Il papato ondivago

Durante la pandemia, la Conferenza Episcopale Italiana non ha invitato i fedeli a chiedere al Signore la fine del flagello, anche se il suo presidente, il cardinale Gualtiero Bassetti, è risultato positivo al coronavirus. Non ha chiesto di rivolgersi al Signore ma all’OMS, non immune da abbagli, che non obietterà sull’improvvisato vaccino prossimamente inoculato al gregge fideistico-scientista mediaticamente indottrinato.
Del resto il Vaticano II cancellò definizioni dogmatiche come l’Extra Ecclesiam nulla salus (al di fuori della Chiesa non v’è salvezza) e antiche pratiche devozionali, come le Rogazioni, sotto l’influsso del razionalismo. Anche colui che guida la Chiesa visibile avrebbe potuto avvalersi degli effetti della pandemia, facendo riflettere i fedeli sulla caducità e sulla natura mortale dell’uomo, stigmatizzando la sua presunta autosufficienza. Bergoglio si è limitato a leggere i tristi eventi come il segno della rivolta della Terra contro un’umanità che ha abusato delle sue risorse, in relazione alla pastorale ecologista che gli ha fatto scrivere l’Enciclica Laudato Si’.
Nel messaggio per la Giornata Mondiale di Preghiera per la salvaguardia del creato (Giubileo della Terra), il 1° settembre 2020, ha indicato a quale conclusione morale avrebbe dovuto condurci la propagazione del virus: “È stato possibile vedere come la terra si riprende, se le permettiamo di riposare: l’aria è diventata più sana, le acque più trasparenti, le specie animali sono tornate in tanti luoghi da dove erano scomparse […] Dobbiamo approfittare di questo momento decisivo per porre fine ad attività e scopi distruttivi, e per coltivare valori ambientali”. Per il vescovo di Roma gli effetti del coronavirus non dovrebbero indurre alla conversione dei cuori, ma alla “conversione ecologica”.
Così il giorno dell’Immacolata del 2015 fece proiettare foto del mondo naturale – compreso uno scimpanzè – sulla facciata della basilica di San Pietro, disegnata dall’architetto Carlo Maderno nel 1603, nel corso dell’iniziativa “Fiat Lux: illuminare la casa comune”. Iniziativa che avrebbe voluto celebrare il Giubileo Straordinario della Misericordia in riferimento all’Enciclica Laudato Si’ e alla Conferenza sul clima di Parigi. Il portavoce dell’evento, l’arcivescovo Rino Fisichella, definì la basilica di San Pietro un “supporto” per un evento unico. In effetti fu praticamente unico e planetario lo sdegno per uno spettacolo fatto di oscenità neopagane.
A scanso di equivoci, chi scrive è sempre stato un amante della natura, prima che Greta Thunberg inquinasse i cieli di carburante “diffondendo” la green economy e prima che le lobby politiche sponsorizzassero ragazzine con la sindrome di Asperger per i loro interessi economici. Resta il fatto che, pur in sintonia con la custodia del Creato e contro la sua distruzione (l’uomo, con-creatore, ne dovrà rendere conto a Dio), in questo momento vediamo un inquinamento altrettanto pericoloso.
Papa Benedetto XVI, l’8 dicembre 2009, Festa dell’Immacolata, in venerazione davanti alla statua della Madonna in Piazza di Spagna, parlò proprio d’inquinamento spirituale, un “inquinamento dello spirito, quello che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia. Le persone diventano dei corpi, e questi corpi perdono l’anima, diventano cose, oggetti senza volto”. Parole che i cattolici si aspetterebbero ancora da una guida spirituale. Di retorica verde ne hanno sentita troppa e a sproposito: vane parole mai corrispondenti a interventi reali.

Una figura del discusso presepe di piazza San Pietro, emblematica di una spiritualità da “centro sociale”.

In ogni modo, le esternazioni di Bergoglio non sarebbero fuori contesto se egli non fosse stato destinato dagli imperscrutabili disegni della Provvidenza a pascere il gregge del Signore e non ad apparire come il portavoce di una ONG ecologista. Questa dissertazione sull’operato del papa può apparire impietosa ma, dalla rinuncia di Benedetto XVI all’ecumene, manca una guida sicura e non divisiva: i fedeli si trovano sospesi in una sorta di limbo spirituale sedevacantista.
A ciò si è aggiunta la segnalazione del teologo tedesco Armin Schwibach, che ha puntato il focus sull’Altare Papale della Basilica di San Pietro spogliato e inutilizzato da molti mesi. Un pontefice che accetta di non celebrare la Santa Messa su questo altare a causa delle normative anti-covid volute da uno Stato straniero, oltre a compiere un atto di grave sottomissione, crea un “vuoto simbolico”.
E ancora: antiche disposizioni papali vietano qualsiasi uso volto ad anticipare la Messa di Natale, ma sottomettendosi alle autorità italiane il pontefice ne ha spostato l’orario alle 19,30. La tradizione di celebrare la Messa di Natale è antichissima, ne troviamo tracce ai tempi di papa Telesforo nel II secolo d.C: come è possibile che non si voglia dare “a Dio quello che è di Dio”? (Mt. 22,21).  Inoltre la CEI ha sottolineato che “la competenza sulla vita civile è dell’autorità civile e non dell’autorità religiosa e in questo caso stabilire un coprifuoco che vale per tutti in ragione del Covid è decisione lecita e ragionevole”! Ha poi precisato che stiamo parlando della Messa nella notte di Natale, e non della cosiddetta “Messa di mezzanotte”… Poveri ignoranti cattolici! Se secondo la CEI il popolo dei fedeli è bue, l’organo dei vescovi italiani può entrare a buon diritto nel perimetro del sedevacantismo pastorale.
Tornando a noi: molti cattolici rimpiangono i mercoledì quando, nell’aula Paolo VI, Benedetto XVI parlava degli Apostoli, dei Padri e dei Dottori della Chiesa attraverso una catechesi studiata dai teologi di tutto il mondo. Bergoglio invece confonde le coscienze dei cristiani e non vuole fare proseliti. La captatio benevolentiae con la quale abbraccia i non credenti non ha effetti inclusivi di conversione, mentre le reprimende a quelli che sono nel recinto di Pietro, oltreché opinabili, mortificano e respingono i pochi rimasti dopo l’“ideona” post-conciliare chiamata actuosa participatio. Il papa gesuita presenta come teologiche affermazioni tipo “il buon cibo e il sesso sono piaceri divini e vengono da Dio”. Pensa, forse in buona fede, che frasi semplicistiche attuino una buona pastorale, laddove al contrario confondono i fedeli e lo stesso clero sulla corretta esegesi.
Quando il Concilio di Calcedonia riconobbe in Cristo la natura umana e divina, posto il punto fermo in Cristo, indicò il “funzionamento” del suo messaggio regolando i meccanismi dello stesso cristianesimo. Prescindendo da esso, la fede diviene un buonismo fine a sé stesso, un relativismo che non pone al centro Dio ma i desiderata dell’uomo. Non è possibile annacquare il cattolicesimo, neppure un papa lo può fare, non esistono scorciatoie: Dio vuole vedere i suoi figli camminare su un unico sentiero di santità per arrivare a Lui. Dice il Signore “Non avere altri dèi oltre a me il Signore, il tuo Dio […] Io Sono un Dio geloso” (Es 20:3-5). La prova può apparire al di sopra delle possibilità dell’uomo, ma i Martiri ci hanno insegnato che è possibile un tale atto eroico.
Gli ordinati e i laici, scegliendo liberamente l’adesione a Cristo, devono avere una guida spirituale che tenga ferma la barra del timone della fede. Altrimenti, come vediamo, la deriva creativa è un’“altra” chiesa. Per esempio c’è da chiedersi perché, facendo le pulci alla preghiera di Gesù Cristo, il Padre Nostro, fulcro dell’orazione di generazioni di cattolici, si sia attuata una modifica mediante il coraggio “creativo”, liturgico retaggio del Novus Ordo. Bergoglio l’ha rettificata da “non indurci in tentazione” a “non abbandonarci alla tentazione”: il greco εἰσενέγκῃς va tradotto fedelmente in latino con inducas, che in italiano corrisponde a indurre. Così è stata cambiata una formulazione secolare!
Per altro verso, nella terza edizione del Messale di Paolo VI in vigore dal 29 novembre, sul “Signore pietà” e “Cristo pietà” dovrebbe prevalere l’invocazione “Kýrie, eléison” e “Christe, eléison”. Qui accogliamo con favore l’invocazione greca, a meno che non si faccia passare questo ritorno al Kýrie per modernità liturgica, tossina della riforma del 1969.
Tornando alle estemporaneità bergogliane, ricordiamo che la Chiesa ci ha insegnato come il cristianesimo necessiti di due poli: uno umano e uno divino. Per il cristiano, tendere alla Grazia santificante è custodire il corpo, tempio dello Spirito, tenendolo lontano dalla concupiscenza e dalle insidie del “fumo di Satana”, come disse San Paolo VI il 29 giugno 1972. Lo sforzo morale, la pratica dei comandamenti, la sobrietà, la fuga dai piaceri mondani non sono fini a sé stessi: “Chi crede in me, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno”, dice Cristo alla Samaritana (Gv 7,37-38). La sporcizia interiore impedisce l’azione di Dio nell’uomo e San Paolo raccomanda: “Mortificate quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi” (Col 3,5). Senza demonizzare il cibo o l’attività sessuale, è necessario contrastare la fragilità umana, che può trasformarsi e diventare passione smodata. Cibo e sesso (quando quest’ultimo non è diretto a trasmettere la vita) a chi li ricerca con ossessione diventano un morbo che offusca la trascendenza.
Siamo abituati a vedere l’attuale papa andare controcorrente rispetto al corso millenario della Chiesa, ma ultimamente egli è andato addirittura contromano in un contesto per altro avulso del tutto dall’àmbito ecclesiale. Nel documentario di Evgeny Afineevsky dal titolo Francesco, proiettato il 21 ottobre scorso al Film Festival di Roma, Bergoglio ha esternato tesi eterodosse rispetto alla dottrina e al magistero della Chiesa a proposito delle unioni civili da parte persone dello stesso sesso. Frasi le quali, anche alla luce del contesto, non potevano avere un valore magisteriale ma che hanno creato perplessità e sono risultate imbarazzanti per i cattolici. Esprimendosi nella sua lingua madre e parlando a braccio ha detto: “Le persone omosessuali hanno il diritto di far parte di una famiglia; sono figli di Dio”. Poi, oltrepassando il confine delle sue competenze spirituali, ha aggiunto: “Quello che dobbiamo fare è una legge di convivenza civile perché hanno il diritto di essere coperte legalmente”.
Al contrario, anni fa, nel 2015, mentre in Italia si dibatteva sulle unioni civili, padre Thomas Rosica, della stampa vaticana, disse: “Il papa non entra nel merito del dibattito e resta allineato sulle tesi della Chiesa”. In un passaggio del suo libro Sobre el cielo y la tierra del 2010, il cardinale Bergoglio considerava le unioni omossessuali parificate al matrimonio come “una regressione antropologica” e si dichiarava preoccupato per il fatto che se “alle coppie dello stesso sesso fosse permesso di adottare i bambini questi avrebbero potuto subire ripercussioni psicologiche”. D’altronde l’essere ondivago è una sua prerogativa. Un colpo al cerchio progressista e un colpo alla botte dell’ortodossia, è la sua tattica fin dai tempi in cui era provinciale dei gesuiti in Argentina. È vero: tutti siamo soggetti a ripensamenti, ma dal Romano Pontefice si pretenderebbe coerenza con il Vangelo e sintonia con il magistero pregresso della Chiesa, in continuità con i pontefici che l’hanno preceduto. Non si può sacrificare la fede, divinamente rivelata, per sostenere una tesi o un’ipotesi preferita, in un continuo altalenarsi di posizioni contrastanti. Ne va della credibilità della Chiesa, anche se questa, grazie allo Spirito Santo, avanzerà come è sempre stato fra le tempeste della storia.