Accendono fuochi dentro un cerchio
che sembra prender fuoco
più volte e di un’aridità sdoppiata che permane,
ma che si tinge di vitalità
soffiando al cielo anima risorta e madornale
come Loikop che inebria fertili i granelli
di quel profondo grido essere di terra.

Vivono aperti con occhi evoluti sul mondo,
col sorriso esploso in volto
e quei colori di prodigio che nelle pupille esposte
risiedono perché alle donne s’ispira
lucentezza del Kenya o solco equatoriale
che taglia e tratteggia il cuor funesto
col solo canto della voce.

Sulla cima dalle timide colline, sorgono villaggi
e atomi sacrali,
(vaghi odori dello sterco di mucca
o di fango o di bastoni), case natìe che ospitano
rami intrecciati
cose buone della pastorizia e la ricerca assidua
di pascoli migliori. Vivono di cacciagione,
suonano il vento al ritmo del ventaglio, o dei polmoni,
i rituali nei “lorora” che si espandono al tramonto
come soffi di una luce senza fretta.

 

 

 

samburu fuoco