Walser, un tempo era più estesa. Tra Issime e Gressoney, il comune di Gaby è ora franco-provenzale, ma fu Walser: gli ultimi vecchi di Gaby a parlare il dialetto tedesco furono nella frazione di Niel, ancora una cinquantina d’an­ni or sono: tracce se ne ritrovano nel patois anche oggi; come pure resti dell’antica lingua si trovano nel co­mune di Ayas nell’omonima e finiti­ma valle, dove a St. Jacques vi è il cantone des Allemands e qualche vecchio, fino a non molto tempo fa, era ancora in grado di comprendere, se non di parlare, il “tedesco” di Gressoney. In provincia di Vercelli, sembra che Walser fosse Riva Valdobbia, appena sotto ad Alagna e che, con la stessa, formava la co­munità detta delle “pietre gemelle”; l’architettura Walser è ancora pre­sente a Riva. Pare poi che anche Carcoforo, sempre nell’Alta Val Se­sia, fosse “tedesca”. La biellese alta valle del Cervo (Bürsch, nella parlata locale), confinante con Issime e Ala­gna, l’una e l’altra come s’è visto “tedesche”, fu popolata in tempi re­lativamente recenti, ed i primi docu­menti sugli alpeggi testimoniano che i nuclei umani provenivano da Issime ed alcuni, come i Valz (cognome tuttoggi molto comune nell’alta val­le), erano pastori transumanti, con­servando la residenza nella Vallesesa (o valle del Lys). In provincia di Novara, nell’Ossola, Ornavasso par­lò tedesco sino ai primi del secolo scorso: l’arciprete Antonio Tosseri, trasferito a Rimella nel 1771, fu l’ul­timo parroco che vi predicò in tede­sco, il parroco che lo sostituì era “latino” ed allora il vescovo di No­vara, Marco Aurelio Balleis Bertone, per non aver il fastidio di dover cer­care sacerdoti “tedeschi” per Ornavasso, proibì severamente di inse­gnare ai propri figli lingua diversa dall’italiana e segnò, così, la condan­na a morte per la parlata locale, già molto indebolita; ora è presente sol­tanto nella toponomastica ed in qual­che espressione gergale.

La leggenda vuole che Ornavasso sia stata fonda­ta da una colonia proveniente da Naters (canton Vailese) dopo esser in­sorta contro il feudatario che preten­deva il jus primaenoctis; periodica­mente gli abitanti di Naters e di Or­navasso si scambiavano visite tradi­zionali. Nella valle dell’Ossola, era­no comunità Walser anche Salècchio/Salei e Agàro/Ager, minuscoli comuni (nel 1932 contavano rispetti­vamente 84 e 68 abitanti!) ora frazio­ni di Premia;

Agàro-villaggio non esiste più, perché sacrificato alla diga della centrale idroelettrica; Salecchio non ha più popolazione stabile, ma gli oriundi, ora per lo più a Premia, conservano la lingua.

Secondo Guy Héraud (ignoro quale sia la sua fonte), sarebbe stata Wal­ser, sempre in provincia di Novara, anche Campello Monti, frazione di Valstrona, il che è probabile, in quan­to testata di valle confinante con la comunità valsesiana di Rimella, tuttora Walser (oggi, a Campello Monti vi è un solo abitante!).

Dove la lingua Walser si conserva meglio, è nelle comunità dell’Ossola (o ad essa finitime) che hanno avuto la fortuna di essere svizzere: a Gondo/Ruden e Sempione/Simpelen (can­ton Vallese), sul versante meridionale del Sempione, nella val Vaira-Zwischbergenthal, tributaria dell’ossolana val Diveria, e cioè nel versante meridionale del Sempione; e a Bosco/Gurin, in vai Maggia, unico co­mune tedesco del canton Ticino, do­ve per i soli dodici scolari è assicu­rato l’insegnamento bilingue.

 

La lingua

 

Come per i “Cimbri”, per lungo tempo si è favoleggiato anche sui Walser come di resti dell’esercito dei Cimbri e Teutoni i quali, sconfitti da Mario ai Campi Raudi (che alcuni lo­calizzano nel Vercellese) avrebbero risalito le valli e si sarebbero inse­diati nei luoghi meno accessibili. In realtà, si tratta di popolazioni alemanniche che hanno passato lo spar­tiacque e, dal canton Vallese, sono venute sul versante valdostano e pie­montese delle Alpi; l’origine dei Wal­ser, il cui nucleo maggiore costitui­sce, oggi, la parte tedesca del canton del Vallese, è incerta; sembra pro­vengano dall’Oberland bernese ed alcuni credono di ravvisare lontane origini sassoni. I Walser costituisco­no una affascinante diaspora di gente alpina sempre stanziatasi alle testate delle valli, oltre i mille metri. Oltre che nelle località già citate, li trovia­mo nel Canton Grigioni, dove costi­tuiscono la popolazione di lingua tedesca le cui comunità intersecano quelle retoromance; nel Voralberg (Austria) con la Kleinwalsertal e la Grosswalsertal; nel Liechtenstein (co­mune di Triesemberg) e nel cantone di San Gallo; quasi ovunque i Walser hanno conservato, nei luoghi che si sono prescelti, i loro costumi, la loro cultura e la lingua che, con quella dei “Cimbri”, rappresenta una delle più arcaiche forme di germanico ancora parlato. A differenza però dei “Cim­bri” che, come gli altri “tedeschi” dell’arco alpino centrale ed orientale (tirolesi e carinziani) sono linguisti­camente austro-bavaresi, i Walser sono alemannici, come gli svizzero- tedeschi. Nella lingua piemontese, troviamo alcuni lessemi della stessa origine alemannica, come brande (so­stantivo, “alare” e verbo, “ardere”: da “brand”, tizzone, fuoco) e come bornel (fontana, doccione; da Born, fontana). Il gergo dei pecorai pie­montesi (parlato sino in val Camonica), in frequente contatto con le co­munità della Val Lesa e Val Sesia, per coltello ha smèsser (Das Messer).

I Walser piemontesi e hanno una loro letteratura, orale ma pure scritta, e vantano  quattro bravi poeti dialettali, del secolo scorso e due contemporanei.

A Gressoney scrisse poesie nella parlata tedesca locale Luis Zumstein (noto anche come Delapierre, ver­sione francese del cognome) ( 1805-1871): un patriota di ispirazione li­berale, difensore della libertà del pensiero, ammiratore del Cavour. Le sue composizioni rivelano talora una certa cinica amarezza. In Valsesia, a Rima, Pietro Axerio-Piazza, intorno al 1880 ha trascritto le antiche can­zoni popolari del suo paese, compo­nendone di nuove sicché è molto difficile stabilire ora quali siano state raccolte dalla tradizione orale e quali invece siano sue (vi sono ninnenanne, serenate, “albate” cioè canzoni per svegliare le ragazze al mattino invitandole a venire ad aiutare per spalare la neve, ballate per festeggia­re il rientro dei cacciatori con il camoscio per trofeo, ecc.). Vivente è la signorina Gritle Scaler di Champsil (Gressoney-St-Jean), che, come lo Zumstein, scrive anche in tedesco letterario ed in italiano: le sue limpi­de composizioni si ispirano alla pace ed alla semplicità del mondo monta­naro, sono leggere come canzoni ed attendono qualcuno che le voglia musicare.

Di Macugnaga era invece Augusto Pala, ingegnere, già sindaco del paese; è forse il maggiore poeta “Walser” di qua e di là dello spar­tiacque, le sue poesie hanno la forza e la cadenza del montanaro, come il di lui passo, ferma, calma, sicura: sono meditazioni ed echi della comunità, salda intorno al tiglio plurisecolare della Chiesa antica, il deus loci di Makannah, che si vuole sia stato portato, allora esile ramoscello, dal Vallese nel XIII secolo. Augusto Pala stava sistemando il dizionario inedito della parlata materna.

La lingua, che si è conservata nei secoli grazie ai frequenti contatti con il Vallese tedesco (neanche un secolo fa, il sindaco di Gressoney si disperse con tutto il suo gregge per andare al mercato di Zermat, piuttosto che scendere alla vicinissima, ma “lati­na”, Pont St. Martin; a Rima, in Valsesia, si canta il 15 agosto la “Maria zu liben”, inno alla Madonna di Einsiedeln, santuario sulle mon­tagne sovrastanti il lago di Zurigo, dove ci si recava un tempo in pelle­grinaggi che duravano anche un me­se!) e con le altre comunità Walser cisalpine (le comunicazioni avveni­vano attraverso i passi di montagna, chè altrimenti, dovendo scendere e risalire valli divergenti, le distanze sarebbero – e sono- ora! – molto rilevanti), la lingua dicevamo, pre­senta ora una situazione differente a seconda dei luoghi. La forma più arcaica, ma anche molto vitale, è ad Issime, paese prevalentemente agri­colo, dove invece il visitatore tedesco frettoloso ha l’impressione superfi­ciale che sia estinta, perché quasi nessuno è in grado di comprendere il tedesco letterario, invece abbastanza conosciuto nei due Gressoney, centri di antica tradizione turistica (ospita­rono anche la regina Margherita) e di attività commerciale diretta verso la Svizzera tedesca; ma a Gressoney sono pochi i bambini, oggi, che par­lano ancora il Walser. Ad Alagna soltanto gli adulti, maggiori di qua­rantanni, parlano il Walser che solo alcuni giovani sono in grado di com­prendere: Rima è ormai quasi com­pletamente abbandonata, d’inverno la popolazione stabile non raggiunge la mezza dozzina; gli albergatori Axerio Piazza (due sorelle, custodi del quaderno del loro avo poeta, ed un fratello) parlano però correntemen­te l’antica lingua. Il “ticcio” (Deutsch/tedesco) di Rimella è il più cor­rotto, con strutture e desinenze lati­nizzate, ma nella sua forma è però parlato praticamente da tutti, anche dai giovanissimi. Appena un po’ mi­gliore di Alagna, è la situazione di Macugnaga, dove la signorina Ida Pala (sorella del poeta), come la signora Angela Muretto Gagliardini di Alagna è la vestale della lingua e delle tradizioni. La val Formazza/Pomat-Tal, è senz’altro quella che con­serva la lingua più vitale e forse anche più pura. Nella parlata della Val Formazza vi sono preziosi docu­menti di letteratura orale, raccolti da Aristide Baragiola (2).

 

Politicanti ottusi

 

Si può asserire che in tutte le comuni­tà la predica e l’istruzione religiosa furono in tedesco. A Rimella si pre­dicò e s’è fatto scuola in tedesco sino al 1829; così pure si predicò in walser ad Alagna, dove le antiche lapidi del cimitero erano scritte in tedesco, co­me ancora se ne possono vedere a Gressoney. Ad Issime il ricordo del­la predica in tedesco è perduto, tutta­via se ne ha la prova dalle cronache che raccontano il processo al diavolo che minacciava il paese e che fu esor­cizzato da un sacerdote biellese, le cui prediche dovevano essere tradot­te in Walser dal parroco affinché la popolazione potesse comprendere (il singolare processo al diavolo è del 1601 ). Sino alla Grande Guerra, fre­quenti erano le insegne in tedesco; dietro al monumento dei caduti di Alagna, eretto dopo il 1918, si può ancora leggere “Gott und Vaterland”.

Soltanto da una decina d’anni a que­sta parte, sono riapparse, anche per l’opera di sensibilizzazione svolta dall’AIDLCM, insegne toponoma­stiche (ad Alagna e ad Issime), com­merciali (Issime), amministrative “Gemeindehaus” a Issime, Gressoney, Macugnaga e Formazza (a Macugnaga fu il sindaco Augusto Pala a metterla e dovette spiegare ai carabinieri che nessuna norma vieta di scrivere accanto alla dizione ufficiale italiana, un’altra in una lingua “stra­niera”).

Per quanto riguarda il problema sco­lastico, già nel 1862 l’on. G.B. Bot­tero aveva propugnato alla Camera “che quanto fu fatto pei comuni dove si parla la lingua francese fosse anche praticato per quei pochi comuni al­pestri dove si parla ancora la lingua tedesca”. Nello Statuto regionale del­la Val d’Aosta la minoranza tedesca dei tre comuni è stata dimenticata, ma dal 1947 a Gressoney, e da una quindicina d’anni anche ad Issime, tutti gli allievi delle scuole pubbliche frequentano corsi di tedesco promos­si dall’amministrazione regionale (te­nuti dalla sig.na Alys Barrel). A Formazza, vi furono nel decennio 1960-1970 corsi privati di tedesco, con il contributo dell’associazione svizzera “Deutschweizerischer Schülverein” di Zurigo ed in particolare grazie al suo presidente Hans Dürst; dal 1° ottobre 1972 a Formazza si tengono corsi di tedesco nelle pubbli­che scuole elementari come “attività integrative” nel quadro della realiz­zazione della scuola a tempo pieno (art. 1 della legge 24 settembre 1971, n. 820), mentre sino ad un paio d’anni prima i bambini che parlavano tedesco erano rimproverati, quando non castigati, dalle insegnanti! L’AIDLCM domandò al provvedi­tore agli studi di Novara (cui si debbono i corsi a Formazza), che l’iniziativa fosse anche estesa, per le identiche ragioni, a Macugnaga. Il Provveditore rispose con una lettera assurda, precisando che “da accerta­menti effettuati è risultato che non vi è alcuna minoranza con linguaggio tedesco, dato che tutti parlano l’ita­liano, ad eccezione di pochissime unità corrispondenti ad un 3 per mille”. L’affermazione è paradossa­le perché non tiene conto che tutte le “minoranze” della Repubblica Italia­na parlano, oggi, anche l’italiano per cui il fatto della presenza sia pure di un esiguo numero di monolingui Walser sarebbe di per sé stupefacente; e perché non ci sarebbero a Macugna­ga manco tre persone a parlare il Walser, posto che al censimento del 1971 i cittadini colà residenti risulta­no neppure mille: 773! Non si com­prende, poi, quale genere di “accerta­mento” sia stato compiuto e con quali scientifiche garanzie. L’ammi­nistrazione comunale di Macugnaga protestò energicamente e precisò che “ancora il 18% della popolazione parla abitualmente il Walser mentre un altro 10% capisce pur non essen­do in grado di parlarlo” e che, pertan­to, ci sarebbero le condizioni per avviare una scuola di tedesco. Ad Alagna-Sesia, a partire dall’inverno 1961-1962, e per una decina d’anni, grazie alla “Società Valsesiana di Cultura” e poi anche alla “Pro Loco” si tennero corsi di Walser e di tedesco letterario, diretti dalla sig.na Angela Gagliardini Muretto che promosse un centro di cultura popolare, con la presentazione di antiche canzoni e danze (uno spettacolo di tradizioni popolari fu replicato almeno tre vol­te) (3).

Ma il colmo dell’insensibilità nei confronti di questo straordinario pa­trimonio culturale, spirituale, è costi­tuito dalla lettera che l’allora mini­stro Giulio Pastore inviò allo scri­vente in risposta ad una sollecita­zione relativa alla petizione presen­tata nel 1962 dai Sindaci degli otto comuni Walser.

L’on. Pastore era cittadino di Rima San Giuseppe, una delle comunità interessate. Ecco quanto scrisse il Ministro: “La concessione di una seconda lingua oltre quella materna (sic!) è stata finora accordata esclu­sivamente a quelle regioni a statuto speciale, che potevano rappresen­tare, nell’immediato dopoguerra, una grave minaccia per l’integrità dello Stato” (4). In altre parole, l’art. 6 della Costituzione che prevede la tutela delle minoranze linguistiche si attua non per onorare un “principio fondamentale” della Carta, ma soltanto per pressioni gravemente ricat­tatorie e minacciose. Niente da fare, quindi, per i Walser perché sono bravi cittadini. Minaccino, e poi si vedrà!

Intanto, “Italia Nostra”, “Pro Natu­ra”, “WWF” si prodigano per salva­guardare il paesaggio stupendo del gruppo del Rosa, per tutelare l’archi­tettura spontanea, per salvare i ca­mosci, gli stambecchi, gli ultimi uc­celli rapaci. Ma per i Walser, per la loro lingua, perché la loro testimo­nianza di fraternità che non conosce “confini naturali” continui come com­ponente della più autentica civiltà alpina, nessuno ci dà una mano. Dal 1962, le comunità Walser di quattro Stati si incontrano periodicamente: il 1° congresso fu organizzato ad Ala­gna e Rimella nel 1962, fondendosi ad un’iniziativa analoga che nasceva, promotrice Tita von Oetinger, dal­l’altra parte, a Saas Fee, senza che alcuno sapesse delle iniziative paral­lele. Non so se i Walser di oggi siano, come cantò Mistral per i Provenzali, “la fine di un antico popolo fiero e libero”, oppure “i primi germogli di un ceppo che rinverdisce”. So che questa gente intorno al Rosa ha con­servato per mille anni un segreto, prezioso quanto l’oro che pur si trova nella montagna, a Macugnaga e nel Sempione. I giovani che nel 1778 cercavano la “valle perduta” nel gruppo del Rosa (erano sette come i felibri della santa stella di Mistral!) non sapevano che quella valle era la loro, insieme a quella di Im Land, di Makannah e a quella, più lontana dal Rosa, di Pomatt. I Walser del Rosa custodiscono tuttora il segreto della loro magica montagna: è quello di una società rinnovata, libera ed uni­ta, ravvivata dall’amore per la terra ancestrale, che dà linfa alla pianta- uomo. L’uomo della montagna è de­positario di un tesoro segreto da recepire dalla civiltà contemporanea, se questa saprà ascoltare la voce del­l’umanesimo nostrano che può ri­condurci alla scoperta della società primitiva, quando tutto era in co­mune, e tutti si era liberi e compagn, eguali; per guidarci – come la stèila boera, la stella del pastore – chissà, alla società di domani.

 

(1) v. Gritle Scaler, “L’alpinista dël Mont Reusa, “ Lj Brandé 1969”, pp. 50-51. Sul nome Rosa, G. di Sales in L’autre but de la rue de Bac (Aosta 1966) ricorda che i Walser chiamano quella montagna semplicemente Gletscher, il Ghiacciaio; e che la parola Rosa viene dall’antico (celtoligure? megalitico?) reus = aver freddo, rüsia = ghiacciaio.
Si tratta dunque del “Ghiacciaio” per eccellenza e il suo nome non ha quindi nulla a vedere con il colore.

(2) v. A. Baragiola, Folklore in Val Formaz­za, in “Lares”, vol. III, 1914, fasc. I pp. 27-59 e fasc. II, pp. 185-235. Le poesie di Luis Zumstein sono state raccolte da Gui Tercinod (Louis Zumstein et la poésie dialectale de la vallée du Lys, Aoste 1957), ma molte erano già andate perdute.

Poesie di Augusto Pala, Pietro Axerio-Piazza e Gritle Scaler, sono state pubblicate nell’alma­nacco piemontese de Lj Brandé,

Per la bibliografia Walser, si veda: G. Buratti, Guida bibliografica delle parlate tedesche “Walser” del Piemonte e della Valle d’Aosta, estratto dalla Bibliografia ragionata della lin­gua regionale e dei dialetti del Piemonte e della Valle d’Aosta, e della letteratura in Piemonte­se, a cura di A. e G. P. Clivio, Torino, Centro Studi Piemontesi 1971.

(3)  Per il Walser di Alagna, esiste l’ottima grammatica contenuta nel libro di G. Giordani, La colonia tedesca di Alagna-Sesia ed il suo dialetto, Varallo Sesia, 1927 (postumo).

(4) La documentazione relativa alla corrispon­denza con l’on. Pastore e quella con il Provvedi­tore agli Studi di Novara (concernente Formaz­za e Macugnaga), è allegata in fotocopia alla circolare AIDLCM – Italia del 3 nov. 1973.