L’Instrumentum Laboris del Sinodo pan-amazzonico intitolato: “Nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale” che si terrà in Vaticano il prossimo 6 ottobre, pone le basi per un’azione pastorale finalizzata a una nuova evangelizzazione in sintonia con l’Enciclica Laudato si’.
Il processo di “ascolto” sinodale sull’Amazzonia, definita nelle tre parti del testo come “nuovo soggetto”, parte da una base più ecologica che teologica e fa astrazione dalla storica inculturazione della Chiesa. Alcuni passi sono condivisibili; la foresta amazzonica e l’antropizzazione di quella regione devono essere salvaguardati dalla deforestazione. Tuttavia, se la Chiesa non fosse un’istituzione divina, ma per esempio una Onlus, nulla ci sarebbe da dire sull’intervento socio- ambientale, L’obiezione nasce dal fatto che nella bozza di lavoro si usi la parola Chiesa prevalentemente in senso ecologista, invertendo radicalmente l’ermeneutica della teologia cattolica.
In questa ostentazione terzo-mondialista si argomentano tematiche che sfiorano solo incidentalmente le Sacre Scritture e il mandato di Cristo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”. Matteo 28:19-20. Il “nuovo progetto ecclesiale” ridefinirebbe la pastorale adeguandola ai tempi, ma non si comprende come, partendo dall’ecologia, possano aprirsi “nuove occasioni per presentare Cristo”, come se Egli non fosse già il centro, senza spazio e senza tempo, della Verità universale e che nessun luogo geografico può contenere. Solo con l’approfondimento spirituale che utilizzi la tradizione missionaria ed evangelizzatrice della Chiesa, al di là del mero antropocentrismo, anche la vita biologica, parte della scintilla della Creazione, può trarne beneficio.
Il documento guarda poi con interesse alle religioni naturali e alle pratiche di guarigione, come forme di culto mitico-religiose che porterebbero all’armonia con la natura. Il mito del “buon selvaggio” di Rousseau, parte integrante dei “lumi”, verrebbe così contrapposto alla decadenza dell’uomo europeo.
Secondo il documento, l’Amazzonia, battezzata locus theologicus, in sé conterrebbe luoghi che manifestano forme di saggezza che parlano di Dio, una sorta di neo terra promessa, un Eden precedente al peccato originale. È probabilmente vero che ultimamente non sono state portate avanti iniziative pastorali degne di questo nome perché alcuni missionari si sono allontanati dal vero Spirito di Gesù Cristo. Da qualche decennio si è predicato un vangelo “terreno”, non il Vangelo della Croce. Quando si è agito bene, il clero post-conciliare ha richiamato i pastori affinché si “lascino interrogare dalle periferie esistenziali”, pena l’accusa di “proselitismo”.
A proposito di questo, per comprendere il bene fatto dalla Chiesa e dai missionari basterebbe ricordare le riduzioni dei gesuiti (1698-1767, soprattutto in  Paraguay) nell’àmbito culturale e nell’integrazione degli indios nella vita comunitaria cristiana. Autentici esempi di carità, lontani anni luce dal concetto di “ecologia integrale” ripetuto con insistenza nell’Instrumentum Laboris, nient’altro che un principio astratto e farcito di retorica ambientalista.
Da decenni una lunga teoria di demagoghi ritiene un dovere mettere in cattiva luce l’evangelizzazione dell’America Latina, fatta in 500 anni. La campagna avversa del 1992, durante il Giubileo per la scoperta dell’America, che ha attribuito alla Chiesa le stesse colpe dei conquistadores, ha ispirato il clero (cripto protestante), teologi o vescovi soprattutto d’area tedesca. Uno degli esponenti di questa fazione è mons. Erwin Kräutler, austriaco naturalizzato in Brasile, riferimento della teologia della liberazione in America Latina, vescovo di Xingu dal 1981 al 2015, che naturalmente Bergoglio ha nominato a capo del consiglio pre-sinodale  per il 2019. Nel testo preparatorio egli ha affermato: “L’Amazzonia diventerà un test per la Chiesa brasiliana, per la nazione e per il mondo, perché tratta nuove forme di evangelizzazione dei popoli indigeni”. Al contrario, secondo il vescovo kazako Athanasius Schneider, i preti di Kräutler si comportano come membri delle ONG, i quali s’ispirano genericamente alla Bibbia, confondendo la certezza soprannaturale con speranze panteiste e la Fede in Cristo con aspirazioni socio-politiche proprie del secolarismo. Nell’Instrumentum Laboris, le religioni naturali sono viste positivamente e si auspica che i “popoli poveri e semplici” possano esprimere “la loro fede attraverso immagini, simboli, tradizioni, riti e altri sacramenti”.

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Il testo preparatorio propone altresì di “riconsiderare in modo permanente il sacramento dell’ordine” attraverso l’ammissione di sacerdoti autoctoni anziani e sposati, e identificare il tipo di ministero ufficiale da conferire alle donne. Uomini e donne, leader di una comunità che siano incaricati e ordinati per presiedere l’Eucaristia domenicale donandola a un popolo spesso privo della possibilità di riceverla a causa delle grandi distanze e della scarsità di sacerdoti in loco. A questo proposito mons. Schneider, ribaltando la premessa dell’Instrumentum Laboris, dice che “i missionari dovrebbero andare nei singoli luoghi, anche poche volte all’anno, organizzando confessioni e Sante Messe sperimentando in profondità il sacramento dell’Ordine e dell’Eucaristia. L’Amazzonia necessita di pastori secondo l’esempio dei grandi missionari della storia della Chiesa, come San Bonifacio, come i grandi santi missionari latino-americani, San Toribio de Mogrovejo e San Giuseppe de Anchieta”.  Se una comunità cattolica in Amazzonia ha il tabernacolo – e molte di loro lo hanno – allora hanno il centro, quindi non manca nulla, perché hanno Dio in mezzo a loro, Dio con Carne e Sangue è presente in mezzo a loro! Potrebbero anche lasciare Gesù nei tabernacoli, insegnando come fare l’Adorazione eucaristica, come pregare il Rosario per chiedere buoni preti indigeni non sposati e invitando preti per dare un aiuto pastorale. 
La Congregazione per il Clero, circa l’aspetto missionario del sacerdozio chiarisce: ”Non sono ammissibili le opinioni che, in nome di un malinteso rispetto delle culture particolari, tendono a snaturare la missione della Chiesa, chiamata a compiere un ministero universale di salvezza, che trascende e vivifica tutte le culture”.
Nella discussione dell’Instrumentum Laboris manca la dimensione teologica che vede il celibato come essenza del sacerdozio secondo il modello di Gesù Cristo e della vita celibe della tradizione apostolica. Le richieste di sacerdoti sposati in quella terra giunge soprattutto da parte di ecclesiastici europei, i quali vorrebbero attuare il loro progetto per diffonderlo e imporlo, come un effetto domino, in Europa e nel mondo. Il fatto che una comunità deleghi qualcuno – non canonicamente ordinato – a somministrare l’Eucarestia sarebbe una rottura con la Chiesa che, fin dagli Apostoli, ha avuto l’ordinazione, l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione attraverso l’invocazione dello Spirito Santo. Chi prospetta un clero amazzonico sposato, passando dalla scorciatoia degli “uomini provati” (viri probati) considera i popoli amazzonici inferiori, con il pregiudizio che non abbiano la capacità di dare alla Chiesa sacerdoti celibi nati dal proprio ambiente.
San Giovanni Paolo II, nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 22 maggio 1994, dichiarò che la Chiesa, seppure non in presenza di un dogma di fede, non ha autorità per amministrare il sacramento dell’ordine alle donne. Pretendere, come traspare nell’Instrumentum Laboris, che gli atti apostolici dei pontefici defunti cadano in desuetudine, se non espressamente approvati dai loro successori, è un atto inammissibile contro il diritto canonico, espressione della missione salvifica e parte integrante della rivelazione e della tradizione della Chiesa.
Il 27 giugno scorso è stata pubblicata una critica dell’Instrumentum Laboris da parte del cardinale tedesco Walter Brandmüller, testo tradotto dal blog di Sandro Magister. In essa si imputa al testo preparatorio una grave violazione del depositum fidei, che ha come gravissima conseguenza l’autodistruzione della Chiesa o il cambiamento del Corpus Christi mysticum in una organizzazione secolare con un compito ecologico-sociale-psicologico. Una comprensione del dogma opposta al cattolicesimo e alla propria identità. Egli afferma che il documento contraddice l’insegnamento vincolante della Chiesa in punti decisivi e deve quindi essere qualificato come eretico. Mettendo in discussione la divina rivelazione, l’Instrumentum Laboris si pone di fatto nel campo dell’apostasia, costituendo un attacco alle radici della fede.
Beninteso, la questione del sinodo pan-amazzonico non è una disputa interna al clero tedesco, poiché la stessa Chiesa della regione (come era logico) ha preso una severa posizione di rifiuto. Mons. José Luis Azcona, agostiniano e vescovo emerito della Prelatura di Marajó, nella regione amazzonica, dando il suo parere sull’Instrumentum Laboris, lo ha considerato distante dalla realtà della regione e in contrasto con la fede. Egli mette in guardia dal rischio di uno scisma nella Chiesa: “Questo pericolo di scisma non è immaginario! Né riguarda solo l’Amazzonia!” Del resto, da ogni parte del mondo, molti fedeli non restano fermi rispetto a un rischio così grande e manifestano da mesi, con preghiere, convegni e conferenze di approfondimento, la loro reazione rafforzando l’azione contro il “cambiamento di paradigma della Chiesa, già amarissimo frutto del Concilio Vaticano II”.

 

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