pio XII sessanta anni dalla morte

Le dichiarazioni di santità di alcuni papi postconciliari, avvenute il 27 aprile 2014 per Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II e, il 14 ottobre 2018, per Paolo VI, sembrano corrispondere, non senza un’accelerazione delle loro cause di canonizzazione, alla santificazione del Concilio Vaticano II. Al contrario, la causa di beatificazione del Venerabile Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli, pontefice preconciliare morto sessant’anni fa a Castel Gandolfo e candidato agli altari, procede con il freno a mano tirato.
È immaginabile che gli uomini di Chiesa divenuti santi, beati, o ancora sottoposti a giudizi temporali, aspirarono alla santità prescindendo dalle formule canoniche. Tuttavia, come si è detto, c’è un papa, probabilmente uno dei più degni vicari di Cristo sulla terra – in un tempo in cui questa brulicava di demoni e il cui autorevolissimo magistero salvò la cristianità e la Chiesa cattolica – che attende l’onore degli altari.
Eugenio Pacelli, al netto di postulazioni, ha dimostrato nel percorso terreno di Pastore della Chiesa tutto quanto c’era da dimostrare sotto il profilo delle virtù teologali e cardinali. Giovane sacerdote vicino al card. Pietro Gasparri, Segretario di Stato, passò dalla nunziatura apostolica in Germania alla Segreteria di Stato.
È importante valutare l’attività pre-pontificale di Pacelli per non cadere nell’equivoco di pensare a Pio XI (Achille Ratti) come a un “duro” e al successore come a un pavido e opportunista.
All’inizio del pontificato di Pio XI, Pacelli si trovò dal 1917 nunzio a Monaco di Baviera e divenne nel 1920 nunzio presso il governo della Repubblica di Weimar, incarico che occupò fino al 1930.
Considerato la longa manus di Pio XI in Germania, preparò il Concordato con la Baviera (1924) e con la Prussia (1929) e si adoperò nel trattativa per il Concordato con il Terzo Reich (20 luglio 1933).
Nei Concordati vide lo strumento giuridico per attuare l’opposizione ai singoli regimi. È per questo che nel 1929 stipulò quello con l’Italia e nel 1933 con la Germania (Hitler era stato nominato cancelliere il 30 gennaio 1933 e il concordato fu firmato a Roma il 20 luglio dello stesso anno).
L’offerta per le trattative partì dal vicecancelliere Franz Von Papen e la Chiesa, che non la poté rifiutare, fece un concordato con il Reich come arma difensiva che l’aiutò a conservare un po’ di autonomia per predicare il patrimonio della fede e della dottrina, e per somministrare i sacramenti.
A fine conflitto Pio XII ricordò quegli avvenimenti e così si espresse: “Nessun cedimento, ma desiderio di difendere la verità e i diritti di ciascun cittadino anche non cattolico, compresi gli ebrei”. Senza questo accordo, non sempre capito da tutti, la Chiesa in Germania avrebbe potuto fare molto meno bene e altre vite sarebbero state sacrificate.
L’iniziativa gli era stata presentata nella lettera che i vescovi tedeschi usavano inviare al papa in occasione delle loro conferenze a Fulda. In questa, del 19 agosto 1936, esprimevano al papa l’opportunità di una enciclica chiarificatrice. Pio XI accolse l’invito. Il card. Faulhaber preparò una bozza, rielaborata poi dal segretario di Stato card. Pacelli.
L’Enciclica Mit Brennender Sorge (14 marzo 1937), scritta in tedesco, fu una delle più severe condanne di un regime che il Vaticano avesse mai pronunciato. Stampata in Germania, venne clandestinamente distribuita ai vescovi e ai parroci per essere letta dai pulpiti delle 11.500 chiese tedesche la domenica delle Palme.
Hitler colto di sorpresa andò su tutte le furie. Il documento attaccava frontalmente il Reich e venne definito come un atto criminoso, su scala mondiale, contro lo stato nazionalsocialista e il popolo tedesco. Nella prima parte si analizzavano i rapporti tra Stato e Chiesa dal 1933, soffermandosi sulle vane speranze riposte inizialmente nel concordato. Nella seconda si condannavano il panteismo, il culto della razza, del popolo, del capo dello Stato, l’ostilità verso l’Antico Testamento e gli ebrei.
L’enciclica fece precipitare i rapporti tra la Santa Sede e il Reich. Delle 55 note di protesta inviate dal Vaticano a Berlino dal 1933 al 1939, nemmeno 12 ebbero risposta. Il card. Pacelli dal 1937 cadde nello sconforto perché notava che l’episcopato tedesco non era concorde nell’intravedere il baratro in cui Hitler stava precipitando l’Europa e il mondo.
Pio XI morì la notte del 10 febbraio 1939, e il 2 marzo, giorno del suo sessantatreesimo compleanno, Eugenio Pacelli venne eletto pontefice con il nome di Pio XII.

pio XII sessanta anni dalla morte

Il rapporto con il nazismo

Pacelli fu molto amato dai romani poiché fino ad allora per gli abitanti dell’urbe (e per gran parte dell’umanità la) figura del papa era sconosciuta: un’idea, non una persona che si potesse vedere e salutare. Certo, si sapeva che stava in Vaticano, ma il suo aspetto e il suo carattere erano un mistero noto a pochissime persone.
Durante il secondo conflitto mondiale è indelebile l’immagine di Pio XII nel quartiere San Lorenzo, dopo il bombardamento alleato del 19 luglio del 1943, con le braccia aperte e lo sguardo al cielo, quando al contrario nessuna autorità civile aveva osato confortare la popolazione duramente colpita.
Restò a Roma sapendo di essere in pericolo di vita, prigioniero di fatto degli occupanti nazisti, rischiando la deportazione; comportamento che gli valse il titolo di Defensor Civitatis.
La vicenda del rabbino capo di Roma, Israel Zoller, viene dibattuta ancor oggi nella comunità ebraica romana: come afferma la storica ebrea Anna Foa, “che gli ebrei romani si siano rivolti direttamente ai conventi nell’ora del pericolo immediato è un fatto provato da mille testimonianze”.
Zoller, italianizzato in Zolli, comprendendo il tedesco, lesse gli scritti di Hitler e gridò la sua preoccupazione a tutto l’ebraismo romano, ma molti capi della comunità, spesso collaboratori leali del governo fascista, pensavano di essere fuori pericolo. Egli, dopo l’occupazione nazista, l’8 settembre 1943, invitò i suoi correligionari a fuggire invitandoli a chiudere la sinagoga e a far sparire gli elenchi con i nomi degli israeliti romani. Il presidente della comunità Ugo Foà non gli diede ascolto e lo accusò di codardia. La Gestapo, come al solito, mise una taglia sul rabbino capo.
Il colonnello delle SS Herbert Kappler chiese agli ebrei un riscatto di cinquanta chili d’oro con la promessa – non mantenuta – di non deportarli.
Il rabbino chiese aiuto a Pio XII che mise a disposizione l’oro mancante, ma la comunità ebraica riuscì da sola a mettere insieme il prezioso metallo. Egli, nel settembre del 1944, durante lo Yom Kippur in sinagoga avrebbe avuto una visione di Gesù. L’evento, unito alla carità dimostrata da Pio XII durante le persecuzioni dei tedeschi, fece sì che il 13 febbraio 1945 Zoller si convertisse al cattolicesimo e, ricevendo il sacramento del Battesimo, cambiasse il proprio nome in Eugenio Pio.
Nel 1959, il cardinale Giuseppe Siri, commemorando Pio XII, disse:

Domenica 12 Marzo 1944 concesse una grande udienza in piazza san Pietro: era la folla del terrore, della miseria, della fuga in cerca di un rifugio; sprizzò dalle sue parole la scintilla e i figli si sentirono fusi nella fede e nella fiducia del padre […] Non abbandonò Roma, la sua città e affrontò gli eventi. Il suo rimanere, come unico schermo dell’Urbe, i suoi interventi decisi, si ha motivo di credere, abbiano salvata la città stessa.
Il 4 giugno 1944 il popolo attendeva che il pontefice andasse a visitare la Madonna del Divino Amore e la misericordia di Dio fu manifesta: gli occupanti tedeschi lasciarono Roma senza opporre quella resistenza che avrebbe trasformato la città in un campo di battaglia.

Pio XII organizzò una rete clandestina per raccogliere informazioni, tenere i contatti tra l’opposizione al Fürher e gli alleati, passare informazioni militari sensibili e cospirare per rovesciare il dittatore. Secondo padre Peter Gumpel, gesuita, vice-postulatore della causa di beatificazione di Pio XII, “discusse la liceità di tale azione riferendosi alle argomentazioni sul ‘tirannicidio’ di San Tommaso D’Aquino e fece tutto il possibile e l’impossibile pur di fermare lo spaventoso e criminale genocidio in atto”.
Un dramma nel dramma della guerra fu l’ordine di Hitler, dato al generale delle SS Otto Wolff, di rapire e deportare il papa nell’Operazione Rabat.
L’ambasciatore del Regno Unito Sir Francis d’Arcy Osborne e l’incaricato d’Affari degli Stati Uniti Harold Tittmann avvertirono monsignor Montini (futuro Paolo VI), tramite i loro servizi segreti militari, del piano nazista, ma il Vaticano ne era già a conoscenza avendo ricevuto da tedeschi ostili all’operazione. Il piano non si concretizzò grazie allo stesso Wolff, che non arrestò Pio XII ma lo mise al corrente delle intenzioni del Führer. Disse al papa che non avrebbe eseguito l’ordine di lanciare i paracadutisti su Roma (il sovrano e il capo del governo italiano erano fuggiti) e di arrestarlo. Pio XII saggiò la sincerità del generale chiedendogli, come prova, la liberazione di due condannati a morte, cosa che il generale Wolff fece immediatamente. Uno dei due era il socialista Giuliano Vassalli.
La sua prudenza nella parola permise un’azione diretta per la salvezza degli ebrei. Solo a Roma, oltre quattromila israeliti furono salvati dai nazisti e nascosti nelle chiese e in molti conventi. L’azione silenziosa organizzata da parrocchie, nunziature, opere pie, ordini religiosi, e all’interno dello stesso Vaticano, salvò così numerose vite umane destinate allo sterminio. Fonti ebraiche citate nel libro di Andrea Tornielli Pio XII il Papa degli ebrei, raccontano di 7-8000 ebrei salvati dalla deportazione, di cui 3000 rifugiati a Castel Gandolfo. Secondo gli studi del belga Johan Ickx, responsabile dell’archivio storico della segreteria vaticana, nella stanza del papa, sul suo stesso letto, nacquero 42 bambini figli di ebrei e di altri perseguitati. Un dato significativo se confrontato con le omissioni di soccorso degli organismi internazionali e degli stessi Alleati.
Nel luglio del 1942, Pacelli fu sul punto di pronunciare la scomunica contro il nazismo allorché in Vaticano giunse la notizia che in Olanda gli episcopati cattolico e protestante stavano preparando una denuncia formale contro la persecuzione nazista nei confronti degli ebrei. I nazisti convinsero i protestanti a non fare l’appello, mentre i vescovi cattolici, al contrario, lo lessero in tutte le chiese. Il risultato fu che la persecuzione raddoppiò; vennero deportati anche gli ebrei convertiti al cattolicesimo come Edith Stein (poi divenuta Santa Teresa Benedetta della Croce) e sua sorella.
L’Olanda fu, in assoluto, il Paese con la percentuale maggiore di ebrei deportati rispetto alla popolazione; l’Italia, quello con la percentuale minore. Così, quando al papa giunse la notizia sulla deportazione di 40.000 ebrei, egli prese i fogli del suo discorso manoscritto, andò in cucina e li bruciò nella stufa rendendosi conto che, se la protesta dei vescovi olandesi aveva causato oltre 40.000 deportati, un suo intervento avrebbe provocato un numero enorme di vittime.
Il cardinale Agostino Casaroli, assistente di Pacelli, nei suoi scritti disse:

Paolo VI, papa moderno e post-conciliare, viene lodato per aver tenuto un atteggiamento diplomatico nei confronti dei regimi comunisti, mentre Pio XII, che ha fatto lo stesso nei confronti del nazismo e con le stesse motivazioni, è invece chiamato il “papa di Hitler”.

Pio XII contrastò le ideologie più demoniache mai comparse sulla terra in tempo di guerra e in tempo di pace. Nel dopoguerra scomunicherà i comunisti, salvando l’Italia dal rischio di finire oltre la “cortina di ferro”, sotto il tallone dittatoriale dell’Unione Sovietica.
Secondo i suoi detrattori ebbe tutte le “colpe” di un pontefice che compì il suo ministero prima del Concilio Vaticano II e che scontò, a prescindere, l’aver vissuto un’epoca in cui le decisioni di un papa contavano ancora. Tra loro non poteva mancare lo storico del cristianesimo Alberto Melloni, dell’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna fondato da don Giuseppe Dossetti, il quale a proposito della beatificazione di Pio XII ha scritto:

“Un processo di beatificazione non è un dogma al quale dovrebbero piegarsi preventivamente i cattolici (la maggioranza dei teologi ritiene che sia un atto infallibile della Chiesa) e soprattutto gli ebrei per non ostacolarne lo sviluppo […]
Pio XII fu “un papa solitario e calcolatore nella cui figura gli elementi politici dominano per la loro logica interna”.

L’area marxista non gli perdonò mai di non essersi fatto ingabbiare nello storicismo e soprattutto di essersi speso affinché il partito comunista in Italia non vincesse le elezioni del 18 aprile 1948. Non si trattò soltanto di dare un’indicazione di voto, ma di rendere consapevoli le persone per una scelta decisiva a favore del futuro democratico d’Italia e per la vita stessa della Chiesa.
Asceta esigente e severo con se stesso e con gli altri, concentrò su di sé tutta la responsabilità del Ministero, gestendo direttamente le sorti della Chiesa e facendo a meno di commissioni curiali. Nominò personalmente i vescovi e affrontò le questioni più delicate grazie all’aiuto di un ristretto gruppo di persone di fiducia: cinque gesuiti tedeschi, tra cui il cardinale Augustin Bea, suo confessore.
Il suo Magistero, decisivo nello scontro tra tradizione e modernità, fece emergere l’incomunicabilità tra le due sponde di pensiero, in contrasto con l’ingenuo ecumenismo che cominciava a serpeggiare nel cattolicesimo (che, per quieto vivere, fingerà di non avere nemici).
Pacelli parlava le principali lingue, e con esse si rivolgeva ai fedeli delle varie nazioni presenti alle udienze pubbliche per entrare in relazione diretta con loro, cosa che fece anche con i radiomessaggi natalizi (storico quello del 1942).
Diffuse con successo i messalini utili ai fedeli per la Santa Messa con la traduzione dal latino e i testi liturgici nelle diverse lingue volgari.
Sospeso tra terra e cielo nella contemplazione, modellò la Chiesa, non a sua immagine e somiglianza, ma a immagine a somiglianza di Dio. Per questo fu inviso a molti (religiosi e laici), ché come Pastore seppe indicare un ricovero sicuro al suo gregge in tempi drammatici. Per i suoi gesti disegnati nell’aria infastidì coloro che nel post concilio manovreranno per desacralizzare (per sempre) la figura del pontefice.
Fu il papa che in difesa del depositum fidei entrò nel conflitto divampato a fine Ottocento tra cattolicesimo integrale e modernismo, proseguito poi nella contrapposizione tra il fronte pacelliano legato alla tradizione bimillenaria della Chiesa e quello montiniano del liberalismo dottrinale.
Morì all’età di 82 anni il 9 ottobre 1958 a Castel Gandolfo.

pio XII sessanta anni dalla morte

La causa di beatificazione

Se facessimo un elenco dei papi più calunniati della storia, il primo posto in assoluto spetterebbe a Eugenio Pacelli.
Nel 1965, terminato il Concilio Vaticano II, mentre Paolo VI annunciava l’inizio della causa di beatificazione di Pio XII, si addensarono accuse e falsità costruite a posteriori sul fatto che Pacelli non avesse avuto una posizione esplicita di condanna sullo sterminio degli ebrei. A sostenere la propaganda denigratoria contro di lui contribuì, secondo lo storico ebreo Gary Krupp, la campagna di disinformazione del KGB che utilizzò la leggenda del“papa di Hitler”per combattere la Chiesa.
A partire dagli anni cinquanta, con la pièce teatraleDer Stellvertreter (il vicario) di Rolf Hochhuth, sceneggiatore tedesco di fede protestante, si entrò in polemica contro Pio XII. Scrittori come Daniel Jonah Goldhagen e John Cronwell (che ritrattò poi le sue affermazioni) influenzarono l’opinione comune e a poco servirono le dimostrazioni dell’azione papale a difesa degli ebrei durante il conflitto.
Padre Peter Gumpel, gesuita tedesco vice-postulatore di padre Paolo Molinari (morto nel 2014), a proposito della causa di beatificazione di Eugenio Pacelli ricordò che l’opera d’istruzione della stessa fu estenuante.
Pio XII regnò dal 1939 al 1958, durante la seconda guerra mondiale, il nazismo, le crisi in Spagna e in Messico, il comunismo nell’Europa Orientale, che coinvolse anche l’Occidente, e il laicismo materialista ed edonista del capitalismo occidentale. Diciannove anni che lasciarono in eredità frutti spirituali di enorme importanza cristiana: dalle Encicliche sull’ecclesiologia (Mystici Corporis), sulla liturgia (Mediator Dei), alla bolla dogmatica (Munificentissimus Deus, l’Assunta). Canonizzò nel 1954 San Pio X, il papa che vide nel modernismo la sintesi di tutte le eresie.
La disamina su Pacelli si sviluppò in 7 processi; il principale a Roma e gli altri cosiddetti “rogatoriali” a Genova, Monaco, Berlino, Varsavia, Madrid, Lisbona e Montevideo. Furono ascoltati 98 testimoni: cardinali, vescovi, ambasciatori, sacerdoti e personale di servizio. Padre Molinari scrisse la positio sulla vita di Pio XII: 3500 pagine raccolte in ben 6 volumi.
Nel 2007, dopo il parere unanimemente favorevole della Congregazione delle cause dei santi presieduta da José Saraiva Martins, papa Benedetto XVI dispose ulteriori accertamenti “per compiere un supplemento di istruttoria”, cosa che costitutiva un fatto molto inconsueto per una causa.
Attese altri due anni e il 19 dicembre 2009 firmò il decreto sulla proclamazione eroica delle virtù, e Pio XII fu proclamato “venerabile”. Immediate furono le contestazioni di una parte dell’ebraismo tese a sottolineare la non opportunità di una simile decisione. Il rabbino capo di Roma,Riccardo Di Segni, il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna e il presidente della comunità ebraica romanaRiccardo Pacifici in una nota congiunta ribadivano la loro “valutazione critica” circa l’operato storico di Pio XII, sottolineando oltre ai “silenzi”, la “mancata” enciclica di Pacelli contro il nazismo.
Nel 2009 padre Gumpel, ribadendo l’infondatezza delle accuse a Pio XII, disse che “la lentezza della Santa Sede nel processo di beatificazione si deve al timore della minacciata rottura fra la comunità ebraica e la Chiesa”
Eppure molti, all’interno dell’ebraismo, testimoniano la lotta al fascismo e al nazismo condotta dalla Chiesa Cattolica tramite il suo pontefice, e non tutto l’ebraismo condivide la campagna contro Pio XII. Il rabbino David G. Dalin, autore del libro La leggenda nera del Papa di Hitler, sostiene che “per l’azione in favore degli ebrei Pio XII andrebbe posto tra i ‘Giusti tra le nazioni’ nel sacrario della Shoahdello Yad Vashem a Gerusalemme”.
Mordechai Lewy, ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede fino al 2012, riconobbe l’attività di Pio XII in favore degli ebrei e precisò che beatificazioni e canonizzazioni sono vicende interne alla Chiesa.
Il prefetto emerito della Congregazione dei santi José Saraiva Martins, nel 2014, durante la presentazione del suo libroLa santità è possibile, disse: “Ho portato Pio XII alla proclamazione eroica delle virtù che è l’unica cosa indispensabile per la beatificazione, perché dal miracolo
può essere dispensato. Volendo si potrebbe beatificare anche domani”.
Tuttavia la posizione ufficiale della Chiesa ribadisce la sua posizione, che qui di seguito riporto, anche in risposta a una lettera da me inviata un mese fa alla Curia Generalizia della Compagnia di Gesù, in particolare al Postulatore della Causa di beatificazione del Venerabile Pio XII, padre Pascual Cebollada S.J, sullo status quo della causa:

Per incarico del Postulatore Generale della Compagnia di Gesù, nonché Postulatore della Causa di beatificazione del Venerabile Papa Pio XII, la informiamo che al momento non abbiamo nessuna notizia di un possibile miracolo che possa portare alla beatificazione. Continuiamo dunque a pregare insieme affinché il buon Dio ci conceda presto un miracolo per intercessione del Venerabile Pontefice che ci permetta di giungere al tanto desiderato traguardo.